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Progetto pilota per il benessere, oltre 700 persone coinvolte in due istituti
A un anno dal lancio della sperimentazione in due istituti scolastici della regione, è pronto per essere reso pubblico il progetto pilota di affiancamento psicologico alle scuole per il miglioramento del benessere scolastico. Nato dall'impegno del Gruppo di Lavoro dell’Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna sulla Psicologia Scolastica, cui hanno partecipato anche le Università di Bologna e di Parma, il progetto ha coinvolto oltre 700 tra insegnanti, studenti e genitori nel corso dell'anno scolastico 2016/2017. L'obiettivo è favorire il benessere in molti modi, che vanno ben oltre il solo sportello d'ascolto (CIC), in linea con quanto scritto nella legge nota come "La Buona Scuola".
Strutturato appositamente per essere ripetibile anche in altri contesti scolastici, il progetto è stato messo in pratica presso il “Pascal Comandini” di Cesena e il “G. Leopardi” di Castelnuovo Rangone (MO). Alla base una impostazione che favorisce da un lato l’apprendimento e la crescita personale degli alunni, dall’altro un contesto collaborativo tra gli adulti impegnati a vario titolo nel mondo scuola, permettendo interventi di prevenzione su ogni tipo di disagio.
Lo psicologo che opera nella scuola, infatti, non si limita solamente alla "soluzione dei problemi" e alla presa in carico dei casi più difficili, ma soprattutto collabora con l’istituzione per promuovere un clima relazionale positivo in un atteggiamento di rete. Il progetto è stato infatti mirato al miglioramento e al potenziamento, dal punto di vista psicologico, di modelli educativi e didattici efficaci, in un'ottica di prevenzione e crescita del benessere. Come sottolinea Anna Ancona, la Presidente dell'Ordine degli Psicologi ER, d'altra parte, "quelle normalmente viste come situazioni emergenziali e improvvise sono spesso, in realtà, del tutto prevedibili, poiché connesse a difficoltà strutturali che possono essere individuate preventivamente, come insegna la psicologia di comunità".
Il progetto ha fatto uso di vari strumenti psicologici, dai questionari di autovalutazione, ai focus group e alle attività transdisciplinari e interclasse, fino al questionario e al confronto conclusivo. Ne è emerso un quadro dove sono le scuole stesse a esprimere la necessità di comprendere meglio sia in che cosa consista la "cittadinanza attiva e democratica" menzionata nella legge de La Buona Scuola, sia come mettere in pratica le prescrizioni che pure sono contenute nella legge.
Più nel dettaglio, il testo, (art. 7 comma d), tratta di "sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica attraverso la valorizzazione dell’educazione interculturale e alla pace, il rispetto delle differenze e il dialogo tra culture, il sostegno dell’assunzione di responsabilità, nonché della solidarietà e della cura dei beni comuni e della consapevolezza dei diritti e dei doveri", ma non chiarisce quale sia la definizione di questi aspetti, né come realizzarli. "Il progetto ha anche questo fine - spiega Anna Ancona - fornire alle scuole indicatori chiari, individuati ad hoc, per contribuire a rendere osservabili e misurabili queste competenze di cittadinanza attiva, valorizzando negli studenti le capacità di essere autonomi, responsabili, consapevoli dei propri e degli altrui diritti e doveri."
L'occasione per la restituzione del lavoro svolto sarà il convegno "Scuola e Psicologia: un’alleanza possibile" - aperto a psicologi, dirigenti scolastici, insegnanti e a tutti gli operatori degli istituti scolastici della regione -, che si terrà il 16 novembre dalle 14:30 presso l'Hotel Europa a Bologna. L'accesso è gratuito e per partecipare è necessaria l'iscrizione sul sito dell'Ordine.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
a cura di Rizoma | Studio Giornalistico Associato | tel. 0510073867
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Incontro oggi a Roma promosso dalle organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti dei minorenni. Per il CNCA è intervenuta Liviana Marelli
7 novembre 2017
Minori stranieri non accompagnati:
a 6 mesi dall'approvazione della nuova legge per accoglienza e protezione,
istituzioni e organizzazioni di tutela hanno discusso
gli aspetti cruciali per la sua applicazione
A sei mesi dall'entrata in vigore dalla legge 47/2017 per l'accoglienza e la protezione dei minori stranieri non accompagnati, ActionAid, Ai.Bi., Amnesty International Italia, Asgi, Caritas Italiana, Centro Astalli, C.I.R., CNCA, Emergency, OIM, Terre des Hommes, Save the Children, UNHCR e UNICEF, organizzazioni e associazioni promotrici della legge e impegnate sul campo a sostegno dei minori soli, hanno incontrato oggi, presso la Camera dei Deputati, i rappresentati delle Istituzioni di riferimento per un confronto diretto sugli aspetti cruciali della sua attuazione.
Obiettivo dell'incontro, quello di sciogliere i nodi principali che possono ostacolare la piena, rapida e omogenea applicazione di misure che possono fare la differenza in positivo per le migliaia di minori soli giunti in Italia: 14.579 quelli sbarcati sulle nostre coste solo da gennaio 2017 al 25 ottobre scorso , più di 18.491 quelli censiti dal sistema di accoglienza italiano.
Tra partecipanti alla tavola rotonda, moderata da Raffaela Milano, Direttrice Programmi Italia Europa di Save the Children Italia, l'On. Marina Sereni, Vicepresidente della Camera dei Deputati, l'On. Sandra Zampa, Vicepresidente della Commissione Infanzia, Gennaro Migliore, Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia, Tatiana Esposito, Direttore Generale dell'Immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Aly Baba Faye, Consigliere del Sottosegretario di Stato al Ministero dell'interno, Filomena Albano, Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, Matteo Biffoni, Sindaco di Prato e delegato Anci all'immigrazione, Stephane Jaquemet, Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati per il Sud Europa e i rappresentanti delle associazioni del Tavolo di lavoro sui minori stranieri non accompagnati.
La discussione delle osservazioni e proposte bastate sull'esperienza concreta delle organizzazioni impegnate sul campo, ha posto in evidenza alcuni punti essenziali per garantire efficacia e omogeneità nell'applicazione della legge.
In primo luogo, si è sottolineata la necessità di un adeguato supporto nell'esercizio della propria funzione ai tantissimi tutori volontari che hanno già risposto con entusiasmo all'invito delle istituzioni e a quelli che seguiranno, insieme al necessario accompagnamento alle famiglie affidatarie, per favorire il diffondersi del coinvolgimento attivo di privati cittadini nel sostegno ai minori non accompagnati. È inoltre fondamentale garantire adeguata formazione ai tutori provvisori.
Rispetto alle primissime fasi che riguardano l'arrivo del minore non accompagnato, si è evidenziata l'urgenza di chiare norme di attuazione e di indicazioni agli organi di pubblica sicurezza rispetto alle modalità dell'identificazione ed eventuale accertamento dell'età del minore, un ambito sinora caratterizzato da prassi operative disomogenee nei diversi territori, introducendo procedure chiare che tengano in primaria considerazione il superiore interesse del minore. Si è auspicata l'emanazione del previsto Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sul primo colloquio con il minore svolto dal personale qualificato del centro di prima accoglienza e la definizione dei contenuti della cartella sociale che accompagnerà il minore lungo il suo percorso in Italia, insieme alle responsabilità di chi la compila. Inoltre, si rendono necessarie istruzioni dettagliate per le Questure sulle modalità per consentire ai minori di presentare autonomamente la richiesta di permesso di soggiorno per minore età. Deve essere anche chiarito che il permesso per minore età consente di esercitare attività lavorativa nel rispetto della normativa vigente in materia di lavoro dei minorenni, per superare l'attuale prassi disomogenea.
Riguardo invece al tema dell'accoglienza, risulta necessario il rafforzamento del sistema ordinario anche attraverso un investimento crescente di risorse sulla seconda accoglienza in capo allo Sprar, per garantire ai minori percorsi di integrazione efficaci ed omogenei in tutto il territorio nazionale. Nello stesso spirito i CAS vanno considerati luoghi di accoglienza residuali da attivare solo in caso di reale emergenza e arrivo imprevisto e sproporzionato, e va evitata del tutto la permanenza dei minorenni all'interno di strutture hotspot.
Tra i punti principali affrontati anche l'accesso all'assistenza sanitaria, all'educazione e alla tutela legale. Nel corso del confronto, è stata posta in evidenza la necessità di una effettiva e piena attuazione della norma che prevede l'iscrizione obbligatoria dei minori non accompagnati al Servizio Sanitario Nazionale anche prima del rilascio del permesso di soggiorno, con indicazioni che consentano di superare le difficoltà burocratiche derivanti dall'assenza di Codice fiscale o di un indirizzo di residenza. Allo stesso modo già nei centri di prima accoglienza va garantito ai minori l'inserimento scolastico, l'accesso alla formazione professionale e l'accompagnamento all'inserimento lavorativo, ed è essenziale che i tutori anche provvisori, il personale delle strutture di accoglienza e le altre figure di riferimento del minore informino efficacemente il minore stesso sul suo diritto di partecipare attivamente a tutti i procedimenti giudiziari e amministrativi che lo riguardano e di nominare una difesa tecnica di fiducia nei procedimenti giurisdizionali, come previsto dalla Legge.
Le organizzazioni promotrici di questa iniziativa, hanno inoltre auspicato l'istituzione di un tavolo permanente di confronto inter-istituzionale per garantire il coordinamento delle misure di attuazione e il monitoraggio sull'implementazione della legge, e che sia previsto un contatto regolare di questo tavolo con le organizzazioni e associazioni impegnate nella tutela dei minori stranieri non accompagnati.
Scarica il documento congiunto di analisi sullo stato di attuazione della legge
Per informazioni:
Ufficio stampa Save the Children
Tel 06-48070023/63/81/82
www.savethechildren.it
Ufficio stampa CNCA
cell. 3292928070
www.cnca.it
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Torino, 12 ottobre 2017. Il giorno dopo la tappa romana, la ricerca nazionale “Conoscere per agire. Violenza ed aggressioni contro gli assistenti sociali”, promossa dal Consiglio nazionale degli Assistenti Sociali, dalla Fondazione Nazionale Assistenti Sociali e da numerosi Ordini regionali, tra i quali quello del Piemonte, è stata presentata nel capoluogo regionale, presso il Campus Luigi Einaudi.
Nell’intensa mattinata hanno preso parte oltre ai ricercatori Alessandro Sicora, Mara Sanfelici, Urban Nothdurfter, anche i rappresentanti della politica e dei sindacati, come Augusto Ferrari (Assessore alle Politiche Sociali della Regione Piemonte), Graziella Rogolino (Segreteria CGIL Piemonte), Marco Bertoluzzo (coordinamento degli Enti gestori delle funzioni socio assistenziali della Regione Piemonte), Barbara Di Cursi (Associazione per la salute mentale “Il Bandolo”), Marilena Dellavalle (Università di Torino) e Chiara Bertone (Università del Piemonte Orientale).
«La ricerca - dichiara Barbara Rosina (Presidente Ordine Assistenti Sociali del Piemonte e coordinatrice tecnica della ricerca) - è stata condotta su un campione di oltre 20 mila professionisti, quasi la metà dei 42 mila assistenti sociali italiani. I piemontesi coinvolti sono stati oltre il 62% del totale degli iscritti nella Regione, una percentuale fortemente rappresentativa della realtà locale».
«A fronte di episodi resi noti dalla cronaca giornalistica, abbiamo sentito l’urgenza di indagare un fenomeno fino ad ora perlopiù nascosto e tenuto nel segreto dei nostri uffici. Abbiamo ritenuto che fosse giunto il momento di parlare di cose scomode e che fanno paura. Prima della ricerca, ci domandavamo quanto l’esposizione al disagio dei professionisti facesse sì che anche gli episodi di aggressività potessero essere collocati in un contesto di normalità. E, quindi, taciuti e sottaciuti».
«I colleghi ci hanno raccontato, in passato, di automobili di servizio vandalizzate: vetri frantumati, righe sulle portiere, serrature danneggiate, autoradio rubate. In alcune occasioni abbiamo avuto modo di raccogliere narrazioni su episodi nei quali ricordavano di essere stati minacciati con la frase “prima o poi anche lei dovrà uscire dall’ufficio”, di aver visto compagni di ufficio aggrediti e di essere stati inseguiti. La violenza spesso viene utilizzata laddove il cittadino crede che gli stia stato negato un diritto esigibile, ad esempio dopo aver ricevuto un diniego ad una domanda, come quella di contributo economico»
«La conoscenza di tali situazioni ha permesso l’acquisizione di una iniziale consapevolezza dell’alta frequenza di episodi di violenza a danno degli operatori dei servizi sanitari e sociali, anche se, fortunatamente, solo in pochi casi gli esiti sono così tragici da interessare la cronaca nera. Era necessario avere conoscenza maggiore e documentata di tali situazioni e per tale motivo è stata avviata la ricerca nazionale. Questa ha permesso di comprendere quanto sia diffusa questa forma di violenza, quali siano le caratteristiche del fenomeno, le strategie utili a prevenirla e quelle per minimizzare il rischio a cui è sottoposto chi opera nei servizi alla persona, quale supporto possa essere fornito alle vittime di aggressioni, quali le conseguenze e le possibili strategie di fronteggiamento del fenomeno».
Nel corso della propria esperienza professionale solo poco più di un assistente sociale su dieci (11,8%) non ha mai ricevuto minacce, intimidazioni o aggressioni verbali. Ben tre professionisti su venti (il 15,4%) hanno subito una qualche forma di aggressione fisica; l’88,2% è stato oggetto di violenza verbale, mentre il 61% ha assistito ad episodi di violenza verbale contro i colleghi. Ed ancora: l’11,2% ha subito danni a beni o proprietà addebitabili all’esercizio della professione; il 35,8% ha temuto per la propria incolumità o quella di un familiare a causa del lavoro.
Questi sono alcuni dei dati emersi a livello nazionale. Lo scenario descritto dalla ricerca è sconcertante, così come le testimonianze raccolte, destando forte preoccupazione in Rosina: «È indubbio che i servizi sociali abbiano forze inadeguate rispetto ai cambiamenti in atto ed alle nuove esigenze e spesso non riescono ad esercitare nel modo dovuto il ruolo di accoglienza del disagio, di accompagnamento e di supporto. Sono necessari, e non più rinviabili, interventi per sostenere l’intero sistema dei servizi: le soluzioni delle criticità non possono essere delegate agli operatori che sono privi delle necessarie risorse economiche e degli strumenti necessari senza le quali è impossibile mettere in atto azioni efficaci».
«Come ha affermato ieri Gianmario Gazzi (Presidente del Consiglio Nazionale degli Assistenti Sociali) - ricorda Rosina - occorre monitorare il fenomeno, intervenire sui protocolli di sicurezza e sulla formazione. È fondamentale agire a sostegno della professione, perché non tutelare gli assistenti sociali significa anche non tutelare i cittadini e le istituzioni rispetto ad una domanda che aumenta, ma che non trova risposta».
