Qualche anno fa, in una ricerca sulla violenza tra gli adolescenti che ha coinvolto un campione di oltre 700 ragazzi e ragazze della mia città compresi tra i 15 e i 18 anni, abbiamo presentato, tra gli altri, questo episodio: “A una festa tra amici Anna, 15 anni, viene convinta a bere alcolici e a prendere droghe.
Mentre è sotto l’effetto delle sostanze tre ragazzi si approfittano di lei”. (Tengo a precisare che la formulazione della domanda, in particolare quel “si approfittano di lei”, è stata elaborata riprendendo il linguaggio del nostro target di età). Abbiamo chiesto ai ragazzi come valutavano l’accaduto e chi doveva esserne ritenuto responsabile. Intrecciando le risposte abbiamo individuato 3 gruppi.
Moralisti (59% del totale, sia maschi che femmine): c’è stata violenza sessuale, ed è colpa di Anna;
Giustificazionisti (23% del totale, per due terzi maschi): non c’è stata violenza, quei ragazzi hanno solo esagerato ed è colpa di Anna;
Solidali con la ragazza (18% del totale, sia maschi che femmine): c’è stata violenza sessuale e Anna ne è la vittima
Soltanto questo gruppo si preoccupava per lei, dividendosi tra chi empatizzava con la sofferenza (è distrutta, si vergogna…) e chi la esortava ad andare oltre (non è stata colpa tua, vai avanti a testa alta…); gli altri due gruppi si riconoscevano nel biasimo (non doveva prendere alcol o droghe) e in piccola parte, un 10% circa di entrambi, le si accaniva contro (stupida, troia, ecc.).
Meno del 40% di chi riconosceva la violenza come tale (solidali e moralisti) consigliava la querela, ancor meno tra i giustificazionisti che al più le suggerivano di cambiare amici. Secondo questo gruppo i violenti erano stati trascinati dalla situazione o dalla compagnia, dovevano solo dimenticare eventualmente chiedendo scusa, mentre gli altri – sia moralisti sia solidali – speravano che “lui” riconoscesse l’errore attraverso l’autodenuncia (per 1 su 3) oppure nel dialogo con un adulto, forse uno psicologo.
Balza agli occhi come il ricorso alla giustizia sembrasse lontano, sia come giusta tutela sia come giusta sanzione. D’altronde ricordo molto bene ragazzi processati per aver commesso violenza sessuale su una ragazza, o perché in rete avevano diffuso immagini intime della ex, lamentarsi contro di lei che denunciando aveva rovinato la loro vita. Nessun peso era riconosciuto al proprio intervento sulla vita di lei, o forse i due piani – personale e giudiziario – sembravano lontani, sproporzionati, incomunicabili.
Interpellati su come evitare questi fatti, per le ragazze la scelta migliore (55%) era mantenere saldo il controllo di sé, solo pochissime (3%) pensavano che una loro richiesta di aiuto avrebbe richiamato soccorsi. Con tutta evidenza avevano introiettato l’idea che una fanciulla deve contare su di sé, non può lasciarsi andare senza che ci sia chi ne approfitta; una cautela apprezzabile se protegge da alcol e droghe, ma non si può ignorare che il bisogno di controllarsi neppure sfiora i coetanei maschi.
Per i ragazzi il freno era “sapere che non è giusto” (35%) oppure il rispetto per la ragazza che dice di no (23%). Pochissimi ritenevano che “se sei lì non ti puoi fermare”, ma diventavano una percentuale più significativa tra chi conosceva persone che avevano vissuto momenti come questi e tra chi tendeva a giustificare la violenza anche in altre relazioni, ad esempio con la propria ragazza o sui compagni più indifesi.
Ulteriori analisi statistiche tra diverse aree del questionario ci avevano permesso di ricostruire una coerenza di fondo ancor più ampia. Che i tre ragazzi avevano solo esagerato lo diceva chi considerava ammissibile la pretesa sessuale nella coppia quando il partner non vuole, chi aveva un senso morale inferiore alla media dell’età, e in molti casi chi era cresciuto assistendo alle violenze fisiche tra i genitori. (Avevamo rilevato anche le aggressioni verbali o psicologiche in famiglia, ma non risultavano correlate statisticamente con le altre variabili elencate).
Dopo la somministrazione dei questionari abbiamo riportato i dati in tante classi scolastiche per farne argomento di confronto e per diffondere alcune informazioni di base. Era sorprendente, per molti studenti, apprendere che la legge considera più grave la violenza sessuale quando è contro una persona che non è cosciente, in quanto non è in grado di scegliere in modo consapevole se vivere o meno quell’esperienza. Uno spunto di riflessione non banale sul valore del consenso nella relazione tra due persone, tanto più necessario in quanto “Anna” e i suoi “amici” erano molto più vicini di quanto non immaginassimo noi adulti. Nel nostro campione 1 su 7 dichiarava di conoscere personalmente una ragazza che si era trovata in quella situazione, e 1 su 6 conosceva un ragazzo che se ne era “approfittato”.
Ripenso a questo lavoro di ricerca mentre leggo che nella mia città, in questi giorni, una fanciulla di 16 anni è stata stuprata da uno spacciatore cui aveva chiesto una dose di cocaina a credito. Quel 15% di italiani (dati Istat) che considera la donna violentata parzialmente responsabile se è ubriaca, o quel 23% di adolescenti che nella nostra indagine dava la colpa ad Anna, chissà che cosa potrebbe dire di lei. Credo non mancherebbe di farcelo sapere se l’abusante fosse italiano. In questo caso non lo è e ci si può scialare nella condanna degli extracomunitari (e di chi è favorevole all’accoglienza, come questo includesse lo stupro), perdendo completamente di vista la ragazza. Per fortuna non è stata messa alla gogna ma neppure ci si è preoccupati più di tanto per lei, o per il suo precoce consumo di cocaina. Peccato, a 16 anni dovrebbe spaventarci e molto.
Nei giochi di società si danno punteggi. La combinazione femmina-italiana-consumatrice-stuprata riceve meno punti biasimo di quella maschio-straniero-spacciatore-stupratore. Meno male, naturalmente. Mi piacerebbe solo che a nazionalità invertite fosse lo stesso e purtroppo no, non ne sono sicura
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta