Essere oggetto di parole d’odio abbastanza a lungo ti fa svegliare la mattina – ammesso che tu abbia dormito – e aprire la connessione prima della finestra di camera, chiedendoti quale sarà oggi la tua razione indigesta.
Essere oggetto di parole d’odio mette la voglia di rispondere per le rime, e quella di rispondere nel merito, e anche di non rispondere affatto, anzi di querelare, no di scomparire. Sulle prime lascia rintronati, indispettiti, impotenti. Non ci credi, ti pare impossibile che qualcuno abbia tutto quel tempo da perdere, tutta quella miopia, tutta quella villania. Che qualcuno trovi interessante riversare il proprio livore su di te che nemmeno conosce.
Essere oggetto di parole d’odio abbastanza a lungo ti fa svegliare la mattina – ammesso che tu abbia dormito – e aprire la connessione prima della finestra di camera, chiedendoti quale sarà oggi la tua razione indigesta.
Se sei una donna, essere oggetto di parole d’odio implica quasi automaticamente sentirti appiattita sul tuo apparato genitale, sui tuoi supposti appetiti sessuali, radiografata per quello che secondo loro meriteresti, o stai agognando, o ti vorrebbero fare. E anche se non è una violenza sessuale – certo che non lo è – forse quello che hai dentro può ricordare qualcosa che succede anche dopo la violenza sessuale ed è sentirti ferita, violata, umiliata, calpestata, usata. Ridotta a pezzo di carne, non più persona.
(Ecco io ora questo voglio dirlo con il massimo rispetto per gli uomini: tutti potete avere letto l’ultima frase, ma non è la stessa cosa capirla come uomo o come donna per il fatto elementare che se sei un uomo hai inciso dentro di te nel profondo che non ti capiterà mai. Non c’è bisogno che ci pensi, probabilmente non ci pensi affatto, fa parte di te, come fa parte di ogni donna sapere che invece ti potrebbe capitare. Ed è diverso – credo – curare un morso consci di poter essere azzannati o stando sulla riva sicura, dalla parte di quelli a cui non succederà. Intendiamoci: non ci sono colpe o meriti in questo che sto dicendo. È proprio, soltanto, diverso, e bisognerebbe tenerne conto quando si valutano violenze come queste, sulla psiche e sul corpo).
Essere presa di mira per qualcosa di falso, qualcosa che non hai fatto o che non conosci, oppure per qualcosa che a tuo modo di vedere viene grossolanamente frainteso, ti spinge a cercare di spiegarti, con l’idea che certo, quelle persone sono molto arrabbiate e forse ferite e questo le fa straparlare, dipende dal fatto che non hanno capito, sono state ingannate, tu stessa non sei stata abbastanza chiara; se soltanto sapessero, se soltanto potessero ascoltare…
Poi, siccome sei presa di mira per qualcosa di falso, qualcosa che non hai fatto o che non conosci, e niente sgonfia le loro montature, cominci a pensare che se quelle persone davvero volessero ascoltare o capire non parlerebbero così, semplicemente hanno qualcosa sullo stomaco, qualcosa che non dipende da te, hanno bisogno di liberarsene nel modo più animale, stanno vomitando, hanno deciso di vomitare tutto addosso a te, ti hanno scelta come cloaca dove espellere tutta quella bile, e così ce l’hanno fatta finalmente, per oggi sei solo questo, una cloaca, che tu lo voglia o no.
Quando sei oggetto di parole d’odio pensi che chiunque legge e ascolta quelle parole e, seppure non le condivide di primo acchito, ripensandoci potrà venirgli il dubbio, si chiederà se non c’è forse qualcosa di giusto in quello che stanno dicendo, te lo ricordi il detto popolare, non muove foglia che non tiri vento, non c’è fumo senza arrosto, tante cose dicono i detti popolari, e chissà, forse anche quelle persone che hai incontrato nel tuo lavoro con cui ti era sembrato di collaborare, o quelle altre con cui hai condiviso brevi momenti casuali, che so, qualche viaggio in treno con una buona sintonia, non da dire che ci fosse amicizia o conoscenza approfondita, solo una buona cordialità, ecco qualcuno di loro probabilmente si starà facendo delle domande, si starà chiedendo cosa ci sia di vero dietro quell’odio, qualcosa certamente ci sarà, è impossibile che sia tutto inventato lo dicono anche i detti popolari, e non sei così egocentrica da credere che a questo dedicherà più di un istante, no, ma basterà, può bastare un istante per lasciare un piccolo segno, quello di un sasso appuntito su un vetro, che non fa grave danno, non impedisce di guardare fuori ma d’ora in avanti ci sarà quel segno, e l’immagine che poco prima era nitida non potrà più esserlo, quel piccolo marchio ci sarà, e nemmeno addosso a te che lo cancelleresti o almeno ci potresti provare ma sulla loro lente, non sono fatti tuoi se si conserva o no quel segno, o meglio non è nel tuo potere.
