La seconda parte della conversazione con Gherardo Colombo.
{xtypo_quote}Per decidere sull’infanzia non basta essere un “tecnico della violazione”{/xtypo_quote}
Uno dei punti maggiormente criticati alla giustizia minorile come è adesso è la presenza di giudici onorari in tutte le fasi di giudizio. Lo schema di legge delega approvato il 29.08.14, contenente una sezione sulla famiglia, difatti li esclude.
Perché c’è un’idea della giustizia che non è rieducativa. Nella nostra tradizione il giudice è il tecnico della violazione, il suo scopo è solo verificare se una violazione c’è stata oppure no e in caso affermativo attribuire al comportamento delle conseguenze.
Nel civile come nel penale, effettivamente.
Certo. Invece il giudice onorario… Che cosa fa, il giudice onorario?, dimmelo tu.
Mah, dipende. Nei colloqui istruttori prima di tutto ascolta, cerca di capire la situazione. A volte prova a sostenere la comprensione del decreto, o spiega a un genitore che continua a bere o a disinteressarsi dei figli che rischia di giocarsi la relazione con i propri bambini ed è indispensabile, perciò, che intraprenda dei percorsi di cambiamento. Un po’ tutte queste cose.
Che vuol dire portare delle competenze diverse da quelle consuete, orientate alla valutazione del fatto e solo minimamente della persona. Il giudice solitamente guarda soprattutto il fatto, la persona pochissimo – almeno nel tribunale ordinario.
Per quello che vedo, nei tribunali per i minorenni funziona un po’ diversamente. Non parlo di giudizi sulle persone ma di attenzione alle relazioni. Un’attenzione che è comune ai giudici togati e onorari, anche perché lavorando insieme ci si scambiano veramente delle competenze, sul caso specifico ma poi in senso più ampio.
Il giudice che lavora in ambito minorile come si è preparato?
Come tutti gli altri giudici, suppongo.
Per quello è necessaria una competenza diversa. Un aiuto per entrare in argomenti nei quali i giudici non sono competenti. È per questo che mi pare siano indispensabili i giudici onorari.
Lo schema di legge delega prova a colmare questa mancanza ipotizzando figure di esperti…
Quello non è lavorare insieme. Prevedendo consulenti tecnici che presentano le loro relazioni ma sono assenti nell’assunzione delle decisioni si esclude completamente la dialettica, che è quella attraverso cui si può arrivare a una definizione della situazione.
{xtypo_quote}Il processo minorile come laboratorio di giustizia riparativa{/xtypo_quote}
Che cosa ti colpisce, in questo schema di riforma?
Io vedo negativa la separazione tra il civile e il penale minorile. Perché si parlano moltissimo. Se tu affidi le competenze civile e penale ad organi diversi, poi questi rami della giurisdizione non si parlano più - e questo danneggia il minore.
Mi ritrovo moltissimo in quello che dici e mi sembra che sia vero non solo perché, durante un processo penale minorile, il tribunale può accorgersi che quel ragazzo ha alle spalle una famiglia disastrosa e decidere di aprire un procedimento civile a sua tutela, ma perché spesso lo stesso giudice è impegnato nel civile come nel penale e quando processa un ragazzo lo sa, ha gli strumenti per rendersi conto di qual è la sua storia, per riconoscere i segni di un’infanzia svantaggiata…
Certo. È un atteggiamento culturale.
Ma secondo te perché, in Italia, nonostante tante indicazioni internazionali ed europee sulla giustizia riparativa, siamo ancora così indietro?
Perché siamo un paese cattolico, ma nel senso arcaico, e aspettiamo la giustizia divina.
E la facciamo amministrare dai giudici!?
Già. Con l’idea che si debba sempre rendere il male per il male, come se questa fosse una soluzione. Se c’è un settore dove nel nostro Paese si sono fatti dei passi nella giustizia riparativa è proprio nel penale minorile. È praticamente l’unico ambito dove si è provato ad applicarla.
La messa alla prova all’interno del processo penale minorile è l’istituto forse più amato dai giudici. Adesso si sta cercando di portarla anche tra gli adulti, tu che cosa ne pensi?
È un’idea, ma per farlo bisogna essere attrezzati. La messa alla prova implica un impegno istituzionale notevole. Io mi chiedo: la struttura complessiva per gli adulti ha oggi le stesse capacità di quella per i minori? Perché è facile scrivere una norma, poi bisogna vedere che cosa c’è dietro. Se manca una struttura idonea e non ci sono le possibilità di crearla, diventa difficile.
Effettivamente, intorno ad un ragazzo messo alla prova, si muove il servizio sociale del Ministero della Giustizia, quello territoriale e probabilmente anche una comunità educativa, il centro di mediazione penale, spesso il Ser.T. o la Neuropsichiatria Infantile, e forse la scuola, o il contesto che lo accoglie in borsa lavoro, e chi mette i fondi a disposizione perché tutto questo si realizzi…
Per gli adulti che stanno in carcere si spendono meno di 3 euro al mese in interventi di trattamento della personalità ed assistenza psicologica, poco più di 3 euro per le attività scolastiche, culturali, ricreative e sportive! In questa condizione non si può parlare di messa alla prova. Le strutture per adulti impiegano risorse soprattutto per mantenere l’organizzazione interna, pagare il personale penitenziario, le strutture, e una minima parte è dedicata direttamente ai detenuti. Per quel che riguarda la riabilitazione non c’è quasi niente. Con che soldi la facciamo la messa alla prova?
Qui la prima parte dell'intervista