Negli Stati Uniti le armi da fuoco sono la prima causa di morte per bambini e adolescenti. Sulla prevenzione delle stragi come quella avvenuta in Texas pochi giorni or sono ho trovato illuminante l’intervista di NPR a Ron Avi Astor, studioso di questi accadimenti e docente all’Università di Los Angeles, di cui traduco alcuni passaggi.
«Se si studiano gli assalitori che hanno causato queste stragi ci si accorge che hanno moltissime cose in comune. Ad esempio, quasi tutti hanno una lunga storia di disagio mentale. Sono ossessionati con le armi da fuoco, detengono veri e propri arsenali nelle loro case. Sono fissati con Hitler o con altri dittatori o ideologie che incitano all’odio e per molto tempo lo hanno espresso in tanti modi, a scuola, con gli amici, sui loro profili social. Potrebbero averne scritto in un tema. E poi, in cima a tutto questo, hanno tendenze suicidarie. Quasi tutti si suicidano, ma prima diventano omicidi. Non vogliono essere dimenticati. Perciò abbiamo molte possibilità di prevenire queste stragi. Nessuno si sveglia un mattino e va a sparare ai bambini. C’è un percorso di anni. Anni. E tanti che possono capire. Nella scuola, nel gruppo dei pari, in famiglia, nella comunità».
Gli analisti, però, spiegano che questi eventi sono solo la forma più eclatante di violenza esercitata con le armi a carico dei bambini e degli adolescenti americani, ma non sono la più frequente. Causano circa l’1% delle oltre quattromila vittime minorenni che si contano ogni anno. Molte di più vengono uccise o ferite in famiglia, a volte intenzionalmente e altre volte per la disattenzione con cui le armi vengono conservate in casa, o da persone esterne al nucleo ma non nel corso di una strage – ancora una volta: in parte volutamente, in parte no. In più, tanti adolescenti si fanno male da soli, per la volontà di suicidarsi o per sbaglio, maneggiando le armi presenti in casa e malamente conservate.
Un articolo statunitense comparso sul New England Journal of Medicine il 21 aprile scorso riflette sul fatto che le armi mietono vittime più degli incidenti stradali. Il sorpasso è recentissimo: nel 2020 le armi da fuoco hanno ucciso 4.369 ragazzi sotto i 20’anni, gli incidenti stradali 4.000. C’è anche una disparità etnica: i giovani di colore muoiono quattro volte di più dei bianchi.
Il sorpasso dipende da diverse variabili concomitanti. Da un lato, negli ultimi vent’anni gli incidenti stradali sono tendenzialmente diminuiti grazie al duplice impegno, della politica per una maggiore sicurezza stradale, e delle aziende produttrici che hanno investito nella ricerca affinché i veicoli fossero sempre più sicuri e dotati di dispositivi di protezione. «Al contrario», spiega il News England Journal fo Medicine, «molti Stati hanno reso più facile l’accesso alle armi da fuoco per bambini e giovani adulti, nonché per adulti con precedenti penali. Alcuni non richiedono controlli quando le armi da fuoco vengono acquistate da venditori privati, ad esempio durante le fiere. Negli ultimi anni, molti degli stessi Stati hanno approvato leggi che consentono alle persone di portare un’arma nascosta senza un permesso. A livello federale, il governo ha concesso all’industria delle armi da fuoco una protezione parziale contro alcune azioni di responsabilità civile» e ha mancato di stabilire norme minime agli acquirenti su come le armi devono essere conservate.
In un suo recente intervento il giornalista Mario Calabresi annota che ci sono luoghi negli USA dove a un ragazzo di diciotto anni è proibito acquistare una birra ed è permesso procurarsi un fucile. Anche per quest’assenza di regole, nel 2018 gli USA contavano il 4% della popolazione mondiale ma il 46% delle armi possedute da civili.
Tutto si fa per non ostacolare la potente industria delle armi, ignorando la volontà di gran parte della popolazione. La stessa raccolta dei dati è una conquista recente. Un articolo su Science del 2018 riporta che quell’anno l’Istituto Nazionale della Salute impegnava 486 milioni di dollari per studi sul cancro infantile e 4.4 sulle armi da fuoco come causa di morte nell’infanzia. Non è un caso. Nel 1996 il Congresso aveva approvato un emendamento che diffidava il CDC (la più importante agenzia nazionale per la prevenzione degli infortuni) dallo spendere denaro “per sostenere o promuovere il controllo delle armi”.
Scrive ancora Calabresi: «(Negli Stati Uniti) nascono più armi che bambini. Ma non tutti i gruppi sociali hanno questa fame di armarsi. C’è una pistola in una famiglia bianca su due, in una famiglia nera su tre, in una famiglia ispanica su quattro e in una di origine asiatica su cinque».
Non tutti, a quanto pare, sostengono che le armi siano sinonimo di sicurezza, e forse non tutti – se interpellati – concorderebbero con l’ex presidente USA che armare gli insegnanti sia un buon modo per fermare le stragi nelle scuole.
Secondo Ron Avi Astor i cittadini che vogliono un cambiamento dovrebbero chiederlo con maggiore continuità e non indignarsi a intermittenza quando si verifica un fatto drammatico.
«Passiamo troppo tempo a chiederci perché i legislatori non cambiano le loro politiche. Più ci sarà un’azione da parte degli studenti, dei genitori e della comunità, parlando, discutendo, pianificando, prendendo posizione, e più si muoverà qualcosa dall’alto. Parte della compiacenza dei politici all’industria delle armi dipende dal fatto che i cittadini si esasperano ma nell’arco di una settimana o due dimenticano tutto e passano a un altro argomento. I politici risponderanno quando si accorgeranno che le persone sostengono la loro azione, e votano di conseguenza. Questo è ciò che amerei vedere. Una discussione libera, aperta e democratica su cosa pensano i genitori dei bambini».
Sembra quasi un invito all’azione nonviolenta.
(Le infografiche che sintetizzano i dati sull’uso di armi negli Stati Uniti sono tratte da qui)
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta