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Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) esprime viva preoccupazione per diverse proposte contenute nel Ddl 735 presentato dal senatore Simone Pillon, riguardante le norme in materia di affido condiviso nei casi di separazione coniugale.
“Il testo in discussione", dichiara Liviana Marelli, responsabile Infanzia, adolescenza e famiglie del CNCA, "rischia di ledere alcuni diritti fondamentali dei figli minorenni, che devono sempre avere la precedenza rispetto a quelli dei genitori. In particolare, la norma che prevede il diritto dei figli a trascorrere con i genitori tempi paritetici o equipollenti non tiene conto del diritto dei minorenni alla stabilità e alla protezione, per quanto possibile, dalle scissioni e dalle lacerazioni della separazione. La cosiddetta 'bigenitorialità' si esprime, a nostro avviso, in un pari grado di assunzione di responsabilità nei confronti della crescita dei figli, non nella misurazione dei tempi che questi ultimi trascorrono con i loro genitori. Non è accettabile la prefigurazione della norma che tratta i figli come fossero beni materiali e quindi divisibili a metà."
"In secondo luogo," continua Marelli, "desta forte inquietudine l'uso dell'espressione 'alienazione parentale', così controversa a livello scientifico, che rischia di favorire la messa sotto accusa di uno dei due genitori solo perché il figlio si rifiuta di incontrare l'altro genitore. Si tratta di una questione seria che ha attraversato e attraversa da tempo il mondo scientifico, non risolvibile con una mera imposizione giuridica. Il minorenne può ritenere uno dei due genitori inadeguato dal punto di vista educativo o, a volte, non voler incontrare un genitore perché autore di atti di violenza domestica. Le norme del ddl Pillon appaiono inopportune e pericolose in presenza di situazioni come queste, tutt'altro che rare."
"Infine, non riteniamo che la mediazione familiare debba essere prescritta come obbligatoria in caso di separazione", conclude Marelli. "Vi sono casi, come appunto quelli in cui si registrano situazioni di violenza domestica o di fortissima conflittualità, in cui tale passaggio può non essere possibile. Per queste ragioni invitiamo il Parlamento a modificare il testo del Ddl nei punti indicati."
Roma, 21 settembre 2018
Info:
Mariano Bottaccio – Responsabile Ufficio stampa e Comunicazione
Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA)
tel. 06 44230395/44230403 – cell. 329 2928070 - email:
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Venerdì 21 settembre ricorrono festeggiamenti triplici: la Giornata Mondiale dell'Alzheimer, la Giornata internazionale della pace e la Giornata Mondiale della Gratitudine.
E non pare un caso. I temi sembrano legati da un fil rouge, ossia le relazioni tra le generazioni, il loro stato di salute e il loro livello di intensità. Si è costretti, ancora una volta, a ragionare sulla crisi dei rapporti, sulla presenza di spaccature comunicative, come il non ascolto, il distacco, il non riconoscimento tra figli – genitori, e di quanto sia necessario favorire una prospettiva culturale che metta le basi per un fattivo patto intergenerazionale.
L’Ordine Assistente Sociali del Piemonte richiama ad assumersi l’impegno di contribuire ad una dialettica intergenerazionale basata sull’incontro, il dialogo, la corresponsabilità e la costruzione di rapporti attenti al bene autentico di ciascuno.
Barbara Rosina (Presidente dell’Ordine Assistenti Sociali del Piemonte) afferma: “Porre rimedio all’allentamento delle reti parentali, la cui drammatica conseguenza è un maggior isolamento delle famiglie, la frammentazione dei legami sociali e l’inasprirsi di condizioni di solitudine e di povertà, deve avere carattere di priorità. La frattura è irreversibile e foriera di danni enormi se non si lavora, ora e subito, per l’elaborazione di nuove leggi, indirizzi, a livello nazionale e regionale, e di modalità operative ispirati al principio di solidarietà, capaci di valorizzare le differenze generazionali e di trasmettere ‘significati’. Dobbiamo rivedere la vita sociale, rivalutando ambiti che vanno dalla costruzione degli spazi urbani, alla gestione delle risorse economiche fino all’accesso alle carriere nel mondo del lavoro".
L’aggiornamento sugli indicatori Bes, pubblicato dall’Istat l’11 luglio 2018, è chiaro: diminuisce nel 2017 la quota di persone che dichiarano di avere parenti, amici o vicini su cui contare (da 81,7% del 2016 a 80,4%). Resta molto bassa anche la quota di persone che esprimono fiducia verso gli altri (19,8% nel 2017).
Rosina precisa: "Non si pensi che la responsabilità sia solo di altri. Ciascuno di noi deve impegnarsi per ridurre la distanza interpersonale all'interno delle proprie reti. Le persone affette dalla malattia di Alzheimer potranno non essere in grado di comprendere, su un piano razionale, potranno non essere nella condizione di esternare gratitudine, ma ciascuno di noi potrà sentirsi fiero del proprio atteggiamento. Ed in pace".
Cinzia Spriano, consigliere dell’Ordine esperta nella violenza di genere, conclude: “Per superare il clima di disconoscimento esistente a più ampio spettro e di rancore sociale, dobbiamo rafforzare un’idea positiva del mondo, farla emergere in tutti campi e a tutti i livelli. Occorre contrapporre un'immagine alternativa, in cui l’idealità non si scontra con la realtà, ma la plasma, la orienta, la cambia. Nella realizzazione di nuovi servizi o messa a punto di regolamenti, gli amministratori, i dirigenti e i professionisti devono domandarsi con rigore a chi stiano procurando vantaggio, se l’equità e la giustizia sociale siano garantite”.
Carmela, Francesca Longobardi - Consigliere delegato alla Comunicazione esterna e ai Rapporti con i mass-media / tel: 333.4896751
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Il Cismai esprime viva preoccupazione per le proposte contenute nel DDL 735 presentato dal senatore Simone Pillon, che riguarda le norme in materia di affido condiviso nei casi di separazione coniugale.
In tutta la sua impostazione, infatti, il DDL appare fortemente orientato a tutelare gli interessi degli adulti a discapito di quelli dei bambini.
In particolare il Cismai segnala la criticità di alcuni punti:
ART. 7 punto 2: “I genitori di prole minorenni che vogliano separarsi devono -a pena di improcedibilità- iniziare un percorso di mediazione familiare…” Pur consapevole dell’utilità della mediazione familiare in alcune situazioni, il Cismai insieme alla Comunità Scientifica riconosce la sua totale inapplicabilità nei casi di alta conflittualità tra le parti e nei casi di violenza domestica (come da art. 48 punto 1 della Convenzione di Instanbul del 2011, ratificata dall’Italia nel 2013, che ne vieta l’utilizzo nei casi di violenza)
ART.11 punto 2 sul “…diritto del figlio di trascorrere con i genitori tempi paritetici o equipollenti… in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti”
L’articolo sembra rivolto ad assicurare il rispetto dei diritti di entrambi i genitori in nome del principio della bigenitorialità, attribuendo però a questo concetto un valore concreto, traducibile in azioni, quali la divisione a metà del tempo e la doppia residenza dei figli. Il Cismai ritiene che questa interpretazione del concetto di bigenitorialità, leda fortemente il diritto dei minori alla stabilità, alla continuità, ed alla protezione, per quanto possibile, dalle scissioni e dalle lacerazioni che inevitabilmente le separazioni portano nella vita delle famiglie. Questo articolo teorizza la possibilità applicativa della divisione a metà di un figlio, ma questo significa considerare i minori alla stregua di beni materiali. Appare molto grave che a teorizzare questa divisione sia proprio lo Stato che dovrebbe invece essere il primo garante della loro protezione.
Il Cismai ritiene che il concetto di bigenitorialità riguardi l’impegno e la responsabilità che entrambi i genitori continuano a mantenere nei confronti dei figli dopo la separazione coniugale, e non abbia a che fare con il tempo materiale che ogni genitore passa con i figli, ma con il grado di assunzione di responsabilità nei confronti della loro crescita.
Il Cismai esprime altresì viva preoccupazione riguardo l’ART. 17 del DDL che fa riferimento a quelle situazioni in cui il figlio manifesta il rifiuto di vedere un genitore, e prevede in ogni caso sanzioni all’altro genitore. Pur sapendo che situazioni di manipolazione dei minori da parte di un genitore esistono, appare altamente lesivo dei
diritti del minore supporre che il suo rifiuto di incontrare un genitore sia comunque da imputare al condizionamento dell’altro, non considerando invece il diritto del minore di rifiutarsi di mantenere un rapporto con un genitore che sia in vario modo inadeguato sul piano genitoriale o che lo abbia esposto a situazioni di violenza domestica. Il tema dell’alienazione parentale è scientificamente controverso ed ogni specifica situazione va valutata attentamente da professionisti esperti. Il rifiuto di un bambino di frequentare il proprio genitore ha sempre delle ragioni psicologiche e relazionali che richiedono attenzione e competenza clinica per essere correttamente decodificate. Le situazioni sono spesso complesse e non si risolvono con letture semplificate, ma il figlio ha diritto a che vengano capiti i motivi del suo rifiuto ed eventualmente curate le relazioni disfunzionali alla base di questo.
Alla luce di tutte queste considerazioni, il Cismai ritiene quindi che la trasformazione in Legge del citato DDL segnerebbe un pericoloso passo indietro nel percorso di tutela dei minori e di rispetto dei loro diritti.
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Ogni anno il 10 settembre, dalla sua istituzione del 2003, si celebra la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, iniziativa promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dall’Associazione internazionale per la prevenzione del suicidio (IASP).
L’Ordine Assistenti Sociali del Piemonte riconosce all’evento la funzione primaria di sensibilizzazione dei diversi settori della società (il pubblico, le associazioni, le comunità, i ricercatori, i clinici, i medici di base, i politici, i volontari e tutti coloro che hanno avuto a che fare con il suicidio), elemento cruciale nelle messa a punto di interventi preventivi.
In occasione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio dello scorso anno, l’Istituto nazionale di statistica ha diffuso un quadro di sintesi del fenomeno, rilasciando i dati provvisori per l’anno 2015.
E’ emerso un dato rassicurante: significativa e trasversale, per genere ed età, la diminuzione dei suicidi nel ventennio 1995-2015 (-14,0%). Nel 1995 erano 8,1 i suicidi ogni 100 mila abitanti che sono scesi a 6,5 nel 2015 (3.935 decessi). L’Italia si colloca, in riferimento ai dati 2015, in basso nella graduatoria europea (6,3 il tasso standardizzato di mortalità per età nel 2014; 11,2 la media Ue28).
Come segnalato dall’ISTAT, le caratteristiche strutturali della popolazione – genere, età, livello di istruzione, territorio – rappresentano variabili da tenere in considerazione: il suicidio è un fenomeno non gender-neutral, ogni 100 mila abitanti i deceduti per suicidio sono 10,4 fra gli uomini e 2,8 fra le donne.
Emerge inoltre come anche il gradiente per titolo di studio si riscontra tra gli uomini ma non tra le donne: 14,8 suicidi ogni 100 mila uomini con nessun titolo o basso livello di istruzione, 9,2 suicidi fra uomini con laurea o titolo di studio superiore.
Elemento di rilievo è la correlazione all’età in quanto si osservano quozienti crescenti al crescere dell’età (1,4 i suicidi ogni 100 mila abitanti fino a 24 anni, 10,4 oltre i 65 anni). Ancora secondo i dati ISTAT è possibile affermare che a livello territoriale il Nord-est presenta i livelli di mortalità più elevati (8,3 suicidi ogni 100 mila abitanti), il Sud quelli più contenuti (4,5 ogni 100 mila abitanti) ed il fenomeno ha un andamento crescente nella prima metà dell’anno – maggio, giugno e luglio i mesi più critici – e trend in diminuzione nel secondo semestre.
Sebbene, come detto, si tratti di un fenomeno in diminuzione, è sufficiente leggere alcuni recenti articoli giornalistici per verificare come nella nostra Regione, negli ultimi mesi, il numero di suicidi o tentativi di suicidio sia da tenere in considerazione e imponga una riflessione ed una attenzione da parte dei professionisti dell’aiuto, del sistema dei servizi, ma anche da parte di ciascuno di noi come cittadino.
Afferma la Presidente dell’Ordine regionale degli Assistenti Sociali che le indicazioni dell’IASP sottolineano come “ascoltare con attenzione, empatia, assenza di giudizio può aiutare le persone a riacquistare speranza”. Queste sono competenze degli assistenti sociali e vengono espresse nell’azione quotidiana: “Ascoltiamo le persone, chiediamo loro cosa fanno, come si sentono, le incoraggiamo nel portare avanti i loro progetti di vita, le loro aspirazioni, offriamo indicazioni nelle situazioni di difficoltà per arrivare ad un cambiamento dei comportamenti e delle situazioni che possono portare disfunzioni nella loro vita ed in quella delle loro famiglie. Sono spesso piccoli gesti di attenzione all’altro che consentono di creare significative relazioni di fiducia”.
Rosina evidenzia: “Questo compito non può essere lasciato unicamente ai professionisti dell’aiuto, occorre una attenzione diffusa della comunità nei confronti delle persone, delle loro storie, delle loro difficoltà, soprattutto nelle situazioni di vulnerabilità come la perdita del lavoro, la presenza di malattie nelle famiglie, di lutti. Sappiamo bene, per esperienza professionale e personale, quanto sia difficile trovare il coraggio di stare a fianco di persone in difficoltà. Questo avviene per molte ragioni tra le quali anche la paura di non sapere cosa dire. È importante ricordare che non esiste una specifica formula o precise parole. Un autentico interesse all’altro, alla sua vita, il desiderio di aiutare possono essere abbastanza per prevenire una tragedia”.
Rosina, ricordando la campagna “Take a minute” lanciata per la celebrazione del 2018 dall’IASP, conclude: “La comunità professionale degli assistenti sociali si associa al richiamo dell’Associazione internazionale per la prevenzione dei sucidi quando afferma di prendersi un minuto per parlare con qualcuno nella nostra comunità, un membro della nostra famiglia, un amico, un collega o anche una persona sconosciuta. Questo gesto potrebbe cambiare la traiettoria di una vita”.
Carmela, Francesca Longobardi - Consigliere delegato alla Comunicazione esterna e ai Rapporti con i mass-media / tel: 333.4896751
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Al primo trimestre 2018, le persone inattive che ritengono di non riuscire a trovare lavoro e quindi non lo cercano - gli scoraggiati - in Italia sono 1.489.000 (dati Istat, prospetto 6 https://www.istat.it/it/files//2018/06/Mercato_del_lavoro_I_trim_2018.pdf). Come il lavoro è una parte essenziale dell'identità e del ruolo sociale, così, in modo complementare, la disoccupazione agisce profondamente sulla vita delle persone, colpendone non solo la dimensione professionale ma anche quella psicologica ed esistenziale. Dalla disoccupazione si rischia di scivolare in una condizione di scoraggiamento, in una spirale negativa che porta alla perdita di speranza e motivazione che rende ancora più difficile il rientro nel mondo del lavoro. L'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna vuole suonare un campanello di allarme perché, con la consapevolezza e gli interventi mirati, si spezzi il circolo vizioso.
Anche se la presente riflessione è centrata sui vissuti e i processi psicologici degli scoraggiati, è evidente che la soluzione alla disoccupazione resta un problema politico-economico. Bisogna, però, sottolineare il valore del lavoro per gli equilibri psicologici: nel lavoro la persona esprime se stessa, afferma la propria identità e appartenenza sociale, costruisce legami importanti per la propria realizzazione, oltre all'indispensabile reddito per fare progetti per il futuro. La relazione tra lavoro e dignità è da considerarsi così importante per la stabilità della persona che la disoccupazione può produrre una ferita psicologica profonda. Il disoccupato non è solo colui che non ha un reddito sicuro, ma più in generale una persona che può sentire di non avere una collocazione nella società o di possedere una identità manchevole.
Sono molti gli effetti psicologici che caratterizzano coloro che vivono questa drammatica condizione. Sentimenti di frustrazione, senso di colpa e inutilità possono combinarsi con vissuti di vergogna e rassegnazione, determinando sintomi depressivi di varia intensità fino ad arrivare a una depressione vera e propria.
"Questa esperienza di deprivazione, se prolungata, può provocare la perdita dell’autostima, l’aumento del senso di inferiorità e di impotenza, minando non solo la fiducia in se stessi, ma anche negli altri, nella società e nel futuro, con possibile mancanza di motivazione. Situazione psicologica che può rendere più passivi gli individui e ancora più problematico il loro inserimento nel mondo del lavoro." Commenta Anna Ancona, Presidente dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna.
Tale situazione esistenziale può portare alla paralisi; la paura di subire un ulteriore fallimento può essere altamente invalidante perché porta a indietreggiare di fronte alla sfida di trovare una nuova collocazione lavorativa. La persona disoccupata può diventare così inattiva, smettere di cercare un lavoro, passando da una condizione di ricerca attiva a una condizione di scoraggiamento.
L'evoluzione della situazione lavorativa di queste persone dipende dal superamento della crisi - anche con interventi di sostegno psicologico - e da circostanze contingenti e ambientali, come la ripresa economica, evidentemente necessaria. Un supporto mirato, che si faccia carico della situazione di sofferenza della persona nella sua complessità, può favorire l’utilizzo di risorse personali per fronteggiare l’evento negativo - la disoccupazione - promuovendone la resilienza.
È necessario fornire innanzitutto uno spazio psicologico e relazionale di ascolto in cui si possa scoprire di non essere soli a sperimentare un certo malessere, aiutando a superare gli stereotipi legati all’essere disoccupato. È inoltre fondamentale attivare la proattività, favorire il recupero delle risorse personali e un livello di motivazione sufficiente a ripartire per la ricerca o la creazione di un nuovo spazio lavorativo.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna
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31 luglio 2018, Torino. Ieri la primatista italiana Under 23 di lancio del disco, Daisy Osakue, è stata presa di mira da alcuni giovani che le hanno lanciato un uovo mentre sfrecciavano, presumibilmente con una Doblò, lungo corso Roma. Si tratta dell’11° episodio a danno di persone di colore in meno di due mesi. Quanto sta accadendo non poteva far rimanere indifferenti gli assistenti sociali, i professionisti dell’aiuto che quotidianamente sono chiamati a promuovere una cultura della solidarietà e a porre all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica situazioni di disagio, di iniquità e di inuguaglianza.
«Il clima di intolleranza e violenza cui assistiamo in questo periodo - afferma Barbara Rosina (Presidente dell’Ordine Assistenti sociali del Piemonte) - deve far riflettere, ma al più presto far reagire le coscienze per arginare tali gesti che non possono essere liquidati come “bravate”».
Rosina aggiunge: «Undici casi di violenza fisica in poche settimane evidenziano un clima di intolleranza e di “rabbia sociale” che non può passare sotto silenzio. Istituzioni, mondo politico, cittadini e operatori sociali devono cooperare per assicurare un clima di vicinanza, rispetto e abbattimento della paura del “diverso”. Ancora più dopo i fatti di questi giorni è necessario richiamare le basi di democrazia e libertà che sono le fondamenta del nostro paese contro ogni forma di razzismo e discriminazione».
«La “banda delle uova” che ha già colpito donne e pensionati dà prova di quanto le relazioni sociali siano sempre più sfaldate e precarie. Ancora una volta e con carattere di urgenza, si palesa la necessità di operare per costruire una società più coesa e accogliente, in grado di proteggere i suoi componenti. Occorre che l’impegno sia un impegno collettivo, ciascuno per il ruolo che occupa in questa società».
«Apprezziamo le prese di posizione pubbliche degli amministratori, come ad esempio quelle di Paolo Montagna (Sindaco di Moncalieri) e Chiara Appendino (Sindaco della Città di Torino), e le manifestazioni di vicinanza di gruppi di cittadini che rappresentano un’Italia più giusta e coerente con i principi costituzionali fondanti la Repubblica italiana. Incoraggiamo a fare altrettanto gli assistenti sociali, le istituzioni e tutti i cittadini. L’Ordine degli Assistenti Sociali non verrà meno ad un’azione, continuativa e costante, indirizzata al contrasto delle discriminazione e alla tutela dei diritti”.
Rosina conclude lanciando un appello: «L’Ordine, a fianco dei cittadini e delle istituzioni, aderirà all’iniziative di cui verrà a conoscenza ed invita la cittadinanza ad uscire allo scoperto, per prendere le distanze dall’insostenibile clima di tensione che sta caratterizzando questa calda estate».
Carmela Francesca Longobardi - Consigliere CROAS Piemonte / addetto stampa Torino
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Non è facile essere genitori: sono tanti i modi di esserlo e non ce ne sono di perfetti. Si tratta di un'esperienza che arricchisce l'esistenza ma che mette di fronte a sfide quotidiane, alcune delle quali possono anche essere perse. È importante per l'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna sottolineare come i genitori non debbano colpevolizzarsi per eventuali errori commessi, piuttosto sarebbe utile invitarli a riconoscere dove si è sbagliato, per la crescita psicologica personale e dei figli.
Essere genitore comporta garantire protezione, insegnare i limiti, far sviluppare la capacità di interazione nel contesto sociale e di gestione dei conflitti, favorire esperienze di autonomia, conservando una condizione di sicurezza. Azioni che richiedono un impegno psicologico costante, non facile da sostenere nella quotidianità. "Esserci", mantenere una relazione costruttiva con i figli, riconoscere il proprio ruolo e anche i propri limiti non è semplice ma è molto importante: il buon esempio, infatti, è più importante di molti insegnamenti verbali. E tutto questo è tanto più valido quando si parla di "imparare a sbagliare".
Oltre alla complessità del compito genitoriale in sé, padri e madri avvertono anche una significativa pressione psicologica e sociale nell’esercitare la loro funzione educativa. Alle volte rincorrono un ideale di genitore perfetto, un genitore sempre all’erta, che non sbaglia mai e che deve sempre trovare la risposta giusta al momento giusto. Tuttavia siamo esseri umani imperfetti e l’errore è inevitabile.
Non esiste dunque il genitore perfetto, e per fortuna perché accettando i propri errori e trasformando il proprio comportamento il genitore può dare un esempio concreto di umanità matura. L'ideale, infatti, piuttosto che nell'assenza di errore, è nell'essere consapevoli e nel tentare di correggere i comportamenti negativi, insieme ai figli. Un genitore consapevole dei propri limiti dà un insegnamento prezioso al figlio che impara così a crescere accettandosi nella propria soggettività e limitatezza fisica e psicologica.
Alla capacità di riconoscere dove si è sbagliato dovrebbe poi seguire la richiesta di scuse, che sono lo strumento di salvaguardia di tutti i rapporti umani e soprattutto di quello con i familiari. In assenza di tale richiesta di fronte a errori che colpiscono le persone può sorgere infatti malessere, sofferenza e rancore. Spesso, ciò che fa più soffrire nelle relazioni non è l’ingiustizia subita, ma la mancanza di riparazione da parte di chi l’ha commessa, cosa che può comportare una crescita del risentimento della persona offesa, causando in alcuni casi un impoverimento del rapporto e perfino la sua chiusura, con possibile profondo turbamento per le persone coinvolte.
Molti genitori possono pensare che scusarsi con un figlio li faccia apparire deboli e meno autorevoli ai suoi occhi. Dimostrare invece di avere capito di aver sbagliato, di essere dispiaciuti di non aver avuto un comportamento rispondente al proprio ruolo e al bisogno del figlio, è indispensabile per dare un'immagine positiva. Un ragazzo che fa esperienza di figure genitoriali consapevoli, coerenti e rispettose della sua dignità sviluppa un senso di sé positivo e avrà più fiducia nelle relazioni significative.
Si insegna che la consapevolezza dello sbaglio aiuta a tollerare la frustrazione associata a esso. Si può apprendere anche guardando l’altro che sbaglia, in un confronto reciproco, crescendo insieme. In conclusione, la volontà e l’atto di riparare possono promuovere il perdono, che è l’esito di un lavoro psicologico spesso non facile. Il figlio può sperimentare così sia che si può sbagliare, sia che si può perdonare e apprendere l’importanza di una relazione basata sul rispetto e la fiducia.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
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Il Ministro Salvini dichiara che in Italia sarebbe in atto una “esplosione di aggressioni" da parte di "pazienti psichiatrici". Gli italiani debbono sapere che si tratta di una notizia destituita di ogni fondamento. il 95% dei reati violenti commessi nel nostro Paese è attribuibile a persone cosiddette "normali" . E' più probabile che una persona che soffre un disturbo mentale sia vittima, non carnefice. Diffondere false notizie come quelle date dal Ministro non fa altro che aumentare paure infondate sulle persone affette da disturbi psichici,etichettandole ingiustamente ed indisciminatamente come "pericolose", aggravandone il già tremendo fardello dello stigma e della discrimiminazione. Se la persona ammalata fosse tuo figlio come ti sentiresti?
Il Ministro Salvini sostiene che si sarebbe verificato l"abbandono del tema della psichiatria", che sarebbe stato "lasciato sulle spalle delle famiglie” a causa della "chiusura di tutte le strutture di cura che c’erano per i malati psichiatrici". Forse il Ministro vive altrove. Forse il Ministro non sa che una delle poche eccellenze riconosciute nl Mondo all'Italia è il sistema della salute mentale , che conta una vasta e capillare rete di strutture psichiatriche, articolata in 163 Dipartimenti di Salute Mentale, 1460 strutture territoriali, 2284 Strutture residenziali che ospitano oltre 30mila persone, 899 strutture semiresidenziali, 285 Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura Ospedalieri, per un totale di 3623 posti letto, oltre 22 Unità ospedaliere accreditate per ulteriori 1148 posti letto. Un sistema che garantisce ogni anno l'assistenza a oltre 800 mila persone grazie all’impegno e alla dedizione di circa trentamila operatori, che troppo spesso vengono lasciati soli di fronte ad un immane e crescente onere di responsabilità e impegno, talora anche al prezzo di rischi personali e compreso quello della vita.
Il Ministro salvini vuole mettere mano al settore della Psichiatria che ritiene trascurato? Allora si dia da fare per porre fine allo sfascio progressivo di un sistema assistenziale costruito faticosamente in 40 anni che sta andando alla malora per un finanziamento ridicolo, che è meno del 3,5% del totale della spesa sanitaria italiana, mentre in paesi come Francia, Germania, Inghilterra e Spagna si investe dal 10 al 15%. Non abbiamo bisogno di nuove Leggi, ma di fondi per assumere medici, psicologi, assistenti sociali, riabilitatori, per non lasciare sempre più sguarniti di personale servizi che attualmente hanno un deficit di operatori che va dal 25 al 75% in meno dello standard previsto di 1 operatore ogni 1500 abitanti in 14 regioni/province autonome su 21. Meno parole Ministro, la preghiamo, più fatti.
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Pochi giorni fa, sono stati presentati i risultati dell’Indice regionale sul maltrattamento dell’infanzia in Italia. E la Regione Piemonte ne è uscita sommariamente bene, attestandosi tra i primi dieci nella classifica per capacità di prevenzione e contrasto del fenomeno.
Nonostante i risultati parzialmente positivi, Barbara Rosina (Presidente Ordine Assistenti Sociali del Piemonte) non perde occasione di lanciare un appello alla politica regionale, a quella locale e agli amministratori impegnati nei vari enti gestori delle funzioni socio-assistenziali ma anche ai genitori, agli insegnanti, alle realtà associative regionali.
“Lo studio, – afferma Rosina – validato da un Comitato Scientifico composto anche da Gianmario Gazzi (Presidente Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali) e Donata Bianchi (Istituto degli Innocenti), ci conferma quanto si possa fare meglio e in modo più efficace. Ben otto Regioni dimostrano di fornire risposte migliori, rispetto alla media, e di riuscire a garantire una vita più tranquilla e felice ai bambini”.
L’indice aggregato è il risultante di 65 indicatori statistici selezionati, in grado di offrire un panorama completo di elementi di contesto e altri relativi alle politiche e ai servizi. Ne sono emerse situazioni regionali che presentano condizioni migliori/ peggiori rispetto alla vulnerabilità al maltrattamento dei bambini/e e la capacità/sensibilità delle amministrazioni locali di prevenire e contrastare questa problematica attraverso le politiche e i servizi.
“Il Piemonte - aggiunge Rosina - si attesta tra le Regioni incluse nel gruppo dei virtuosi, ma al confine con quello successivo definibile degli “stabili”. Alcuni indicatori ci dicono che talune aree sarebbero da monitorare più di altre. Ad esempio, risultiamo 19° - in penultima posizione - nella capacità di vivere una vita sicura. Qui ci si riferisce ai servizi esistenti per i potenziali maltrattanti e per le donne vittime di violenza. Il Piemonte, inoltre, è 20° sia per il tasso di dimissioni per disturbi psichici che per numero dei pediatri, mentre è 10° per numerosità dei consultori.”
“Come ricordato dal CESVI, che riporta puntualmente lo studio 2013 “Tagliare sui Bambini è davvero un risparmio?”, il costo dei maltrattamenti sui bambini/e si stima a circa 13,056 miliardi di euro annui, ossia lo 0,84% del PIL. I costi diretti ammontano a 338,6 milioni di euro, mentre i costi indiretti a 12,7 miliardi di euro. I nuovi casi di maltrattamento costano all’Italia ben 910 milioni di euro all’anno. Fare prevenzione è l’unica via certa, quindi, per ridurre il costo pubblico e soprattutto per far sì che i bambini (i futuri adulti) non debbano sopportare sulla propria pelle le gravissime conseguenze personali, relazionali e sociali del maltrattamento”.
“Ci sentiamo alleati dei genitori, - conclude Rosina - degli insegnanti, delle associazioni nella loro e nostra battaglia per la salvaguardia del benessere e la tutela dei diritti dei più piccoli! Lo studio evidenzia che "ulteriori fattori di rischio riguardano la capacità di vivere la propria vita in un contesto sociale sicuro. Uno scarso capitale sociale e l’isolamento sociale dei genitori sono variabili particolarmente significative in questo senso". Riteniamo anche per questo indifferibile un lavoro con le realtà associative, i cittadini e i professionisti impegnati a contrastare il maltrattamento verso i minori in un'ottica preventiva, di riduzione dei fattori di rischio, di miglioramento delle relazioni interpersonali, della capacità di accompagnare persone in difficoltà ai servizi."