Carmela, Francesca Longobardi, Consigliere CROAS Piemonte – addetto stampa / Tel: 333.4896751
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Torino, 2 ottobre. “È una buona notizia che l’iniziativa itinerante con lo slogan “I bambini sono maschi, le bambine sono femmine, #Stopgender nelle scuole” - promossa dalla associazione Generazione Famiglia, insieme a CitizenGO e che nei giorni scorsi ha toccato varie città italiane - non abbia fatto tappa a Torino. Al capoluogo piemontese è stato fortunatamente risparmiato dover assistere alla riproposizione della campagna no gender che si fonda sulla convinzione che genere e sesso si equivalgano e sull’idea che vi siano attori esterni alla famiglia, come l’istituzione scolastica, che vogliano indurre le nuove generazioni a percepirsi maschi se femmine piuttosto che femmine se maschi. Quasi come se ci fosse in atto un’operazione di convincimento alla transessualità e come se questa potesse anche sortire degli effetti sui loro figli”.
Così Barbara Rosina, Presidente dell’Ordine degli Assistenti Sociali del Piemonte, si pronuncia sull’argomento.
“Concordiamo in pieno con le associazioni LGBTI - aggiunge - quando dichiarano che la teoria gender non esiste. Condividiamo il loro approccio non semplicistico. Le teorie di genere, categoricamente al plurale, studiano il modo in cui uomini e donne vedono se stessi e si pongono in relazione, così come i ruoli che ne discendono in quanto costruzione sociale e risultato anche del processo di socializzazione. Negare l’esistenza dei vari studi di genere e delle risultanti teorie vorrebbe dire rifiutare la presenza di culture diverse e non considerare l’evoluzione delle società. Ecco perché appoggiamo #MaQualeGender, l’iniziativa di Arcigay di risposta al fenomeno no-gender o anti-gender”.
Barbara Rosina si esprime sull’autodeterminazione, affermando che la posizione sulla questione "no gender" è strettamente correlata a tale principio.
“L’autodeterminazione - spiega ancora Rosina - è il diritto delle persone a prendere strade che altri, anche i propri genitori, potrebbero ritenere sbagliate. L’identità sessuale è oggetto di autodeterminazione nella misura in cui si crede che le persone possano essere liberamente chi sono e non nella falsa credenza che essa sia frutto di una volontà predeterminata”.
Sono gravissime e da respingere la affermazioni di Generazione Famiglia che, sul proprio portale, afferma che “con la scusa di contrastare gli stereotipi di genere e diffondere tolleranza e rispetto – fini in sé più che condivisibili – si entra nelle scuole ad insegnare che l’identità sessuale è fluida e può essere oggetto di autodeterminazione, quasi che si potesse “creare” la propria identità”.
Desta forte preoccupazione, per la presidente degli assistenti sociali del Piemonte, “che si possa mettere in discussione la necessità di contrastare gli stereotipi di genere. Sono state portate alla ribalta dai media diverse situazioni nelle quali giovani cittadini hanno commesso gesti estremi non riuscendo a tollerare il peso delle continue e pressanti offese e messe in discussione della loro identità”.
“Ecco perché l’intera comunità degli assistenti sociali del Piemonte rivolge un appello a tutte le Istituzioni – conclude Rosina – per una loro presa di posizione ferma e decisa per evitare che quelle tragedie che hanno stravolto l'esistenza di interi nuclei familiari, di amici e conoscenti, non abbiano mai più a ripetersi”.
Carmela Francesca Longobardi – Consigliere CROAS Piemonte / addetto stampa tel: 333.4896751
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Giornata Nazionale della Psicologia e Mese della Psicologia
Il 6 ottobre e per tutto il mese studi aperti e iniziative
Torna per la seconda edizione la Giornata Nazionale della Psicologia, istituita dal Consiglio Nazionale della Psicologia l'anno scorso per favorire il confronto e la sensibilizzazione sulle tematiche della professione psicologica. “Persone e relazioni: periferie esistenziali” il tema del 2017, per l'occasione l'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna ha deciso di estendere a tutto il mese di ottobre iniziative e incontri, creando il Mese della Psicologia per le iniziative organizzate dai propri iscritti. E la risposta delle psicologhe e degli psicologi è stata forte: sono infatti oltre cento i convegni e gli studi aperti per una prima consulenza psicologica gratuita in tutta l'Emilia-Romagna (elenco completo, in corso di aggiornamento, disponibile qui: https://www.ordpsicologier.it/calendar.php?fr=&to=&pc=&t_5=iscritto&kw). Appuntamento centrale la Tavola Rotonda che si svolgerà venerdì 6 ottobre alle 18:15 presso l'Oratorio San Filippo Neri in via Manzoni 5 a Bologna, a ingresso libero e aperta alla cittadinanza. Una occasione di incontro e confronto che verrà introdotta dal saluto dell'Arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi.
Quello delle periferie esistenziali è un argomento di grande attualità e trasversalità, di interesse anche per Sua Eminenza. Il tema del disagio sociale è infatti di primaria importanza in relazione alle periferie, dimenticate o trascurate. Non soltanto quelle geografiche, ma soprattutto le “periferie esistenziali”, i “luoghi lontani dell’animo”, di chi è emarginato dalla società, di chi non ha orizzonti di vita, di chi è lacerato da tensioni e conflitti, di chi non riesce a far fronte alla complessità del quotidiano, riscontrabile anche nel disagio di molti giovani ed adolescenti. Ecco quindi l'importanza della figura dello psicologo, il cui obiettivo è quello di mettere al centro la persona e di promuovere relazioni improntate alla reciprocità, volte al miglioramento esistenziale e a una nuova progettualità di vita.
Prima dell'evento dedicato alla Giornata Nazionale della Psicologia, si terrà la cerimonia di accoglienza dei nuovi iscritti all’albo del 2017, durante la quale verrà consegnato l’attestato d'iscrizione e il volume "Il Codice Deontologico degli Psicologi" (Calvi-Gulotta, Ed. Giuffré).
Alle 18:15 inizierà la Tavola Rotonda “Persone e Relazioni: Periferie Esistenziali”, coordinata da Anna Ancona, Presidente dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna, che sarà aperta dai saluti di S.E. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna. Partecipano alla Tavola Rotonda: Clede Maria Garavini, Garante Regionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, Laura Baccaro, Psicologa, Criminologa, Docente a contratto presso il Campus Universitario CIELS sede di Padova e di Milano e l’Università Internazionale di Roma, Presidente Associazione Psicologo di strada, Luca Mazzucchelli, Psicologo, Psicoterapeuta, Vicepresidente Ordine Psicologi Lombardia, Direttore della rivista “Psicologia contemporanea”, Sandra Zampa, Deputata, Vicepresidente Commissione Parlamentare Infanzia e Adolescenza.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
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Lunedì 17 luglio, nella sede del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro a Roma il Care Leavers Network Italia - prima rete nazionale di ragazzi tra i 16 e 24 anni che vivono o hanno vissuto in comunità, casa-famiglia o affido - ha presentato alla politica, alle istituzioni, alla cittadinanza una serie di “Raccomandazioni” per migliorare il sistema di accoglienza e di uscita dai percorsi di sostegno.
L’iniziativa, dal titolo: “In viaggio verso il nostro futuro. L’accoglienza ‘fuori famiglia’ con gli occhi di chi l’ha vissuta” è stata promossa dall’associazione Agevolando e dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.
“Questa conferenza vuole essere solo l’inizio – ha aggiunto Federico Zullo, presidente di Agevolando – di un percorso stabile di interlocuzione dei care leavers con le istituzioni al fine di costruire concrete opportunità per tutti quei giovani che si trovano in situazione di svantaggio”.
