Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e di conseguenza anche le relative diagnosi: genitori e docenti sono, infatti, più sensibili a queste problematiche anche grazie alla consistente in-formazione che si è diffusa a seguito della legge n.170/2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” e al documento redatto dalla Consensus Conference P.A.A.R.C 2011 che ha definito le linee guida per la diagnosi e il trattamento dei DSA.
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento si possono definire come un gruppo eterogeneo di disordini che si manifestano con significative difficoltà nell’acquisizione e uso di abilità di comprensione del linguaggio orale, espressione linguistica, lettura, scrittura, ragionamento o matematica (Cornoldi, “Difficoltà e Disturbi dell’Apprendimento”, 2007).
{xtypo_quote_right}Aiutare i ragazzi dislessici a prendere coscienza che le loro conoscenze didattiche o esperienze emotive si possono esprimere in modo diverso, e non necessariamente dialettico, li solleva dal peso da cui si sentono schiacciati: l’ingorgo dei loro pensieri che non riescono a esprimere che li porta, spesso, ad assumere atteggiamenti depressivi. {/xtypo_quote_right}
Varie ricerche hanno evidenziato come tali difficoltà hanno una ricaduta sulla sfera emotiva di questi bambini che si struttura attorno a specifici pattern di emozioni: un concetto di Sé più negativo, livelli di ansia più elevati, sensazione di essere meno supportati emotivamente, scarsa autostima, percezione di non essere responsabili del loro apprendimento, scarsa resistenza alla frustrazione e ai rinforzi che arrivano dall’adulto a causa della fatica a sviluppare processi di autoregolazione. Tali stati spesso influenzano lo sviluppo identitario dei bambini con questa diagnosi poiché sono a contatto quotidianamente con le loro difficoltà e le conseguenti ripercussioni nel contesto scolastico.
L’ambito scolastico è infatti per loro estremamente importante dal punto di vista della crescita formativa a più livelli: didattica, personale, sociale. Sono stati predisposti molteplici strumenti a sostegno dei bambini con DSA, alcuni “obbligatori” per legge come gli strumenti compensativi e le misure dispensative, altri caldamente consigliati dai professionisti del settore come, ad esempio, un sostegno mirato durante lo svolgimento dei compiti per acquisire un metodo di studio ad hoc in base alle specifiche caratteristiche e risorse. E’ proprio sulle abilità di questi soggetti che qualsiasi intervento rivolto a loro dovrebbe puntare piuttosto che sulle dis-abilità, per evitare che essi stessi si identifichino nelle loro difficoltà.
Per questo motivo, accanto alle utilissime indicazioni ad alunni, genitori e insegnanti su “cosa fare” dopo aver ricevuto la diagnosi e come “sopravvivere” ad essa, si è pensato di strutturare un intervento diverso che desidera affiancarsi ai classici aiuti: un gruppo di messa in parola delle emozioni. L’idea sottostante a questo tipo di intervento è quella di poter elaborare la diagnosi in una prospettiva di senso, dando voce ai sentimenti. Talvolta si rileva la fatica dei genitori a condividere con il figlio gli esiti della valutazione, quasi si evita di nominare la parola dislessia o disturbi dell’apprendimento non considerando che spesso ciò che non si dice equivale a qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi. Riteniamo fondamentale la presa di coscienza circa il significato dell’essere dislessici anche per aiutare i bambini a comprendere le proprie fatiche e individuare soluzioni personalizzate per farvi fronte. Questi ragazzi, per esempio, spesso non possiedono una buona capacità narrativa a livello verbale ma si traducono bene attraverso le immagini o altri linguaggi espressivi (poesia, esperienze emotive tradotte da altri, teatro, musica..). Aiutare i ragazzi dislessici a prendere coscienza che le loro conoscenze didattiche o esperienze emotive si possono esprimere in modo diverso e non necessariamente dialettico li solleva dal peso da cui si sentono schiacciati: l’ingorgo dei loro pensieri che non riescono a esprimere che li porta, spesso, ad assumere atteggiamenti depressivi.
{xtypo_quote_left}Dare parola al bambino e ai suoi stati d’animo è un primo passo verso la sua soggettivazione{/xtypo_quote_left}
Dare parola al bambino e ai suoi stati d’animo è un primo passo verso la sua soggettivazione che passerà attraverso l’individuazione di strategie alternative le quali diventeranno loro risorse per la vita: non limitarsi a “soluzioni-stampella” che si fondano sulle loro fatiche ma pensare a interventi con finalità evolutive.
I nostri gruppi di messa in parola hanno lo scopo di valorizzare gli aspetti alternativi, cogliere il “diverso” e puntare su di esso come una qualità. Del resto, la possibilità di condividere le proprie esperienze con dei compagni di viaggio che vivono le stesse difficoltà e di cui ci si può fidare, consente di non sentirsi soli e avvia un processo di ricostruzione della fiducia in se stessi. Il gruppo, infatti, aiuta a migliorare l’autostima, permette al bambino di sperimentarsi come soggetto attivo e lo rende maggiormente consapevole del proprio modo di funzionare. La possibilità di non sentirsi vittima del proprio “problema” ma agente attivo che, consapevole dei propri limiti è riuscito a trovare strategie funzionali al loro superamento, gratifica e rinforza il proprio Sé.