- Scritto da di Barbara Volpi
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Fermo immagine:
team di donne che lavorano in sinergia, in una musica di collaborazione in cui non traspare competizione, né invidia, né centrature narcisistiche, dove prevale il bene, quel buono, quell’odore di pane appena sfornato, simbolo di nutrimento e calore che solo le donne sanno dare, nell’umiltà del gesto del dare, del dono che permette di nutrirsi e di crescere. Questo il senso del buono che l’esperienza digitale nel piccolo paese di Montevago in Sicilia è riuscita a realizzare, nella giusta connessione che dal NOI viene trasmessa al LORO potenziale.
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“Non faccio altro che pensare a lui, a quello che sta facendo, a quello che vuole dirmi, a come mi devo comportare per farlo felice. Ho sempre paura di sbagliare e che mi lasci per qualcosa che non ho capito, per una frase detta male, per un mio comportamento che lo ha fatto arrabbiare. A volte quando mi urla addosso o sparisce per giorni e giorni penso che me lo merito, che è colpa mia per non aver capito qualcosa, mentre altre, quando passano un po' di giorni di silenzio, comincio ad essere più razionale e a pensare che forse non è come dice lui. Poi però prevale la paura che non torni e allora faccio di tutto per cercarlo, per parlarci e chiedergli scusa. Fino all’ennesimo silenzio”.
Dietro ogni forma di dipendenza c’è sempre un vuoto, un silenzio a volte così profondo e assordante che la mente, nelle sue rocambolesche via di fuga si dirige verso altro.
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Lo tsunami virtuale che ci ha colpiti in seguito alla rivoluzione digitale ha stravolto il nostro concetto di SPAZIO e di TEMPO, coordinate ben strutturate e definite nelle peregrinazioni di ciascun vivere quotidiano, conquiste adulte e sperimentazioni formative infantili.
Nel Web lo SPAZIO si allarga e si espande oltre i confini, siamo TUTTI connessi in un eterno presente in cui il segno del passato, vuoi che sia rappresentato da foto, like, post, video, ci torna sempre indietro. Passato che rimbalza dalle pagine web che hanno una memoria indelebile, garanzia di efficienza computazionale, e che agiscono autonomamente, come nel caso di Facebook che sceglie per noi quando ricordare, come farlo e in quale forma ricostruire i segmenti delle nostre esistenze che nel fluire del tempo cambiano e mutano nel cineforum frenetico delle nostre vite.
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Si sa, il sonno è salutare. Il ritmo circadiano sonno/veglia è fondamentale per il buon equilibrio psico-fisico, per essere in salute e per essere più produttivi. I grandi lo sanno bene, se non si dorme un tot di ore la produttività lavorativa ne risente, si fa fatica ad affrontare la giornata, ci si sente spenti e privi di energia. Gli adolescenti nella loro Odissea personale di lasciare la terra felice dell’infanzia per approdare in quella fumosa, e nel contempo tanto desiderata, dei grandi, hanno il bisogno primario di essere vigili, lucidi e produttivi per portare a termine con la giusta determinazione questa impresa stancante, profondamente difficile nell’incertezza deterministica di quel che si desidera e quel che sarà.
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Ti seguo, mi segui, ci seguiamo, so dove sei, con chi sei, volendo se sei vicino posso raggiungerti senza che tu te ne accorga, così posso controllarti e se non pubblico nulla o ti depisto con video che ho girato in un altro momento posso scoprire la verità e fregarti davvero questa volta.
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Volenti o nolenti siamo nell’era digitale, dell’iperconessione costante, della rapidità del trasferimento delle informazioni, siano esse amicali, sentimentali, ludiche o lavorative. Comunicazioni di lavoro che si alternano ad emoticòn, foto, video che si mescolano nel ginepraio di “frammenti di noi” che dal nostro pensiero arrivano alle nostre dita e touch su touch vengono immessi nella rete digitale, che sappiamo, quanto può catturare e rapire. Immettiamo, trasmettiamo, e come tutte le entrate nel flusso dell’informazione attendiamo risposta.
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Che internet abbia alterato ed espanso i confini generazionali lo sapevamo già, ma presi dal rimbalzo accusatorio del rispecchiamento di colpe e accuse tra genitori e figli, tra adulti e nuove leve, corriamo il rischio di perdere di mano aspetti dinamici e strutturali che generano e logorano la terra dei perché.
Partiamo da una considerazione ormai onnipresente nell’ infiltrazione digitale nelle nostre vite che mette in primo piano come oggi, se lo desideriamo, riusciamo a sapere tutto e di tutti. Con un semplice touch, basta immettere l’informazione [sia esso un nome o un cognome o un immagine] nello Sherlock Holmes googliano e riusciamo a scovare qualcosa, a trovare almeno un indizio [vuoi anche che esso sia assenza totale di informazioni che denotano nel gergo adolescenziale scarsa popolarità] per orientare la ricerca su aspetti particolari di quel o quei personaggi, sui luoghi da essi frequentati, sulle immagini che hanno diffuso in rete, nella capillarità di eventi e nessi che il web lega in modo indissolubile nell’arte che le è più usuale, ovvero quella di connettere.
Lo sanno bene gli adolescenti che nella diffusione e nell’inseguimento di selfie, video e storie su Instagram seguono in fila, come tanti piccoli indiani Sioux, le tante orme tracciate dal gruppo adolescenziale nella poliedrica vastità di un territorio che cambia in modo repentino scenari, ambienti, clima.
I genitori pre-digitali d’altra parte, sanno bene quanto il gruppo in adolescenza sia compatto e solidale soprattutto per far forza e struttura alla contrapposizione con l’adulto, punto di riferimento e per questo di scontro e critica nel momento in cui si confronta con il desiderio/timore di abbattere, mettere alla prova, sperimentare in modo rocambolesco il polo di appoggio, o il trampolino di lancio, che spinge in alto e permette finalmente di provare a spiccare il volo finalmente da soli. Processo naturale, dinamicamente ricercato per il giro di boa verso i lidi della quotidianità adulta, ricercata, bramata e criticata quando si è dall’altra parte.
C’è un però nel web, lo sappiamo e lo abbiamo ripetuto più volte, la via d’ingresso ci appare sempre chiara ma gli effetti del nostro agire digitale nell’ingranaggio mediatico possiamo captarli soltanto nel ritorno nelle nostre vite reali. In questo caso il gruppo adolescenziale perde la sua compattezza fisica di argine e fortezza chiusa e si espande nel gioco degli specchi e dei riflessi mediatici dove tutto può essere amplificato, caricato e espanso prendendosi beffa degli argini consolidati, del tempo e dello spazio.
Nella cassa di risonanza digitale anche il confronto/scontro tra genitori e figli, assume toni alti e si carica di voci fuori campo che immettono ulteriore confusione, noti stonate, alla già di per sé difficile traversata dell’autonomia e dello svincolo generazionale dei bambini ormai divenuti grandi, e dei grandi che si trovano alle prese con l’arduo bilancio di essere stati bravi e corretti genitori.
Genitori e figli a confronto che trovano nel web uno spazio in cui riconoscersi, aggrapparsi e compattarsi creando gruppi di appartenenza apparentemente distinti ma talmente evanescenti che, nelle connessioni digitali, si legano a vicenda e si aggrovigliano sommando confusione alla confusione, logorando confini generazionali e orientando la critica e il giudizio su parametri nuovi che vengono diffusi, gridati, urlati nelle pagine web.
Facebook prima era territorio adolescenziale ora è principalmente terreno adulto e per tale motivo diventa per i giovani la motivazione principale per direzionarsi su un social diverso, in questo caso Instagram, nel quale si parla principalmente con il loro slang iconico e rappresentativo per trasmettere ciò che si pensa, chi si è, dove si sta andando e cosa si sta facendo.
Adolescenti che partono, adulti che seguono e nelle peregrinazioni mediatiche alcuni di loro, compattandosi in gruppi con caratteristiche di appartenenza similari, ritrovano un loro fare adolescenziale e perdono di vista il loro ruolo educativo e formativo che dovrebbe rimanere tale anche sotto le spinte del vento di ribellione e distacco, nel quale il giudizio e critica è nella messa a verifica del ruolo genitoriale piuttosto che su comportamenti di regressione.
Nei discorsi dei ragazzi, a scuola, nei gruppi, negli stessi social, sta emergendo sempre più con maggiore chiarezza quanto i figli rimangano sbigottiti dai comportamenti poco educativi dei genitori che li imitano nelle pubblicazioni di selfie e immagini ritoccate in cui emerge in modo preponderante l’allontanamento del loro essere rivolti a loro e la centratura nel ritrovare aspetti del loro stesso sé giovanile ormai lontano.
Nel momento in cui mi espongo e l’invito ad esporsi nel web assume toni esponenziali, mi metto nelle condizioni di essere osservato, a volte compreso altre giudicato, in un proliferare di like ma anche di commenti negativi, derisioni, rispetto ad una forma che mostro e che ingloba un contenuto che ha difficoltà ad essere visto e il più delle volte, soprattutto per gli adolescenti viene celato. Occhi puntati questa volta sul gruppo, che segue, giudica fornisce indicazioni e nuovi linguaggi, che forse per la prima volta nella storia, il gruppo degli adulti tende ad emulare e far propri.
Quanti di noi, hanno cambiato l’immagine del profilo WhatsApp per comunicare a qualcuno un proprio stato d’animo o un messaggio criptato come gli adolescenti sono ormai soliti fare? Quanti altri hanno controllato i profili di amici per sbirciare nelle loro vite? Quanti gruppi classe sono stati creati per agevolare le comunicazioni tra genitori e quanti vengono invasi da conversazioni fuori luogo e fuori tempo? Forma di genitori che seguono e che si perdono nel narcisismo social dell’apparire agli occhi degli altri come un buon e, permettetemi di dirlo, moderno e simpatico genitore perdendo di vista l’obiettivo primario della protezione dei propri figli.
Giudizio che dilaga nel gruppo di adulti che, criticano, giudicano la fortezza adolescenziale per ritrovarsi spesso nel web ad emulare gli adolescenti alla ricerca spasmodica di un proprio spazio proiettivo nel quale ci si dimentica, per un po’, delle problematiche che ci sono in casa, al lavoro, nei rapporti siano essi amicali, coniugali, familiari o con i propri figli adolescenti che sgomitano per proteggere il loro spazio vitale fino a divenire grilli parlanti, generazionalmente invertiti, nel tentativo di riportare mamma e papà nell’abito valoriale che dovrebbero indossare nel loro ruolo educativo, anche nel momento dello scontro/riscontro di quanto seminato nel loro percorso di crescita.
Fermiamoci un attimo:
Il nostro ruolo educativo non finisce con l’adolescenza dei nostri figli, ed anzi questo è un momento clue per mettere alla prova e verificare quanto si è costruito nella traiettoria di sviluppo del bambino, mantenendo consolidati gli argini di un confine genitoriale che contiene, protegge ed è, nonostante gli scontri e le critiche, ancora carico di direttive e autorevolezza.
John Bowlby il padre della teoria dell’attaccamento amava ripetere che il ruolo della base sicura in adolescenza è quello di attesa, ma non è per questo meno vitale. Non riempiamo questa attesa di narcisismi mediatici, che logoreranno la nostra capacità critica, ma manteniamo lo sguardo dritto sui passi di svincolo dei nostri figli pronti ad accoglierli se cadranno e a spingerli avanti se tentenneranno rafforzando il confine educativo di valore e sano senso del giudizio.
BUONA ATTESA
E
COSTRUTTIVO SCONTRO!
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- Scritto da Barbara Volpi
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Fermo immagine: ore 9.30 Circo Massimo Roma:
SE….
Matteo, un bambino di 6 anni sale su una colonnina alta quanto lui, ha difficoltà a farlo ma non demorde. L’equilibrio precario con cui si muove e con cui cerca in maniera gloriosa di portare a termine la sua impresa, viene minato dal fatto che nella mano destra stringe con forza il cellulare. Nel momento in cui riesce finalmente a salire, ignaro della bellezza che lo avvolge, si mette davanti alla faccia il telefonino e attua/mima il gesto ormai consueto del selfie. I genitori continuano a camminare davanti a lui e sorridono orgogliosi di un fare simil adulto-tecnologico che è nelle mani dei bambini ed è entrato “naturalmente” nei loro gesti.
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L’incontro uomo-pc, dispositivi digitali, nuovi media, è stato progettato nella sua straordinaria potenzialità progressista, con l’obiettivo/speranza di fornire all’uomo una strumentalità ideale che gli permettesse di godere della sua genialità di essere protagonista e artefice di un avanzamento tecnologico predisposto per essere governato da lui e al suo servizio.
- Scritto da Barbara Volpi
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Che l’avvento di Internet, e nello specifico dei social, abbia cambiato il nostro modo di comunicare lo sapevamo già, e soprattutto lo viviamo giorno per giorno nel qui ed ora della rincorsa whatsappiana che condensa in modo repentino il nostro fluire di pensieri e parole molto spesso “non dette”, ma trascritte nel mix enciclopedico di immagini, audio minimal, riduzioni sintattiche per stare al passo con i tempi e velocizzare/ampliare i nostri contatti alla ricerca dell’ iperconnessione costante e quantitativamente elevata che ci permette di cacciare con mano l’ombra inquietante della solitudine.