Carmela Francesca Longobardi - Consigliere CROAS Piemonte / addetto stampa Torino
cel: 333.4896751
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In occasione della “Giornata internazionale per i bambini innocenti vittime di aggressioni”, celebrata il 4 giugno di ogni anno, l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna pone l’attenzione su una forma di maltrattamento molto grave ma spesso sottovalutata, quella subita dai giovani testimoni delle violenze domestiche. La violenza intrafamiliare travolge inevitabilmente i figli, anche quando questi non sono direttamente oggetto della violenza.
L'esperienza del maltrattamento, fisico o psicologico, subito da altri - spesso la madre, ma non solo -, ha conseguenze notevoli. Anche quando bambini e adolescenti non assistono direttamente alla violenza, ne percepiscono gli effetti: vengono investiti dai pensieri e dalle emozioni della vittima e dell’aggressore, che sono le figure di riferimento affettivo ed educativo primario.
In alcuni casi, nemmeno la separazione dei genitori è sufficiente per eliminare il problema: capita che i figli vengano strumentalizzati nei conflitti. Si va dalle situazioni - purtroppo comuni - in cui un genitore tenta di trasmettere l'odio per l'ex-compagno o ex-compagna anche ai ragazzi, a quelle più estreme che possono degenerare in omicidi, con l'enorme trauma che ne consegue.
"Anche nelle situazioni meno estreme, la violenza assistita è a tutti gli effetti una forma di maltrattamento psicologico e comporta conseguenze a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale con stati di profonda sofferenza psicologica che si possono protrarre anche nella vita adulta. L’aspetto più pericoloso è che da essa i bambini imparano la normalità della violenza: l’affetto può essere associato alla sopraffazione, all’offesa, all’aggressione, apprendendo la legittimità della violenza", commenta Anna Ancona, Presidente dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna.
La violenza domestica interferisce sulla relazione genitori-figli, snaturando la genitorialità e le capacità educative-relazionali sia della madre che del padre, con gravi ricadute sui bambini e ragazzi. Nei rapporti familiari alterati viene compromessa la “base sicura” che dovrebbe essere garantita da una adeguata genitorialità, e il figlio rischia di vivere in uno stato di costante angoscia e profondo malessere.
La convivenza per tempi medi o lunghi con situazioni di maltrattamento psicologico o fisico può provocare nelle vittime - dirette e indirette - una condizione di destrutturazione psicologica e di grande sofferenza in cui i confini tra giusto e sbagliato, legittimo e illegittimo, diventano labili, con alterazione della capacità di pensiero e di scelta autonoma.
Lo stato emotivo dei ragazzi che assistono alle violenze può essere connotato da ansia, fobie e problemi psicofisici vari tipici del disturbo post-traumatico da stress. Occorre monitorarne i segnali di disagio (tra cui, ad esempio, disturbi del sonno, irritabilità e cefalee) per verificarne tempestivamente l’origine e tutelare i minori, anche con interventi mirati di tipo psicoterapeutico.
Purtroppo nelle situazioni di violenza psicologica intrafamiliare può essere molto difficile per il genitore vittima riconoscere i danni causati anche ai figli, in particolare se tale violenza è negata, non riconosciuta o sottovalutata da chi la subisce, come spesso accade quando si stabilisce come modalità relazionale prevalente all’interno della coppia o della famiglia.
È quindi fondamentale che i professionisti che entrano in contatto con bambini e adolescenti - come pediatri, insegnanti ed educatori - sappiano “captare” i segnali di disagio e i comportamenti inusuali che possono essere spia di un malessere, inviandoli a psicologi e psicoterapeuti competenti nell’età dello sviluppo per una valutazione approfondita. Anche gli altri adulti di riferimento non devono sottovalutare i rischi che la violenza assistita può causare nei ragazzi, cercando di intervenire precocemente, eventualmente chiedendo un supporto specialistico.
Per queste ragioni è di primaria importanza che gli operatori del settore siano specificamente formati per intercettare e riconoscere tali situazioni anche quando la richiesta di aiuto è mascherata da altre motivazioni o perviene su segnalazione di terzi.
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