“Io glielo dirò, domani, cosa avete fatto. Entrerò in classe e leggerò ai miei studenti le dichiarazioni del ministro che ha detto: «Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità». Le leggerò e mi siederò lì ad ascoltare cos’hanno da dire. Hanno dodici anni, i miei studenti. Ed è giusto che sappiano”.
In questi giorni, in tanti abbiamo letto questa frase. È l’incipit della lettera che Enrico Galiano, docente di lettere in una scuola media del Friuli Venezia Giulia e scrittore, ha pubblicato sui social all’indomani della strage di Cutro, nella quale a oggi, 7 marzo, hanno perso la vita settanta persone, mentre altre restano disperse e cinquanta sopravvissuti sono stati accolti.
Nella desolazione che ci coglie tutti mi piace mettere l’accento sull’impegno della scuola. Quella fatta da insegnanti che preparano i ragazzi a un mondo giusto, non al mondo alla rovescia di cui scrive con amara ironia il maestro Mauro Presini.
“Nella scuola del mondo alla rovescia si può stare tranquilli perché va tutto molto bene. Nella scuola del mondo alla rovescia si insegna a subire la realtà invece che a cambiarla, a dimenticare il passato invece che ad ascoltarlo, ad accettare il presente imperfetto invece di immaginare un futuro anteriore, a vedere il prossimo come una minaccia e non come una promessa”.
Gli insegnanti che preparano gli allievi secondo i principi costituzionali esistono e io ho la fortuna di conoscerne diversi.
Ad esempio Emanuela Garimberti, docente di lettere in un istituto comprensivo del bolognese, il 28 febbraio 2023 scrive su Facebook:
“Oggi all’ingresso nella mia terza: «Prof., facciamo qualcosa per prepararci alla prova Invalsi?».
«Certo, leggiamo un quotidiano. Facciamo esercizio di comprensione. Sapete cosa è successo ieri?».
E l’ho fatto. Ho messo la prima pagina di un giornale alla Lim. Anzi, li ho aperti tutti i quotidiani italiani di oggi, da destra a sinistra. E poi abbiamo cercato la tragedia di Crotone. Abbiamo guardato in che posizione stesse la notizia, con quale titolo e quale occhiello, quali parole ed espressioni ci colpissero e di che segno fossero.
Volutamente non ho detto la mia opinione, non ce n’è stato bisogno. Loro hanno capito bene quello che c’era da capire, da soli. E molti non hanno trattenuto lo sdegno, qualcuno anche la commozione.
Avevamo parlato dell’altra sciagura del 2013 nei mesi scorsi, perché ci stavamo preparando ad accogliere uno dei giusti di Lampedusa, che verrà a scuola da noi a marzo.
I miei ragazzi e le mie ragazze hanno voluto confrontare i dati, le rotte, le diverse politiche. Hanno chiesto i numeri complessivi. E le responsabilità. Hanno fatto controproposte.
Poi, perché alla consapevolezza si unisse una risposta costruttiva, ha proposto di contribuire alla coperta di Yusuf, quella che la biblioteca di Lampedusa sta realizzando cucendo insieme quadrati di lana variopinta, dieci centimetri di lato, che arrivano da tutta Italia accompagnati da lettere e messaggi di solidarietà. La classe partecipa, come scrive l’insegnante il 4 marzo scorso, “nel ricordo di Yusuf, di Ayman, degli altri bimbi e bimbe, di tutti i morti sulla costa calabra, di quelli di Lampedusa e dei molti altri migranti, per terra e per mare, che hanno inseguito il sogno di una vita più giusta. Forza! Tutti con lana, ferri e uncinetto per far arrivare a Lampedusa quadrati di maglia 10x10cm. Il 20 marzo li consegneremo di persona a uno dei Giusti di Lampedusa. State con noi. Sferruzzate!”
Un’altra Emanuela, sua collega in un istituto comprensivo di Ferrara, ha parlato della strage di Cutro in una prima su richiesta dei ragazzi che sentono il bisogno di dare un senso alle notizie che arrivano anche addosso a loro.
«Abbiamo letto i giornali, visto i commenti trasmessi in tv, e ho lasciato che fosse la classe a esprimersi. I miei studenti sono bambini di 11 anni e per loro è evidente che chi annega prima di tutto deve essere soccorso. Poi ho chiesto se qualcuno tra loro ha dei familiari in altri Paesi e quasi tutti hanno alzato la mano. Chi ha parenti in Francia, chi in Germania, Svezia, Inghilterra, Austria… È naturale per loro immaginare che le persone abbiano bisogno di viaggiare per migliorare la loro vita, e anche che si attraversi l’Italia o altri Paesi per arrivare a destinazione».
Accosto queste piccole storie, immagino ce ne siano molte altre nella scuola italiana grazie a tanti e tante che insegnano con passione e impegno, e mi sembra un segno di speranza. Per crescere una generazione di adulti migliori, che non ripudino la loro umanità ma al contrario vi si tengano ben stretti.
Poi penso ai giovani che si allontano dalla politica o a come, piuttosto, è la politica ad allontanarsi da loro. Quando ci prova li circuisce, li fa sentire protagonisti, li diverte o li lusinga. Come si fa coi clienti, ho imparato. Ma non li raggiunge, loro corrono più lontano, ogni volta che trovano maestri in grado di stimolare e reggere il passo. Penso al nostro presidente emerito, Daniele Lugli, che non si stanca di andare nelle scuole a ogni invito, come poche settimane fa per spiegare a classi di adolescenti come è nata la guerra in Ucraina.
Ah, a proposito di Ucraina…
Un’insegnante di scuola primaria proprio in questi giorni mi ha parlato di classi dove non c’è un solo bambino italiano e di una città, la mia, dove un bimbo arrivato dall’Ucraina insieme alla mamma, con il papà lontano e segni evidenti di traumi dovuti alla guerra in corso, è stato incontrato dal servizio sanitario, in perenne carenza di personale per la presa in carico dei minorenni, dopo oltre un anno dalla richiesta, nonostante l’evidente necessità. Gli hanno sottoposto una bella sfilza di test cognitivi che gli sono valsi una diagnosi di dislessia, del tutto slegata da ciò che ha vissuto. Con quella, però, avrebbe almeno il diritto a qualche ora settimanale di sostegno, ma non ci sono i fondi per pagare un insegnante per cui i docenti della classe lo aiutano come possono sostenendosi a vicenda e il prossimo anno, alle medie, ci penseranno altri.
La scuola pubblica bastonata e carente è anche questo, e ugualmente la politica potrebbe fare di meglio.
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta