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Quando incontro Miracle è quasi maggiorenne e ne ha già passate tante, chiede alla giustizia minorile di consentirle qualche anno ancora in comunità, almeno il tempo di finire gli studi.

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Frequenta un liceo, ci tiene, è molto brava. I genitori sono nigeriani, lei è nata qui. È una bella ragazza, sottile, con gli occhi brillanti e determinati. Prima ancora parlo con gli operatori, sono loro a raccontarmi la sua storia passata.

“Ci aveva chiesto tante volte di essere allontanata da casa e noi non capivamo. Aveva 15 anni, allora. Per la verità l’abbiamo conosciuta molti anni prima…”.

Era una bimbetta, l’ultima di tanti figli. Dalla scuola si sapeva che i genitori erano persone semplici, concrete, attente alle cure materiali più che all’affetto. Si sapeva, ancora, che il padre alzava spesso le mani, non per passione ma per convinzione: i figli, per lui, si educano così, almeno fino a che sono piccoli. Poi crescono e si trattano da grandi, cioè si smette di stargli vicino.

“Avevamo dato, sì, un aiutino alla famiglia, sia economico sia con qualche colloquio, e per un po’ sembrava che la situazione fosse rientrata, il padre picchiava meno…”.

Non è uno scherzo. Il nostro ordinamento giuridico punisce l’abuso di mezzi di correzione, non l’uso, come a dire che i figli si possono picchiare un po’, non troppo. E specialmente quando si ha a che fare con genitori cresciuti in una cultura che le botte le ammette, si usano mille cautele per distinguere cosa è abuso e cosa non lo è, alzando semmai l’asticella di qualche centimetro, per includere il gap culturale. Così la famiglia rimane unita e anche per Miracle succede la stessa cosa. Gli assistenti sociali periodicamente parlano con genitori e insegnanti per accertarsi che vada tutto bene.

“Miracle è tornata da noi spontaneamente quando aveva 15 anni chiedendo di essere allontanata da casa perché litigava continuamente con mamma e papà. Non riuscivamo a capire quanto il problema fosse la solita incomunicabilità tra genitori e figli adolescenti o qualcosa di più”.

Ma la ragazzina che cosa raccontava?

“Solo che il padre non le dava il permesso per… fare tante cose. Ci sembrava che il punto fosse la distanza culturale, oltre che generazionale, non ci è sembrato il caso di allontanarla da casa. L’abbiamo chiamata a colloquio tante volte insieme alla mamma e al papà e non usciva niente. Fino al giorno in cui ci ha telefonato chiedendo di essere aiutata ad abortire di nascosto dai genitori”.

Il padre del nascituro è un connazionale della ragazza, un adulto, buon amico dei genitori. Ha iniziato a fare il baby-sitter volontario per Miracle quando la piccola aveva 5-6 anni, una sorta di zio acquisito molto utile per una famiglia numerosa. Le molestie, si è saputo poi, sono iniziate già allora, tramutate ben presto in vera e propria violenza sessuale fino allo stupore della gravidanza.

“A quel punto ci siamo attivati”, ricorda l’assistente sociale, “abbiamo sporto denuncia alla Procura Ordinaria contro il presunto abusante e abbiamo richiesto al Giudice Tutelare l’autorizzazione affinché Miracle potesse abortire senza dire, per il momento, nulla ai genitori. Lei non se la sentiva e poi, durante l’indagine, il magistrato ci aveva chiesto di tenere all’oscuro la famiglia. C’era il timore che i genitori fossero al corrente di questi abusi, che li avessero in qualche modo favoriti”.

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Che cosa emerso, poi?

“La ragazza sostiene che i genitori sapevano e hanno fatto finta di non vedere, per lei come per le sorelle maggiori, comunque i genitori non sono stati imputati di niente. Il processo contro l’abusante è ancora in corso”.

E Miracle?

In comunità si è ambientata molto bene, soprattutto nel rapporto con gli educatori da cui finalmente si sente ascoltata. I genitori l’hanno colpevolizzata molto. Anche quando siamo riusciti a far capire che non era lei responsabile per le violenze loro, molto religiosi, l’hanno comunque rifiutata per avere scelto l’aborto.

E poi, loro dicono, l’abuso ormai è passato, Miracle dovrebbe stare bene. Invece è una ragazza piena di paure, fatica a prendere sonno, somatizza in molti modi le sue ansie e, da qualche tempo, sembra proprio che si impegni a rovinare tutte le relazioni, anche solo di amicizia, che incominciano a diventare importanti”.

“Le cose tra me e i miei genitori non funzionavano da anni”, mi dice Miracle, “non posso pensare di tornare a casa. Per loro sono una peccatrice, per i miei fratelli una poco di buono. Ma vorrei che fosse il Tribunale a decidere, a me non lo perdonerebbero mai e comunque so che i Servizi non potrebbero aiutarmi, senza un decreto”.

È vero, potrebbe essere difficile, per il Servizio Sociale, pagare la retta della comunità educativa. Il Comune tende a risparmiare, solo se proprio c’è un provvedimento giudiziario può fare qualche eccezione per un maggiorenne e qui ne vale la pena, anche perché Miracle qualche progetto ce l’ha.

Sono a metà strada con la scuola superiore e vorrei terminarla, e poi lavorare di sera e studiare all’Università, sperando di farcela.”.

Ripenso a questa storia, a tutti i momenti in cui le cose avrebbero potuto avere un altro corso e alla sofferenza cui Miracle è stata sottoposta, in molti e diversi modi. Agli operatori chiedo se ci pensano mai, che questa ragazza è stata abusata per anni senza che loro se ne rendessero conto.

“In realtà no, perché lei non ha mai chiesto aiuto”, è la risposta. “Non si considerava una vittima, c’è voluta la psicoterapia per farle capire che lei era una bambina e l’adulto ha abusato di lei. Abituata com’era a non essere vista, a non essere seguita dai genitori, quando è comparso un uomo attento, disponibile, che la ascoltava o le faceva dei regali… per lei è diventato subito la persona più importante del mondo”.


testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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