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Mi è stato proposto di riflettere su che cos’è la violenza assistita ai tempi del coronavirus. Assistita, s’intende, quella violenza di cui i bambini sono testimoni, per l’appunto vi assistono, generalmente del papà sulla mamma anche se a dirla tutta può ricadere sul papà, su un fratello, un nonno, un animale, perfino su un vicino di casa. Mi attengo alla violenza sulla mamma, non per negare il resto, obbedisco alla statistica.

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Io non lo so di preciso cosa succede nelle case durante la quarantena, ma provo a immaginarlo e propongo di procedere per gradi. Allora immagina nel tempo di questo scritto di essere un bambino o una bambina.

Forse sei davvero piccolissimo, dipendente in tutto. I tuoi genitori sono il tuo specchio, la porta e il confine del tuo mondo. Non sai ancora dire quanto li ami ma li afferri e li cerchi con la mano, e quando hai bisogno di chiamarli piangi. Spieghi la fame, il bisogno di essere cambiato, il sonno, e anche la paura. Basta un rumore improvviso.

Forse hai 4-5 anni, non vai ancora alla scuola dei bimbi grandi ma alla tua sì e anche al parco il pomeriggio, hai degli amici, dei giocattoli. I tuoi genitori sono i veri supereroi, nessuno è più forte di loro. Se li vedi star male, di sicuro hai fatto qualcosa di sbagliato.

Forse hai 9, 10 anni, una lunga esperienza ormai, papà e mamma li osservi attentamente e anche loro pensano di conoscere te. Hai una vita intensa, c’è per lo meno la scuola e probabilmente anche uno sport, un amico o amica del cuore, una play, qualche libro. Quanto sei con i tuoi non vedi l’ora di raccontare le tue scoperte, e vuoi che ti ascoltino davvero.

Forse hai già 11 o 12 anni, incominci a sentire qualcosa di nuovo, profumo di adolescenza e nostalgia d’infanzia, nel valico hai bisogno di modelli, qualcuno che ti indichi il cammino.

Forse sei più grande, 15, 16, e quel profumo lo porti addosso. I tuoi li hai ridimensionati parecchio, sei anche in grado di pretendere o di giudicarli ma restano esseri umani da cui ti aspetti molto e che ami più di ogni altro, non vuoi deluderli, se uno di loro si ammala ti accorgi all’improvviso di amarlo disperatamente.

Allora adesso, se hai trovato la tua età bambina, immagina che da un tempo lungo, o da quando hai memoria, in casa ci sia tensione. I tuoi genitori litigano tanto e papà alza le mani, con la mamma, forse anche con te qualche volta. O forse no e se te le ha date è stato per sbaglio, perché tu eri in braccio alla mamma e non si è fermato, o perché ti sei messo in mezzo per farli smettere, o hai pianto così tanto che gli hai fatto montare il nervoso. Così hai imparato a non piangere, a non ridere, a non fare rumore. Trattieni il respiro finché papà è in casa. Se sei buono, se stai zitta, forse papà non si arrabbia, non urla con la mamma, non vi svergogna alle orecchie dei vicini. Se hai fratelli o sorelle più piccoli di te agisci per proteggerli, pensi io sono grande, io posso star male ma loro no. Schermando la loro paura ti prendi cura della tua.

Le tue giornate sono regolate da tante cose – la scuola, il gioco, i compiti, gli amici, lo sport – ma sopra tutte c’è un’altra variabile che le trasforma e le governa: la presenza o l’assenza di papà. Perché papà è il tuo supereroe, è il tuo antieroe, infine è un uomo che hai iniziato a giudicare e qualche volta non ne esce bene, non ne esce bene per niente, ma ti confonde perché in altri momenti è generoso, oppure simpatico, oppure capace. È bravo ad aggiustarti la bicicletta o orgoglioso di te quando ti accompagna a calcio. Poi si scurisce, e non sai il motivo. O forse c’è qualcosa che s’intromette – una bottiglia, una dose, una sequenza di gratta e vinci – si impossessa di lui e lo porta via ma per certi versi ti aiuta perché trovi il colpevole. In mancanza d’altro ti toccherebbe pensare che la cattiveria è in lui, non vuoi pensarlo, un conto per un uomo è sbagliare un conto è essere cattivo – e siccome quell’uomo è tuo padre, vuol dire essere, tu, il figlio di un cattivo. Quale germe avrà lasciato in te?

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C’è una patina posata sulle cose e toglie il lucido, c’è un miasma e tu lo assorbi, un fango alle caviglie e ci sei immerso. Gli episodi che punteggiano la tua vita sono tanti, li cuci uno all’altro, ottieni una collana di perle mai preziose, però brillano di lacrime.

Ti fanno ridere quando si preoccupano per ciò che hai visto ieri. O si risollevano perché è stato brutto, sì, ma tu non c’eri e non hai visto niente. Niente… Eri a scuola, va bene. Eri a scuola e friggevi sulla sedia, continuavi a chiederti se a casa era tutto tranquillo e cosa avresti trovato. Sei tornato e ti sei guardato intorno, se era tutto in ordine, i cappotti in entrata ti dicono chi c’è. Annusi l’aria. Se c’è silenzio, tu sai di che silenzio si tratta. Non sapresti spiegare come. Sai distinguere il silenzio di quando c’è solo mamma o solo papà in casa, quello di quando ci sono tutti e due e ognuno fa per proprio conto qualcosa, o il tempo tirato che precede o segue uno di quei litigi. E se è di questo che si tratta, ti annulli in quel silenzio e non lo smuovi.

Ma può anche darsi che sia successo ieri sera, dopo che ti hanno detto di andare nella tua stanza se hai la fortuna di averne una. Si pensavano assolti, tu eri di là. Credono davvero che tu sia tanto stupido, tanto sprovveduta, da non affinare i sensi per decifrare ciò che si dicono nell’altra stanza? E quando poi urlano c’è poco da intuire, sono le loro voci a venire da te.

In altri momenti sei proprio lì, accanto a loro, e non sai dove piazzarti tra la paura e la rabbia. Ti nascondi, piangi, ti paralizzi o invece intervieni, chiedi di smetterla. Non fai sempre la stessa cosa e non fai tutte le cose, io non ti conosco, dipende dalla tua reazione e resistenza al dolore, dalla tua competenza a maneggiare la rabbia e il dolore.

Ti fanno ridere quando si preoccupano per ciò che è successo ieri. Come se fosse quello il punto. Per che cosa ti hanno preso? Per una palla di gomma, che si deforma nella pressione e poi ritorna una sfera perfetta non appena la lasci respirare? Pensano che ogni cosa ti scivoli addosso? I grandi si sono dimenticati che come tutti loro, nel presente e anche alla tua età, impari il mondo da quello che vivi. Impari le leggi che informano il mondo, i ruoli nella casa e nella coppia, lo spazio delle emozioni e il modo di esprimerle. I fatti acquisiscono senso e si illuminano reciprocamente. Quello che è successo ieri lo cuci al giorno prima, alla settimana prima, l’ho già detto, e questo cucire non dà una somma ma un prodotto. Diventa una lente con cui guardi le cose, le persone, le relazioni.

Con precisione millimetrica costruisci nei giorni una capacità di previsione. Attenua l’ansia di svegliarti al mattino, o di tornare da scuola ogni giorno, domandandoti come andrà oggi. Se però hai proprio molta sfortuna papà e mamma non litigano per un fatto specifico e di valore ma per un’increspatura nell’aria che tu non puoi vedere e traduce un fatto, minimo, nel principio di una tragedia, tipo quelle che studi a scuola ma senza eroi. Quello stesso fatto che sarebbe rimasto minimo qualche ora prima, d’un tratto muove le faglie della terra. Così tu, che hai un controllo perfetto su di te e su tante cose, ancora una volta ti accorgi che non hai il controllo di niente, non domini proprio niente, perché quel che ti era rimasto lecito è inaudito da oggi o quando meno te l’aspetti. Quella risata o quello scherzo ha perso il diritto di cittadinanza, di nuovo forse potrebbe riguadagnarla domani ma a stento lo saprai perché l’avrai già depennato, non lo oserai più.

E se ora hai capito e sentito questo che ti ho detto, prova a immaginare che in giro ci sia una pandemia. Un virus temibile e sconosciuto che sta facendo morire tante persone e costringendo tutti, ammalati e no, a rimanere in casa. E immagina che quell’unica variabile che determina e governa le altre, la presenza di papà, se prima assumeva valore 1 o 0 se c’era o non c’era, adesso sia fissa sull’1, sempre ogni giorno ogni momento, e tu non possa allentare il controllo mai. Non hai più da chiederti se è tornato dal lavoro perché non lavora, o se verrà lui oggi a prenderti a scuola perché non vai a scuola. Semplicemente è lì, come te, come la mamma e i tuoi fratelli o sorelle se ne hai. C’è tutto il giorno. Tutto il giorno. Tutto il giorno.


testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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