Quando sei oggetto di parole d’odio per un tempo abbastanza consistente – mettiamo settimane, mesi – tu stessa provi a pensare che qualcosa di sbagliato devi pure avercelo, e se non è nelle tue azioni perché lei hai ripassate e non hai trovato niente allora sarà dentro di te, è proprio lì, se ne sono accorti ti hanno svelata, sarà bene che tu ti renda invisibile per quanto puoi, sarà bene farsi dimenticare.
Quando sei oggetto di parole d’odio per settimane e mesi vivi col dubbio perenne su quale detto popolare si attagli meglio alla tua situazione, se reagire sia buttare acqua oppure benzina sul fuoco, se fai bene a restare immobile come certi animali per sfuggire alla caccia e sarà la volta buona che si dimenticano di te o al contrario inciterai il loro accanimento perché ti mostri debole, non rispondi neppure, possono proprio divertirsi alle tue spalle ancora un po’ tanto lo sai che ti hanno scelta con cura, se avessi le spalle coperte non lo farebbero, non le hai mai volute nella tua vita le spalle coperte e non riesci a pentirti eppure lo sai che se fossi pericolosa se ne guarderebbero bene, approfittano perché non sei nessuno, non sei di nessuno, alcuni tra quelli che pensavi più solleciti, proprio loro che avrebbero potuto aiutarti a ripulire il guano si sono fatti da parte ti hanno lasciata da sola, è stato come esporti alle correnti, sei indebolita, i coltelli non ti possono mancare.
Quando sei oggetto di parole d’odio provi a pensare che non ce l’hanno con te ma con quello che tu rappresenti, e neppure perché lo vuoi ma perché ti hanno scelta, appena il frutto di coincidenze, passavi di lì in quel momento eri tanto comoda, sei solo una specie di simulacro, perciò quello che dicono tanto varrebbe fartelo scivolare addosso, potresti anche smettere di entrare in rete a ogni santo risveglio – sempre che tu sia riuscita a dormire – facessero proprio tutto da soli, e così scopri che non puoi infischiartene perché hai bisogno di sapere, hai bisogno – anche – di prevedere e di capire cosa potrà esserci negli occhi di quella signora che non vedevi da un po’ e ti sembra saluti in modo diverso dal solito, e di mettere in conto che uno di questi giorni qualcuno tra quanti ti avevano chiesto una collaborazione ti cercherà e con gli occhi bassi, con le guance accese, Premetto che proprio non avrei mai voluto dirtelo e non dipende da me, io non credo a una parola di quello che dicono, ma sai com’è, i miei colleghi, sai, i miei coordinatori, sai, il contorno…
E siccome da troppo tempo sei oggetto di parole d’odio ti stanchi, non ce la fai a stare nell’impotenza, pensi che ci dovrà pur essere un modo per dire le tue ragioni, e in quel momento maturi la tua parte di odio, non quello distruttivo, non rispondi allo stesso modo perché aldilà di ogni imperativo morale proprio non ti appartiene, però vorresti affibbiare a loro un po’ del male che provi, non sai in che termini, forse ti basterebbe che capissero, o si scusassero, o fossero costretti a pagare qualcosa, ci sarà pure una giustizia in questo paese, e allora ti muovi, spieghi tutto a un avvocato che ti assiste e ti aiuta, ti conosce e ti crede, e infili in tante bottiglie i tuoi messaggi che poi sono querele non sapendo se, e quando, e chi le riceverà, se servirà a qualcosa, con quali lenti le leggerà, se tradotti nel suo linguaggio i fatti che gli hai raccontato saranno presi per quello che senti – un’ingiustizia, una violenza – oppure sembreranno un accidente qualsiasi, un po’ spiacevole semmai però non facciamola tanto lunga, i social si sa, la libertà di stampa vuoi mettere, parole un po’ forti ecco, tutto qui; e tu protesti no è ingiustizia, è violenza, dovrà pure trovare compensazione, non sai quanto ti costerà sotto ogni punto di vista, tempo denaro energie attese, ma vai avanti lo stesso, qualche cosa dovrai pur fare diamine, e prendi la via giudiziaria, la più pulita, eppure tanto incerta. Senti che funziona, per te intanto, sei più leggera, hai ritrovato un po’ della tua forza, ti pare di essere uscita da quell’impotenza inaccettabile eppure…
Ci vorrebbe qualcosa, ma che cosa, per ristabilire l’equilibrio? Vuoi riavvolgere il nastro: non si può. Allora spingerlo avanti: neppure questo si può. Passarci attraverso è l’unica possibilità, non sai come né per quali vie. Ti piacerebbe tanto che succedesse… non sai dire che cosa, ma qualcosa di evidente, pulito, scolpito, che dicesse a tutti quanti svegliatevi, io sono questa, la solita, c’è del vero in quello che posso dirvi, potete ancora fidarvi – e invece resti afona per qualche istante, come in quei brutti sogni quando vorresti urlare ma non esce la voce, e intanto c’è qualcuno che scrive, o chiama, o ascolta, o invita, e ti dice e ti fa sentire che sì, sei proprio la solita, nel bene e nel male naturalmente, ma c’è del vero in quello che puoi dire, e vuole ancora fidarsi di te.
Questo articolo è presente anche sul numero 5/20 di Azione nonviolenta, dedicato a “Parole e atti d’odio”, di cui consiglio la lettura.
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta