Ognuno di noi ha un bagaglio da portare. Lo ha detto un ragazzo, arrivato minorenne in Italia da un paese lontano, al giornalista Luca Attanasio ricordando le parole del padre.
Perciò Luca ha intitolato “Il bagaglio” la sua inchiesta sui minori stranieri non accompagnati. La storia di quel ragazzo compare insieme a tante altre che l’autore ha ascoltato e riconsegna a tutti noi, con il libro e nelle presentazioni su e giù per l’Italia.
Ascoltarlo è davvero un piacere, perché è bravissimo e comunicativo. Obiettivo numero uno del suo intervento: sfatare le leggende che alimentano discriminazioni e razzismo. A seguire: far comprendere che la terra è una sola, è in serio pericolo, ed è semplicemente umano se chi si trova in condizioni impossibili per guerra, dittature, povertà, disastri ambientali… cerca una vita migliore per sé e per i propri cari.
Luca ha con sé dati aggiornati che ridimensionano i contorni del fenomeno migratorio – e no, non c’è nessuna invasione nel nostro paese – e confermano quel che già sappiamo: noi italiani siamo al primo posto per ignoranza su quello che ci succede intorno. A Ferrara ne ha parlato a un pubblico di cittadini – tra questi, parecchi tutori volontari che hanno scelto di affiancare i ragazzi stranieri soli ospitati in città – e l’indomani in una tivù locale e in un liceo, di fronte a cinque classi. I ragazzi erano preparati e avevano tante domande. La questione migratoria ci interessa tutti, se non per altro per quanto spazio occupa sui media nazionali.
Leggo negli stessi giorni di una polemica scoppiata a Modena con riverberi anche nazionali intorno a un laboratorio sensoriale che dava la possibilità di provare le sensazioni dei migranti durante la traversata del Mediterraneo. Non ho vissuto l’esperienza e mi dispiace, per me e anche perché non è bello parlare delle cose per sentito dire. Mi pare lo critichino con scioltezza diverse testate giornalistiche riportando lo sdegno di alcuni esponenti politici che lo hanno considerato “indottrinamento pro-migranti”.
Giova dire intanto che l’esperienza è al secondo anno, ma nel 2018 non ha destato scalpore, d’altra parte non c’erano elezioni regionali in vista. Faceva parte di un programma molto ampio, quello del Festival delle migrazioni, proposto da numerose organizzazioni, supportato da un buon coordinamento scientifico e articolato in convegni, dibattiti, proiezioni, testimonianze e altro ancora.
Qualcosa di più su “Alle radici” lo ricavo dal sito di un’organizzazione pericolosamente sovversiva, l’Ufficio Missionario della Chiesa di Modena-Nonantola. Scopro trattarsi di un laboratorio organizzato dall’Ufficio missionario diocesano insieme alla Caritas e a Bambini nel deserto.
“Cosa c’è dietro i viaggi della speranza? Cosa spinge una famiglia a partire? Cosa provano le persone costrette a lasciare la propria casa e i propri affetti? «Alle radici» vuole dare a ciascuno la possibilità di interrogarsi in modo più profondo sul tema migrazione, e lo fa limitando le mediazioni, facendo immergere il partecipante in un’esperienza il più possibile coinvolgente, ripercorrendo al contrario il viaggio dei migranti”. Gloria Guerra, una delle coordinatrici, racconta che «dalla teoria siamo passati alla pratica, nella quale abbiamo cercato di rivivere a ritroso il viaggio dei migranti, attraverso le sensazioni, le paure, gli odori e i rumori che lo caratterizzano».
Qualcosa di simile raccontano i detrattori descrivendo scandalizzati che i ragazzi venivano bendati, fatti salire con i piedi nudi e bagnati su un gommone, dove un ventilatore gli soffiava in faccia aria fredda e di tanto in tanto spruzzi d’acqua simulavano le onde. C’era anche una visita medica con qualche spintone e un dottore che li faceva inginocchiare.
Quello che mi è mancato di capire, è perché questo sia indottrinamento e non un’attività didattica, come se ne fanno ad esempio nel settore della disabilità, con le cene al buio per fare esperienza della cecità o percorsi in sedia a rotelle per sperimentare l’impatto delle barriere architettoniche. Cerco una via. Se lo scandalo è che “i nostri figli” siano indotti a provare esperienze spiacevoli, bisognerebbe chiedersi perché sia sopportabile che tocchino ai “figli degli altri”, peraltro non simulate ma reali, non per un’ora ma per giorni, e non in un contesto laboratoriale protetto.
Gli studenti erano certi che nessuno avrebbe davvero fatto loro del male, che un naufragio era impossibile, che il viaggio simulato non avrebbe ucciso qualcuno dei loro cari e non li avrebbe separati da loro… insomma avevano parecchie garanzie che i migranti di tutte le età credo apprezzerebbero molto. Se invece si vuol dire che sono state simulate delle falsità, consiglio di ascoltare le tante, tantissime testimonianze ormai a nostra disposizione per rendersi conto di come la simulazione abbia inscenato una minimissima parte delle atrocità reali.
Questo risentirsi insuperbito – i nostri ragazzi non devono mettersi nei panni dei migranti! – mi sembra ci riconduca al rapporto tra diritti e privilegi, al nostro modo di porci dinanzi alla diseguaglianza, alla relazione tra ciò che chiamiamo noi e ciò che consideriamo gli altri.
Certo non è un caso se su questi temi preme così tanto una parte, importante sebbene forse non maggioritaria, della Chiesa, e Papa Francesco per primo. Indica una via di apertura, accoglienza, ascolto rivolti a chi ci viene incontro come fratello sfortunato. Il termine “fratello” qui è voluto, ha un senso preciso nel Vangelo. Subito mi rievoca le parole con cui Aldo Capitini invitava a farsi ognuno madre all’altro, e un fratello, una madre non vorrebbe, non vorrebbero mai che ai propri cari toccassero sevizie, violenze, torture, restrizioni della libertà, rischi inenarrabili e forse la morte.
“Rendiamoci conto”, diceva ancora Luca Attanasio, “che ricondurre in Libia chi sta cercando di scappare è come fermare qualcuno che è scappato da Auschwitz e riportarlo indietro”.
Ci sono tendenze naziste in atto nella cultura non soltanto italiana. Lo ha spiegato bene Giuliano Pontara nella sua riedizione dell’Antibarbarie e ne ha parlato anche a Ferrara in questi stessi giorni. Nei suoi studi le tendenze naziste sono identificate con precisione, hanno al centro il culto della violenza e la sopraffazione del debole, come pure sono richiamati gli anticorpi della nonviolenza.
Anche con Giuliano parecchie classi di scuola superiore si sono confrontate, nella mia città, solo pochi giorni or sono, e i messaggi degli studenti sono stati incoraggianti. Nelle loro parole l’incontro è stato bellissimo, molto interessante, davvero illuminante, magari ci fossero più persone come lui.
Mi convince sempre più che i ragazzi ci chiedono quest’opera di formazione e di testimonianza. Devono preparare il loro bagaglio per il viaggio che auspichiamo lungo, intenso e ricco di scoperte ma il bagaglio, lo abbiamo capito, ce lo consegnano i padri e le madri.
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta