L’11 febbraio nel centro di Teheran migliaia di persone hanno festeggiato il 44esimo anniversario della Repubblica Islamica. Negli stessi giorni diversi detenuti per reati d’opinione sono stati rilasciati.
Bastano le denunce e gli appelli di Amnesty International a dirci che nulla è pacificato. È appena del 27 gennaio scorso la notizia di altri tre giovani condannati a morte, e il 6 febbraio un comunicato ha tracciato una linea che unisce gli omicidi di massa degli anni Ottanta con i crimini più recenti per arrestare le proteste delle donne e dei giovani.
“Le autorità della Repubblica islamica si tengono aggrappate al potere da decenni commettendo orrori su orrori nell’assoluta impunità. Continuano sistematicamente a nascondere la sorte di migliaia di dissidenti politici assassinati negli anni Ottanta, i cui corpi vennero gettati in fosse comuni”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. “Tali crimini non sono un ricordo del passato. Questo anniversario arriva mentre è un corso un tremendo bagno di sangue nei confronti dei manifestanti, anche attraverso esecuzioni e condanne a morte. C’è bisogno di un’urgente azione globale per assicurare alla giustizia le autorità iraniane coinvolte in crimini di diritto internazionale”.
La repressione, durissima, ha costretto a cambiare le forme di resistenza nel Paese ma non le ha spente. Intanto, come un seme di quest’azione globale, in tante città del mondo si sono moltiplicate le manifestazioni a sostegno delle donne e dei giovani che non si riconoscono nella Repubblica islamica e per questo sono scesi in piazza per mesi, a partire dal settembre scorso, dopo che la giovane Mahsa Amini è stata arrestata e torturata fino alla morte per avere indossato l’hijab in modo scorretto.
Nella mia città, a Ferrara, un giovane mandorlo crescerà in un giardino intitolato a Ilaria Alpi, in segno di vicinanza al desiderio di libertà del popolo iraniano. Il mandorlo è il primo albero a fiorire dopo l’inverno e perciò simbolo di rinascita, costanza e coraggio. Lo abbiamo piantato l’11 febbraio scorso in un gruppo di persone di diverse nazionalità e diverse associazioni. La testimonianza diretta è preziosa.
“Io non sono un’attivista o una politica, neanche un’oratrice”, legge Leily. “Semplicemente sono una cittadina nata e cresciuta in Iran ch’è diventata una donna innamorata e che ha dato alla luce una bimba. Essendo una mamma sento il dovere di comportarmi come tale, cioè essere un esempio per mia figlia, proteggerla con coraggio ed essere partecipe di tutto quello che riguarda il benessere della mia famiglia e della società”.
È con noi per testimoniare la realtà del suo paese.
“Il regime islamico, applicando le sue leggi disumane, con la promessa di portarci al paradiso ci ha reso la vita un inferno. Da quando loro sono al potere, costringono gli studenti delle scuole elementari e medie a ripetere slogan offensivi contro i potenziali nemici del regime islamico, e chi non obbedisce viene punito. Quando gli studenti non rispettano le norme dell’abbigliamento o quando non si presentano per la preghiera giornaliera, viene abbassato il loro voto di condotta. A volte decide il regime chi deve studiare all’università e chi no (è il caso di attivisti politici o appartenenti a minoranze religiose) e addirittura quali corsi sono più adatti alle donne. Questa è solo una piccola parte del loro controllo sulla vita quotidiana dei cittadini”.
L’attualità si mescola ai ricordi d’infanzia.
“Mi ricordo da bambina, solo nelle feste religiose e in questo giorno potevo ridere ad alta voce… Noi bambini eravamo felici però sul volto dei nostri genitori vedevamo una tristezza di cui diventando grandi abbiamo capito il motivo. Era la repressione che metteva la sua ombra su di loro. Oggi il popolo ha deciso di dire NO a questa repressione manifestando e scioperando e ognuno reagisce a modo suo. I pittori disegnano le loro sofferenze, gli scultori creano le sculture dai loro ricordi, i cantanti cantano sospirando le loro tristezze e così tramite l’arte comunicano il loro scontento. Il popolo iraniano è desideroso di chiudere questo cerchio buio della sua storia e ricominciare una nuova era diffondendo le radici dell’amore con tutti i popoli, perché convinto che tutti abbiano il diritto a essere liberi e felici”.
Leily chiama accanto a sé una ragazza ucraina che esprime la sua solidarietà al popolo iraniano. Questa alleanza tra donne diversamente ferite dalla violenza di stato o dalla guerra, unite nel chiedere pace e diritti, è toccante.
Conclude ed emoziona un’altra giovanissima ragazza iraniana. “Quando bevete un caffè, andate in bicicletta o assaporate questa bellissima giornata di sole pensate a tutte quelle persone – non solo in Iran, anche in Afghanistan, in Ucraina, in Siria dove da anni è in corso una guerra, o in Turchia e ancora in Siria per questo terremoto terribile… – quelle persone che non hanno queste piccole felicità, perché sentire il dolore degli altri è ciò che ci rende umani”.
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta