Non mi piace lo strapotere delle emozioni.
Senza sottovalutare nulla, la passione con cui i miei connazionali a ogni livello, dai decisori della politica all’opinione pubblica, stanno rispondendo ai bisogni dei profughi afghani (con i luoghi di accoglienza che non sanno più dove mettere la roba) mi piacerebbe di più se venisse offerta anche a chi fugge da altre guerre, da altre torture, da altre oppressioni.
E forse accadrebbe, se quelle guerre, torture e oppressioni entrassero nelle nostre case e nei nostri pensieri con maggiore intensità. Alla guida della compassione ci sono i media, sono a loro a dirci con chi empatizzare.
“Sono il primo a dire che bisogna sostenere, a tutti i livelli, l’impegno della comunità internazionale di fronte al dramma che si sta vivendo in Afghanistan, ma è giusto ricordare che ci sono altri territori e paesi nei quali vengono quotidianamente negati i diritti umani e diritti fondamentali come quello alla salute, all’istruzione, al cibo”, ha affermato in proposito qualche giorno fa il sindaco di Lampedusa e Linosa Salvatore Martello, dopo gli sbarchi di quasi 800 persone sulle sue coste nel giro di poche ore.
Tra i nuovi arrivati, come sempre, erano presenti diversi msna, minori stranieri non accompagnati. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ne tiene il conto mese per mese. Il report aggiornato al 31 luglio scorso parla di 8.382 under18 presenti in Italia, quasi tutti maschi (96,9%) e dai 15 anni in su (95,1%). Tra i paesi di provenienza l’Afghanistan è al decimo posto (207 ragazzi, 2,6% del totale), destinato forse a scalare la classifica in queste settimane. Sul podio ci sono Bangladesh (2.175, 25,9%), Tunisia (1.352, 16,1%), ed Egitto (829, 9,9%), quindi Albania, Pakistan, Costa D’Avorio, Guinea, Somalia, Eritrea. Di alcuni di questi Paesi so molto poco. Di altri mi è facile immaginare che, quanto a riconoscimento dei diritti umani e a possibilità di crescere in modo equilibrato, lascino un po’ a desiderare.
I giovanissimi arrivano con le imbarcazioni e via terra, partono bambini, sono pieni di speranza. Redattore Sociale ha divulgato la storia di Abel (nome di fantasia), un ragazzo eritreo di 16 anni che Unicef ha incontrato e soccorso a Ventimiglia.
“Aveva solo dodici anni quando ha lasciato il suo Paese, non si è fatto frenare né dalla sua giovane età né dai pericoli che il viaggio verso l’Europa comporta. Ciò che voleva era costruirsi una vita migliore, così da poter aiutare sua madre, rimasta a casa ad aspettarlo. Dopo aver lasciato l’Eritrea con un amico, ha attraversato il Sudan ed è arrivato in Libia. Il suo percorso nel Sahara è stato particolarmente difficile e doloroso essendo più volte stato rapito e vittima di tratta. In Libia è arrivato al centro di detenzione Bani Walid, dove è rimasto per circa un mese, poi i trafficanti lo hanno trasferito in un altro centro per 7 mesi. Durante il periodo in Libia, Abel è sopravvissuto ad episodi di violenza ed è stato testimone di innumerevoli crudeltà. Alla fine, è riuscito a salire su quella barca per l’Europa”.
Per lui l’Italia è solo un luogo di transito. Il problema è uscirne. “Il ragazzo raccontava che aveva speso la notte in un insediamento informale vicino alle vecchie rotaie del treno, ormai in disuso, con altri migranti. Ha chiesto al team sul campo se potevano indicargli un posto caldo e sicuro dove poter dormire la notte seguente, perché la temperatura è spesso molto bassa nelle ore notturne. Il team ha fornito ad Abel informazioni utili, anche sui diritti dei minorenni in Italia, sulla protezione internazionale e sulle procedure per il ricongiungimento familiare. Ha inoltre illustrato i pericoli dell’attraversamento del confine con la Francia e fornito al ragazzo un kit con beni di prima necessità”.
Per i minorenni rifugiati e profughi, dal 2016 Unicef ha in corso un programma che si pone alcuni obiettivi fondamentali: lavorare nei paesi di provenienza sulle cause della migrazione e, qui in Italia, impegnarsi per garantire scuola, salute, accoglienza, riconoscimento legale, protezione da violenza e sfruttamento, ricongiungimento familiare ove possibile, contrasto del razzismo e delle discriminazioni nella società che li accoglie. A Ventimiglia lo svolge insieme a Save the Children, e aiutare ragazzi come Abel a proseguire il viaggio anziché trattenerli è una scelta che si comprende e commuove, pensando alle incertezze che ancora si presenteranno nel compimento del viaggio.
Per chi resta in Italia sappiamo che qualcosa si prova a fare. Nell’agosto scorso sono quasi raddoppiati i posti per l’accoglienza di MSNA (3.000 in più per un totale di 6.698), a sostegno della rete dei Comuni aderenti al progetto Siproimi. La sigla sta per Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati. È l’erede del precedente progetto Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) e, in continuità, prevede l’accoglienza dei ragazzi e il supporto al loro percorso scolastico, lavorativo, di regolarizzazione sul territorio e di integrazione, anche attraverso la figura dei tutori volontari di cui anche qui si è parlato più volte.
Sul fronte dell’accoglienza in famiglia per neomaggiorenni, in Emilia-Romagna si muove il progetto Vesta promosso dalla cooperativa Cidas. A Bologna su quest’onda è nata l’associazione “Famiglie accoglienti” presieduta da Fabrizio Tonello, docente di Scienze Politiche all’Università di Padova. Moussa, il ragazzo che insieme alla moglie ha accolto, ora ha 20’anni, lavora e studia in Italia. È stato lui a intervenire in Piazza Maggiore a Bologna alla più importante manifestazione delle Sardine portando la propria testimonianza e ringraziando i padri costituenti per avere previsto l’accoglienza di chi è costretto a fuggire dalla propria terra.
Il padre italiano di Moussa, Fabrizio Tonello appunto, noto per la sua attività di divulgatore su temi socioeconomici quali la fine del capitalismo, le diseguaglianze, le elezioni statunitensi… è anche autore di un libro per bambini sulle migrazioni, “Il lungo viaggio di Cip e Tigre”, edito da Carthusia e illustrato da Aurélia Higuet. Lo ha scritto per avvicinare i più piccoli e i loro educatori (genitori, nonni, insegnanti…) al tema della migrazione con sguardo aperto, e per far comprendere qualcosa di più sulla rotta balcanica. La gattina Cip e Tigre la attraversano con mille difficoltà. Riescono a superarle grazie alla loro amicizia, alla perseveranza, e alla solidarietà che incontrano in altre creature. A proposito, su quella rotta è probabile incontrare profughi afghani… insieme a tanti altri.
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta