In questi giorni di quarantena la cucina non ci ha lasciato mai soli, dimostrando ancora una volta di essere la grande madre del mondo. Ha aperto le sue braccia all’interno dei nostri spazi domestici e ci ha ricordato che anche il nutrimento non è solo fisico ma principalmente affettivo.
Non si mangia solo la pietanza ma la si prepara, la si pensa, la si struttura andando a ritroso nella nostra memoria del cuore per ripescare non solo ingredienti, ma e soprattutto ricordi, in quel sapore della memoria che non è altro che il sapore del mondo e del nostro specifico e caratteristico mondo affettivo.
L’atto di cibarsi nasce nell’amore della madre che tiene in braccio il suo bambino, lo accarezza, lo osserva, lo cura e lo fa crescere donando latte e amore, presenza e condivisione, pensiero e relazione. Da qui l’imprinting nutritivo rimane stabile nel tempo strutturandosi in modo indelebile nella nostra memoria implicita sull’asse direttivo della cura, della soddisfazione del bisogno alimentare che altro non è che riconoscimento affettivo e psichico [Volpi, 2020].
Cibo ed affetti, morsi e ricordi, presenze e sale, condivisione e rassicurazione sono l’essenza strutturale di un nutrimento che ci sostiene, ci ha sostenuto e scandisce, con la ritualità rassicurante del pranzo e della cena, i nostri momenti di vita, i nostri giorni grigi, quelli colorati, i giorni di festa e i giorni del dolore e della perdita dalla nascita fino alla fine del nostro ciclo di vita.
Cibo che si mescola all’essenza di un noi condiviso nello scambio affettivo di relazioni e pietanze, che si sedimenta nella scelta del piatto preferito di Maria Paola o nella torta di compleanno di zia Luciana che anche se ha spento le candeline nella videoconferenza zoom ha ricordato i vari passaggi della ricetta di famiglia per permettere a tutti i membri del nucleo familiare di preparare la sua torta preferita.
La trasmissione vettoriale della cucina nella sua essenza più completa di trasmissione di affetto, di attenzione, di cura e di buono per sé stessi e per gli altri ha mostrato ancora una volta in questi giorni di isolamento sociale, il suo valore totalizzante e onnicomprensivo.
Una cucina madre che sostiene e supporta nei momenti di difficoltà che cura e ci cura con il calore del buono, che ci ha permesso di non abbandonarci alla paura, al terrore, alla paralisi del vuoto intorno a noi, e nella miscela di acqua e farina ci ha elargito dosi di coraggio, di resilienza, di rassicurazione, di attenzione, azionando leve mentali che hanno permesso di cucinare e pensare, di riflettere e non sospendere processi creativi e vitali, di essere uniti e di ristrutturare l’ambiente cucina in laboratorio e spazio terapeutico, formativo, di condivisione e di crescita.
Una cucina madre che forte della sua essenza costitutiva ci ha regalato progettualità quando i progetti vitali sono stati bloccati, ci è venuta incontro con le mani operative di chef che hanno garantito con videoricette e ora con il delivery, quella carezza della grande madre del mondo che ci sostiene e che ci sosterrà sempre anche nell’incertezza di un oggi minato dal sapore incerto del domani in cui domina comunque la certezza della persistenza di un nutrimento psico-affettivo totalizzante e onnipresente.
Una cucina madre che ci cura, ci sostiene e ci fornisce i passi procedurali per andare avanti mantenendo sempre il sapore del buono affettivo della ricetta universale di Cibo e Amore.
Non c’è cucina senza amore.
Buona ri-Partenza
Bibliografia
Volpi B. [2020], Che cos’è la cooking therapy, Carocci [in press.]