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All'interno di una comunità educativa per minori (14-18 anni), come in un nucleo familiare, il tempo sembra non bastare mai. Ma la sensazione di non averne porta di conseguenza a privilegiare l'azione al pensiero.

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Nella nostra comunità (Terzo Spazio di Arimo Cooperativa Sociale), negli anni, si sono fatti diversi e molteplici tentativi per sperimentare e praticare nella quotidianità una progettazione educativa, al fine di permettere all'educatore di essere presente nella sua “assenza pensata”.

Una vasta e nutrita rete sociale che spazia dal volontariato allo sport, dalle esperienze di lavoro a quelle ludiche, dentro e fuori dalla città, ha permesso ai nostri ospiti di allontanarsi e tornare, portando nuovi stimoli non solo per sé stessi ma anche per la stessa comunità.

Tuttavia trovare uno spazio di pensiero in comunità tra le molte incombenze è una dura impresa. Riuscire a stare accanto agli ospiti con uno sguardo vigile e allo stesso tempo accompagnarli in un percorso di crescita deve prevedere necessariamente una progettualità.

La “semplice organizzazione” della domenica in comunità, che solitamente prevede la proposta di alcune attività ricreative da svolgere insieme ai ragazzi e alle ragazze, dovrebbe invece partire dal pensiero inverso, ossia dalla sua complessità.

È risaputo, e vissuto nella maggior parte delle famiglie, che coinvolgere gli adolescenti in attività di partecipazione condivisa tra adulti e ragazzi, specialmente nel fine settimana, è da sempre un’impresa eccezionale.

Non mi concentrerò nello specifico su cosa sia opportuno fare, indicando quali attività svolgere o non svolgere con i ragazzi e le ragazze del servizio, quanto piuttosto mettere l’accento sul come costruire il clima necessario per poter praticare qualunque tipo di attività nel tempo libero per / e insieme agli ospiti della comunità.

Uno dei compiti principali di un educatore e di un’educatrice è vigilare, ma questo non può essere esercitato come una mera azione di controllo.

La riunione settimanale può essere considerata, o riconsiderata, come utile strumento col quale mantenere una presenza vigile sugli ospiti e che può trasformarsi per tutti come potente mezzo educativo. Uno strumento, dunque, da non dare per scontato, da non ripetere in maniera monotona e sempre uguale a sé stesso, da non assumere come compito incombente e sbrigativa mansione “da fare perché deve essere fatto”.

Uno strumento che, al contrario, deve essere condiviso tra tutti e da tutti come buona pratica, da programmare di volta in volta, alla luce dei processi e dei progetti in atto.

Dovrebbe essere uno strumento vivo e pulsante, animato dagli stessi ragazzi e dalle stesse ragazze. Non sempre la riunione deve trattare ciò che è accaduto durante la settimana. Perché acquisisca un reale significato per tutti basterebbe anche un piccolo momento in chiusura in cui, per esempio, introdurre la programmazione settimanale, rivedere alcuni fatti accaduti che necessitano di particolare attenzione, dare il benvenuto a un/a nuovo/a ospite.

Tuttavia è importante che il fulcro della riunione sia un’attività pensata e proposta, finalizzata a trasformare il “gruppo coatto” della comunità in un “gruppo di lavoro di crescita personale condivisa”.

La riunione dovrebbe essere un filo rosso che unisce e accompagna l'ospite in entrata e quello in uscita. Per l'educatore la riunione può diventare una modalità partecipata per entrare in punta di piedi nelle dinamiche di gruppo cercando di scardinare quelle potenzialmente dannose.

La riunione, in quanto “strumento democratico” per eccellenza, mette tutti sullo stesso piano e mostra le dinamiche antisociali attive nel gruppo degli ospiti, permettendo all'educatore di fare un lavoro di prevenzione anche di tali problematiche.

La riunione può mettere in luce le proprie qualità sconosciute facendo prevalere atteggiamenti costruttivi su quelli antisociali e distruttivi, restituendo così gratificazione rispetto al proprio buon funzionamento.

La riunione restituisce voce a chi nella quotidianità fatica a farla sentire, ne dà una nuova a chi nelle logiche comunitarie mostra comportamenti oppositivi e trasgressivi. Contemporaneamente permette all'educatore di entrare nella comunicazione predominante in quel momento in comunità, comprendendone il linguaggio e dandosi la possibilità di introdurre un codice altro offrendo ai ragazzi e alle ragazze un’alternativa espressiva e di comportamento.

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Quello che segue è un episodio per poter entrare nel vivo di queste dinamiche.

