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A proposito di adolescenza e identità, maltrattamenti e interventi di tutela, difesa della famiglia e ruolo della giustizia minorile 

Gentile Avvocato Ruggente,
sono il giudice onorario che ha ascoltato la ragazza (per discrezione la chiamerò Veronica), ed anche  l’assistente sociale che lei ha inteso denunciare.

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Non so se le faccia piacere che un giudice onorario sia stato incaricato dell’istruttoria. Se la risposta fosse negativa la cosa non mi stupirebbe, sono in tanti – specie tra gli avvocati – a pensarla così. Ma non è di questo che vorrei parlarle. Vorrei riflettere con lei sulla vicenda di questa ragazza perché credo ci aiuti a capire che cos’è il tribunale per i minorenni.

Veronica è stata allontanata dalla madre poco prima del Natale scorso. Lei stessa lo ha chiesto riferendo per l’ennesima volta maltrattamenti psicologici e fisici che proseguivano da oltre un anno e frequenti minacce di riportarla nel Paese d’origine – uno dei tanti scampoli dell’ex Unione Sovietica. Avere come prospettiva due settimane senza scuola faceva scattare più di un campanello d’allarme. È successo, perciò, che il servizio sociale, già coinvolto nella situazione, abbia provveduto all’allontanamento della ragazza (ex art. 403 del Codice civile) e lo abbia immediatamente riferito, motivandolo, alla procura minorile. La quale ha presentato ricorso al tribunale per i minorenni, che ha confermato il provvedimento.

In quella famiglia i maltrattamenti non ci sono sempre stati; sono comparsi e si sono fatti pressanti da quando Veronica si è accorta di provare attrazione per le ragazze. Un deragliamento inatteso e inaccettabile per la mamma. La ragazza ha accettato per un po’ di tempo restrizioni, umiliazioni, dinieghi su ogni forma di contatto con la sua innamorata; ha detto bugie per ritagliare spazi e, scoperta, è stata punita ulteriormente per aver mentito. “Mi fai schifo”, “Se non te lo togli dalla testa non ti voglio più”, “Dovresti prenderlo nel culo, così capiresti che cosa significa essere una donna”. Queste frasi a 17 anni possono essere spiacevoli. Veronica ha pensato anche al suicidio, aveva già preparato la lettera di addio… e poi – grazie al cielo - ha chiesto aiuto.


il maltrattamento sui minori è un reato
e come tale può dar luogo ad un procedimento penale,
il segreto istruttorio è una cosa seria


Non m’interessa il dibattito sull’omosessualità: potrebbe essere molto ricco, ma tra di noi non è questo il punto. Con lei, gentile Avvocato Ruggente, vorrei discorrere di ciò che lei ha fatto e di ciò che abbiamo fatto noi. Dei suoi obiettivi e dei nostri.

Ho saputo che la mamma di Veronica, dopo aver seguito per qualche tempo i suoi consigli, ha deciso di fare da sola. Personalmente ritengo abbia fatto la scelta giusta ma a me è rimasta, come vede, la voglia di parlare dell’accaduto.

Lei, gentile Avvocato Ruggente, ha consigliato alla mamma una strada possibile: una denuncia contro l’assistente sociale per calunnia e falso ideologico (sarebbero tutte panzane, quelle che ha scritto in relazione), un’altra contro il servizio sociale per sottrazione di minore. La mamma non si droga, non si prostituisce, ha un lavoro dignitoso e una casa pulita, paga anche le bollette. Non c’è ragione al mondo per sottrarle la figlia. O quantomeno bisognava prima avvisare la signora!

(Su questo punto, cioè che un genitore forse violento dovrebbe essere avvisato prima, bisognerebbe soffermarsi di più, ma anche a voler essere brevi: il maltrattamento sui minori è un reato e come tale può dar luogo ad un procedimento penale, il segreto istruttorio è una cosa seria; per quale altro crimine si consiglierebbe di avvisare l’indagato? E perché trattandosi di minorenni, che in più convivono col potenziale violento, si dovrebbero fare eccezioni?).

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Ma, dicevo, lei ha consigliato due denunce e la mamma l’ha seguita. Per buona aggiunta ha coinvolto un giornalista. I conoscenti di Veronica l’hanno identificata in quelle righe e si sono sentiti in diritto di farsi i fatti suoi, ma immagino che per lei questo non rilevi. Così come l’impatto sull’opinione pubblica che quegli articoli, insieme a tanti altri, avranno avuto, sprangando la porta di casa di altre famiglie dove tanto bene non si sta.

Dulcis in fundo, ha dichiarato di voler presenziare agli incontri protetti tra Veronica e la mamma: se non l’avessero accontentata, la mamma avrebbe rinunciato a vedere la figlia. Il suo ricatto è stato sgonfiato dagli operatori che, trattando di una quasi 18enne e non volendo distrarre gli incontri dal loro vero obiettivo, cioè migliorare la relazione tra le due, hanno organizzato tutto nei loro uffici ma senza educatori o assistenti sociali. Fuori loro, e fuori anche lei. Le sarà dispiaciuto.

L’altra strada, che io prediligo, quella che meglio illustra l’identità e lo spirito con cui opera un tribunale per i minorenni, l’ha compresa la mamma quando – ascoltando gli operatori e la stessa Veronica – ha deciso di fare a meno di lei. Ed ha iniziato a percorrerla quando, incontrando da sola l’assistente sociale e lo psicologo, ha dichiarato la propria difficoltà ad accettare la figlia, ha ammesso di avere esagerato con qualche sberla e molti assilli, e ha chiesto un aiuto per ritrovare la relazione con la sua bambina quasi adulta.

“Finalmente possiamo iniziare a lavorare” mi ha detto l’assistente sociale - sempre quella, sa, quella che lei ha voluto denunciare. Lasciava intendere che quanto è successo prima di arrivare qui è stato tutto tempo perso. Quando si è in crisi, e può capitare, bisogna ammetterlo per ripartire.


ho provato tante volte a parlare con mia madre ma non ha mai funzionato.
La mia scelta di andare in comunità è stata dolorosa perché le voglio tanto bene,
allo stesso tempo non potevo continuare a stare insieme a lei in quella maniera


Veronica, quando ha chiesto di andare via per un po’, voleva proprio questo: “Ho provato tante volte a parlare con mia madre ma non ha mai funzionato. La mia scelta di andare in comunità è stata dolorosa perché le voglio tanto bene, allo stesso tempo non potevo continuare a stare insieme a lei in quella maniera. Però il mio obiettivo non era fare a meno di lei. Nei giorni prima di andare via mi preoccupavo di lei, non di me: come avrebbe reagito, cosa avrebbe detto, se capirà, se cambierà. Se rischia un penale, una denuncia, qualcosa. Il mio intento era allontanarmi per un determinato periodo che a mia madre servisse per riflettere, nella speranza che capisse e che il nostro rapporto potesse migliorare”.

Veronica riconosce con straordinaria lucidità che la sua storia difficile con la mamma ha radici lontane: “Il punto non è solo la mia omosessualità. Noi due abbiamo vissuto separate durante la mia infanzia, e anche se la sentivo al telefono tutti i giorni non ho avuto l’amore materno e ne risento ancora. Sono arrivata che ero già grande e fin da subito non siamo andate d’accordo; poi il discorso dell’omosessualità ha peggiorato tutto…”

Al servizio sociale Veronica ha rivisto la mamma con ansia e tanta paura di averla delusa. Poi però ha azzardato un dialogo e la mamma ha cominciato ad ascoltare, “soprattutto da quando va dallo psicologo” mi ha detto Veronica - cioè, mi perdoni gentile Avvocato Ruggente se lo sottolineo, da quando ha smesso di farsi consigliare da lei. Non che tutto sia risolto, ma quando la ragazza nomina la sua innamorata sente che quel nome può essere pronunciato.

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A propria volta, con lo psicologo, anche Veronica riflette su quanto è accaduto: “Mi è utile. Inizialmente gli parlavo di mia madre, mi faceva ragionare, mi faceva mettere nei suoi panni. Tuttora mi aiuta a lavorare su me stessa. Non sono perfetta, è anche colpa mia se io e la mamma non andiamo d’accordo. Quando tornerò a casa - e spero di tornarci - voglio che il nostro rapporto sia più bello”.

Ecco, questo è il punto. Di fronte ad una relazione logorata tra una mamma e una figlia adolescente, c’è da fare una scelta.

Se ci si concentra sulla facciata, sull’onorabilità, sulla vernice di serenità che a tutti i costi si vuol dare alla propria famiglia… Se si prova gusto nel buttare fango su tutto quanto sa di istituzione, se si cerca il risarcimento, se si pensa che vincere è meglio di capire… la sua posizione è giusta.

Se al contrario si guarda in faccia la crisi, se si accoglie la sofferenza e della ragazza e della mamma, se si ritiene che uno stop sia indispensabile per cercare un cambiamento… Se si è convinti che i rapporti possano cambiare e che le persone possano crescere (a qualunque età)… allora ha ragione il tribunale.


intervenire quando la sofferenza è troppo grande
– in extrema ratio anche allontanando, consci che anche questo provocherà dolore! –
e poi richiedere, accompagnare un cambiamento


A me sembra perciò, gentile Avvocato Ruggente, che i nostri obiettivi siano profondamente diversi: il suo è ristabilire una realtà precedente e piena di sofferenza in nome del fatto che nessuno deve mettere il naso nei rapporti familiari; quello del tribunale, che in questo caso è condiviso dai servizi, dalla ragazza e ormai anche dalla mamma, ma che spesso incontra l’adesione di tanti suoi colleghi avvocati, è intervenire quando la sofferenza è troppo grande – in extrema ratio anche allontanando, consci che anche questo provocherà dolore! - e poi richiedere, accompagnare un cambiamento.

Una cosa ancora mi preoccupa. Tutto questo è facile capirlo con Veronica, che ha 17 anni, si spiega come e meglio di un adulto e ha ottime ragioni da portare. Più difficile quando si tratta di bambini, di ragazzi che in famiglia hanno subito un trauma difficile da dire – maltrattamenti, violenze sessuali coperti dalla vergogna delle vittime, dal ricatto dei maltrattanti e dall’incredulità  dei benpensanti. Eppure il bivio c’è anche di fronte alla necessità di tutelare un bambino. La scelta da compiere è proprio la stessa.

Perciò, prima di buttare alle ortiche i tribunali per i minorenni, i giudici onorari, i servizi sociali, l’art. 403 del codice civile… Prima di buttare via tutto, se si vuole il bene dei bambini e dei ragazzi, bisogna riflettere anche su questo.

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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