Annunciato ufficialmente il 15 settembre 2015, il gioco Pokémon Go sviluppato da Niantic inizia la sua scalata epidemica il 6 luglio 2016 in Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti d’America e dopo una rapida diffusione in vari paesi con scadenze prestabilite che ne hanno fatto aumentare in modo esponenziale l’ansia di attesa e la curiosità, il gioco arriva in Italia il 15 luglio 2016.
In piena estate, lontano da impegni e compiti scolastici si apre per i nostri ragazzi l’era ufficiale della sperimentazione dal vivo della realtà aumentata e per gli adulti un diverso modo di giocare che, secondo i diversi punti di vista, è stigmatizzato e condannato o, nel versante opposto elogiato come pura distrazione ludica che permette di evadere da una realtà spesso difficile da sopportare.
L’interconnessione tra reale e virtuale che caratterizza le nuove forme di comunicazione che sono sorte dopo l’avvento del World Wide Web che in concomitanza con il veloce progredire della tecnologia sembra generare rapidamente nuovi codici espressivi, lessicali, semantici e figurativi, si amplia di un nuovo mondo espressivo: la realtà aumentata che ha al suo interno i vecchi codici generazionali mescolati ai nuovi, per dare forma ad un agire ancora da sperimentare, la cui complessità deve essere opportunamente compresa, dalle nuove generazioni come realtà di espressione, e dalle vecchie come strumento, che al di là del puro aspetto ludico, permette di garantire quel supporto e quel sostegno da fornire alla difficile e spesso ardua transizione dall’infanzia all’età adulta.
Una lettura psicologica del gioco Pokémon Go permette di cogliere alcuni elementi di riflessione, che in questa sede vogliono essere soltanto dei primi input di condivisione per generare una sensibilizzazione che promuova una corretta comprensione del fenomeno anche e soprattutto dal punto di vista psicodinamico.
Del resto come evidenziato da Greenfield e Yang, su un brillante articolo apparso nel 2006 su Developmental Psychology, l’utilizzo delle nuove strumentazioni tecnologiche da parte degli adolescenti ha talmente sensibilizzato la comunità scientifica tanto da creare una nuova area di indagine da parte della Developmental Psychopathology.
Come messo in evidenza nel testo “Gli adolescenti e la rete” (Carocci, 2014), le aree di sperimentazione del sé dell’adolescente (relazionale, ludica e sessuale) trovano la loro espressione nelle diverse applicazioni multimediali che permettono, nello spirito innovativo di Steve Jobs di avere il mondo al loro interno e di “passare le dita sullo schermo e muovere le immagini come se fossero dotate di fisicità?” (Isaacson 2011).
Una delle conseguenze negative che la letteratura a livello nazionale ed internazionale ha evidenziato rispetto alle nuove dipendenze è il rischio di chiusura totale degli adolescenti nel mondo interno dei loro smarthphone chiudendosi nell’isolamento delle loro stanze così come chiaramente emerge dal fenomeno sociale degli Hikikomori.
Questo termine che letteralmente significa “rannicchiarsi in se stesso”, “isolarsi”, “appartarsi” è stato coniato per la prima volta dal dottor Tamaki Saito, direttore del “Sofukai Sasaki Hospital” e descritto per la prima volta da Kasahara nel 1978.
Questi ragazzi ad un certo momento della loro vita decidono di autorecludersi nella loro stanza, che da quel momento diverrà inaccessibile alla famiglia, immergendosi esclusivamente nelle realtà virtuali, di Internet, Tv digitale, videogiochi.
Come sottolinea La Barbera, alla base di questo ritiro esclusivo nelle stanze virtuali quasi sempre si ritrova, soprattutto nell’ambito della realtà giapponese fortemente competitiva, anche per bambini ed adolescenti, il fenomeno del bullismo che: “sembra essere una delle cause principali di questa fuga nella tecnologia, di questa rinuncia alle relazioni e al confronto con i pari da parte di soggetti che in qualche maniera si avvertono come fragili ed inermi o incapaci di tollerare elevate quote di stress nei rapporti interpersonali” (2005; 129).
Come in qualsiasi area di sperimentazione occorre tenere in considerazione che ci si imbatte in pericoli i cui esiti vengono spesso sottovalutati dall’onnipotenza narcisistica degli adolescenti, che possono ritrovarsi senza giudizio e consapevolezza una foto o un video “privato” diffuso nel Web senza più possibilità di cancellarlo.
Il commento su un blog, un messaggio sui siti dei Social Network, una foto spedita con un testo possono costituire un’ “impronta digitale” che può essere oggetto di scherno e derisione e terreno fertile per il bullismo.
In un’ottica ottimistica il gioco Pokémon Go permette di uscire dall’isolamento della propria stanza e di incontrare il mondo reale giocando e coinvolgendo altri utenti nell’incontro con i diversi personaggi da catturare. Tuttavia questa lettura positiva integrandosi con i dati emersi dalle ricerche sui fattori di rischio e di protezione dell’Internet Addiction Disorder (IAD), non può non tener conto del fenomeno della dissociazione della “trance da videoterminale” (Caretti, Capraro, Schiemmenti, 2010).
Questi quadri clinici caratterizzati da trascuratezza, abuso e maltrattamento nell’infanzia portano i bambini che non hanno riscontrato il proprio essere intenzionale nella mente del caregiver, a sviluppare ridotte capacità di rappresentare gli stati mentali propri e altrui (Lyns-Ruth, 2012) e a scegliere di chiudersi e barricarsi in un mondo dissociato che anche, se occorre inseguire nel mondo reale, non permetterà quell’incontro con l’altro necessario allo sviluppo di un adeguato senso del sé.
In questa prospettiva la dissociazione sperimentata coattivamente nel mondo reale porterà ad amplificare la mancanza di attenzione correndo il rischio di incorrere in incidenti fisici che la non vigilanza può comportare nel vivere quotidiano.
Tenendo in considerazione questo primo livello interpretativo, cui ne seguiranno ulteriori nei prossimi approfondimenti, mi preme sottolineare che il gioco Pokémon Go, aprendo l’aspetto ludico all’esterno possa rappresentare uno strumento comunicativo per diminuire il divario generazionale tra genitori e figli, e permettere uno svincolo più sano che necessita di un monitoraggio affettivo costante e coerente nel tempo e nello spazio.
Così come l’Ipad non può rappresentare un sostituto genitoriale o un’utile distrazione per permettere ai genitori di svolgere in modo ‘dissociato’ il vivere quotidiano delegando, anche se temporaneamente, l’attenzione ai figli alle strumentazioni tecnologiche, il gioco, anche quello virtuale, deve essere appreso e condiviso insieme per garantire l’esclusività ludica dello svago e non generare il buco nero della dissociazione dal mondo reale.
Occorre quindi sviluppare una sana genitorialità digitale allo scopo di prevenire gli effetti negativi che un uso scorretto dei media digitali può generare.
Bibliografia
- Caretti, V., Craparo, G., & Schimmenti, A. (2010). Alcune evidenze empiriche sul costrutto di trance dissociativa da videoterminale. In V. Caretti, & D. La Barbera (Eds.), Addiction (pp. 167-182). Milano: Raffaello Cortina.
- Greenfield P., Yan Z. (2006), Children, adolescent and the internet: a new field of inquiry, Child Development, Developmental Pychology 42, 391- 394.
- Isaacson W. (2011), Steve Jobs, Mondadori, Milano
- La Barbera D., Cannizzaro S., LA Barbera C., La Cascia, L. (2010), Le dipendenze tecnologiche in adolescenza: aspetti teorici e dati di ricerca, in V. Caretti, D., La Barbera, Addiction, Raffaello Cortina Editore, Milano.
- Lyons-Ruth, K. (2012), Il trauma relazionale nel dialogo latente dell’infanzia, Borla Editore.
- Volpi, B. (2014), Gli adolescenti e la Rete, Carocci Editore.