Durante una riunione in comunità sono stati proposti agli ospiti diversi giochi di magia da imparare in venti minuti. I ragazzi sono stati divisi in due gruppi che nella seconda fase dovevano presentare a turno lo spettacolo. Un'attività finalizzata a creare collaborazione tra gli ospiti. Un ragazzo di uno dei due gruppi, con nette caratteristiche antisociali e grosse difficoltà d’attenzione, ha cercato di boicottare l'attività. L’educatrice lo ha invitato a non partecipare. A quel punto ha iniziato a muoversi nella comunità come un leone in gabbia. Ciò che lo ha fatto innervosire sono stati i suoi tentativi non riusciti di portare il gruppo dalla sua parte, quando invece gli altri ospiti erano molto coinvolti nell’attività. Il ragazzo, per rinforzare la sua mancanza di adesione al gioco, ha chiesto la lametta per farsi la barba. Quando gli è stato detto che non erano previste attività alternative a quelle in programma ha minacciato di arrabbiarsi ulteriormente e di arrivare a rompere tutto. La sua frustrazione è diventata sempre più alta e intensa, anche perché nonostante stesse alzando il tiro, il suo comportamento non stava ottenendo alcun effetto sul resto del gruppo. Sconfitto, è uscito fuori dalla comunità a fumare una sigaretta. Questo suo allontanamento è stato uno spazio di apertura alla comunicazione che mi ha permesso di raggiungerlo per parlarci. Nel corso di questo colloquio informale gli ho detto che quello che era accaduto era ancora recuperabile e che, lavorando lui sulla rabbia, questa sarebbe stata un’occasione di crescita. Invitandolo a tornare nel gruppo per assistere alla presentazione dei giochi di magia, l’ho poi lasciato da solo. Dopo poco è entrato, ritornando nel gruppo ad assistere allo spettacolo.

Successivamente insieme agli ospiti si è ragionato sull’attività e sulla situazione che si era creata. Il ragazzo ha portato riflessioni importanti rispetto a come di solito aveva vissuto il setting classe, e di come il senso di inadeguatezza lo avesse portato ad agire in quel modo. Tutti gli hanno restituito quanto in altre occasioni il suo contributo fosse stato importante nei momenti di condivisione.

L’episodio descritto permette di riflettere sul valore dell’esperienza di condivisione che avviene in questo “spazio”: la riunione porta a una messa in discussione di sé, a distaccarsi dai propri codici e a generare un cambiamento.

In merito alle attività da proporre si può attingere al materiale presente in diversi manuali che propongono attività di gruppo per adolescenti, da adattare necessariamente al proprio contesto di riferimento, valutando prima di tutto il clima presente in quel momento in comunità.

Consiglio di limitare la scelta a due/tre strumenti da ripetere nel corso delle riunioni in modo tale da renderli familiari e funzionali per un significativo lavoro di gruppo.

Ogni attività deve poi essere seguita da un momento di riflessione su ciò che è accaduto o che ha smosso. Alcuni esempi possono essere:

  • attività e giochi di conoscenza in cui sperimentarsi nel racconto di sé utilizzando il disegno o un testo di musica rap;
  • la descrizione della specialità culinaria legata alla propria tradizione familiare seguita da una votazione che ne decreta il vincitore e poi la realizzazione del piatto;
  • il disegno della propria casa dei sogni fatta a coppie con un altro compagno/un’altra compagna e la descrizione del progetto esposta al resto del gruppo;
  • parlare di sé, dei propri pregi e difetti per vedere se coincidono con quelli attribuiti dagli altri compagni;
  • utilizzare la formula del telegiornale per far raccontare ai ragazzi l'estate comunitaria appena passata assieme e filmarli;
  • inventare storie con finali aperti e lasciare ai ragazzi la possibilità di concluderle con la risoluzione di casi. Questo può essere un modo per affrontare il tema del conflitto, del bullismo o di altri ambiti, nel momento in cui l'equipe senta la necessità di capire che aria tiri nelle retrovie comunitarie;
  • piccole scenette teatrali pensate dagli educatori che possono stimolare gli ospiti a un sentire più empatico verso sé stessi e gli altri. Importante che ci sia un coinvolgimento partecipe degli educatori, che a volte possono anche esporsi, partecipando loro stessi alle attività proposte.

In conclusione, la riunione, così ridefinita, per quanto contrastata e vissuta spesso come “costrizione”, verrebbe vissuta dagli ospiti con maggior partecipazione e coinvolgimento.

Inoltre potrebbe diventare uno strumento utile agli educatori per mantenere un termometro costante delle dinamiche di gruppo, oltre che veicolo per introdurre un linguaggio diverso che possa porsi come alternativo a quello che in una comunità facilmente attecchisce. La riunione inoltre diventa uno strumento utile anche per gli educatori per sperimentarsi nella tenuta del gruppo, per affiatarsi con il collega e usare quell'alleanza maturata nel lavoro quotidiano in comunità.


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