Nelle loro raccomandazioni i ragazzi hanno chiesto ascolto, trasparenza e condivisione nelle scelte che li riguardano. Hanno espresso la necessità di ricevere un sostegno per completare gli studi, cercare casa e lavoro, e il desiderio di non essere lasciati soli al compimento della maggiore età, ma di continuare ad avere figure di riferimento. Tra i tanti temi affrontati quello del pregiudizio e dello stigma, che coinvolge da vicino anche i giovani giunti in Italia come “minori stranieri non accompagnati” e i ragazzi di “seconda generazione”. Molto valore è stato dato anche al tema della partecipazione: i ragazzi chiedono di essere protagonisti delle scelte che li riguardano e non semplici spettatori passivi. Non solo parole ma anche musica: i care leavers della Campania hanno presentato per la prima volta il loro rap “Flowers in the concrete“ composto insieme al maestro Tonico 70.
Nell’occasione sono stati presentati da Diletta Mauri (coordinatrice nazionale CLN – Agevolando) e Valerio Belotti (Università di Padova) i risultati di una survey campionaria che ha permesso di raccogliere 190 questionari, risultato di una convenzione tra Agevolando e il Dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell’Università di Padova. Per ben il 94% dei ragazzi l’esperienza in comunità è stata un’opportunità di cambiamento, addirittura un’ancora di salvezza per l’85% degli intervistati che ha dichiarato di aver costruito in questo contesto i legami più importanti. Tali percorsi non sono però privi di criticità: in particolare per il 53% dei rispondenti il percorso “fuori famiglia” non ha aiutato a migliorare i rapporti con la famiglia di origine e molti ragazzi (il 48%) dichiarano che l’uscita dal percorso di accoglienza non sia stata pianificata in maniera sufficientemente graduale. 1 ragazzo su 5 ha dichiarato di aver smesso di studiare in quanto non aveva le possibilità. Il 53% non ha potuto beneficiare di un percorso di inserimento lavorativo/tirocinio. Nonostante le difficoltà i ragazzi mostrano comunque alti livelli di ottimismo rispetto al futuro: il 67% si augura di potersi riuscire a realizzare nel lavoro in futuro e il 66% di essere autonomo e raggiungere i propri obiettivi.
Presentati anche i primi esiti del lavoro del network nei territori con gli interventi di Luisa Pandolfi – Università di Sassari; Stefania Manca – Regione Sardegna; Daniela Liberati – Comune di Verona; Nicola Perdegnana e Stefania Stanchina – Comune di Trento. Infine anche uno sguardo internazionale con l’esperienza inglese della Care leavers’association rappresentata da Carrie Wilson.
A interagire nella tavola rotonda con i ragazzi numerosi rappresentanti delle istituzioni e della politica, in particolare: Cesare Damiano, Presidente XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato; Elena Ferrara, Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza; Ileana Piazzoni, Deputata, XII Commissione Affari Sociali; Luigi Bobba, Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le Politiche Sociali; Gianmario Gazzi, Presidente Consiglio Nazionale Ordine Assistenti sociali; Maria Francesca Pricoco, Vice presidente Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia; Giovanni Fulvi, portavoce del gruppo #5buoneragioni e presidente CNCM – Coordinamento nazionale comunità per minori; Rodolfo Giorgetti, dirigente di Anpal Servizi.
Scarica e leggi le richieste dei care leavers
Risultati finali dell'indagine campionaria condotta dall'Università di Padova e Agevolando
Sul sito di Agevolando e sulla nostra pagina Facebook tutti i materiali, foto e video.
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L'abbuffata alcolica dei giovani.
L'Ordine degli Psicologi ER su "Heavy Episodic Drinking"
Sono sempre più frequenti i campanelli d'allarme sul rapporto dei giovani con l'alcol. Dalla ricerca dell'Osservatorio Epidemiologico delle Dipendenze Patologiche dell'Azienda Usl di Bologna risulta che, su 390 ragazzi e ragazze felsinei tra i 18 e i 29 anni, l'83% fa un uso estremo di alcol, concentrato in un'occasione (fonte: https://www.ausl.bologna.it/news/archivio-2017/auslnews.2017-04-28.6332422356/). L'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna analizza alcuni aspetti del problema, per comprenderlo e individuare i mezzi che possano aiutare ad arginarlo.
Denominato fino a qualche tempo fa "Binge Drinking", recentemente e più propriamente ribattezzato "Heavy Episodic Drinking" (HED), il fenomeno ormai riguarda la stragrande maggioranza degli adolescenti e dei giovani adulti. L'abbuffata alcolica è, infatti, molto comune soprattutto nella fascia di età di passaggio alla maturità, e questo è anche uno dei motivi che la rende pericolosa: le abitudini contratte in questa fase della vita possono perdurare a lungo, con il rischio di sviluppare una dipendenza cronica.
Paradossalmente, la relativa saltuarietà del comportamento legato alle abbuffate alcoliche è un aspetto che può aumentarne la pericolosità. Perché, dato l'uso non quotidiano - ma eccessivo - di alcol, i giovani tendono ad autogiustificare il proprio atteggiamento, considerandolo, appunto, occasionale e di poco conto. Tendenzialmente, l'abuso di alcol si concentra nei fine settimana e nei contesti di svago (discoteche, feste, pub e simili), ma benché non sia un consumo regolare può comunque diventare cronico col tempo. Anche se socialmente accettato e di fatto parte della cultura occidentale, ricoprendo una funzione di socializzazione e di celebrazione di molte cerimonie sociali, l'alcol resta una droga, con un effetto psicoattivo che può provocare assuefazione e dipendenza.
Inoltre, anche senza degenerare in alcolismo vero e proprio, l’Heavy Episodic Drinking ripetuto può avere comunque conseguenze psicologiche e sociali. Lo stato di alterazione portato da un'abbuffata alcolica può causare una difficoltà nel gestire gli impulsi e le relazioni affettive, familiari e sessuali. Ansia e tendenza alla depressione e all'aggressività sono alcuni possibili sintomi: diviene difficile governare la rabbia. I problemi aumentano dove ci siano particolari situazioni di fragilità, con una condizione psicopatologica preesistente che può peggiorare se le viene affiancato l'alcol.
Il desiderio di apparire più adulto, come con le sigarette, è spesso uno dei motivi che spinge un adolescente all’abuso di alcol, nel tentativo di tamponare l’angoscia che deriva da una ancora acerba identità che richiede tempi lunghi per essere raggiunta. Al contempo, c'è un elemento di trasgressione, di ricerca di indipendenza come strumento per il rafforzamento dell'identità personale. In questo ha un peso notevole il bisogno di accettazione da parte dei propri pari: un comportamento è evidentemente più affascinante se permette di essere riconosciuto dal gruppo dei coetanei. A queste bisogna anche aggiungere le situazioni di malessere soggettivo come le difficoltà psicologiche a relazionarsi con gli altri, la paura di non essere all’altezza delle aspettative, la noia, la sensazione cronica di vuoto, l'angoscia dell'isolamento e tutte le altre problematiche che possono portare all'alcol come facile - e illusoria - via d'uscita.
La prevenzione all'abuso di alcol si può effettuare rinforzando le difese naturali dei ragazzi, la loro resilienza, l'autostima e la capacità di autoregolazione, per capire quando è il momento di fermarsi. Per modificare gli atteggiamenti e i comportamenti dei giovani non è sufficiente la sola sensibilizzazione sull’argomento. È fondamentale trasmettere abilità relazionali e sociali, con modalità di apprendimento interattivo e cooperativo. Una delle risposte a questo e altri disagi giovanili è l'inclusione: lo sviluppo di attività cooperative e partecipative, nella scuola e negli altri luoghi di aggregazione, non solo è uno degli antidoti migliori alla solitudine, che spesso nasce dalle difficoltà relazionali, ma anche è un importante fattore che consente la costruzione di una identità matura.
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