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ATTENZIONE ALLA PERDITA DEI VECCHI VALORI - Premessa

Nell’era digitale, del tutto e subito, del multitasking, del trionfo iconico dei post, corriamo il rischio di perdere un lessico familiare conosciuto e di ritrovarsi nei momenti canonici di raccolta affettiva quali il Natale, nello sgretolamento del calore, della magia e dell’attesa che per secoli questa festa ha rappresentato e continua ancora per molti a presenziare.

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Le festività natalizie sono il momento in cui la famiglia rallenta la sua incessante corsa verso il raggiungimento di obiettivi futuri (sempre meno focalizzati e confusi nell’incessante frenesia del virtuale), sono sospese le attività scolastiche e lavorative, si rimandano impegni e buoni propositi per l’anno che verrà, e il treno della vita inizia lentamente a rallentare la sua corsa per fermarsi, nel bene e nel male, nella stazione riflessiva degli affetti familiari.

In questo momento dell’anno, mai come in nessun altro, si tocca con mano il filo rosso che lega il passato al presente, l’essere bambino di ieri all’adulto di oggi, riproducendo dal punto di vista della trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento quelle che lo psicoanalista Daniel Stern (1985) ha denominato come Rappresentazioni Interne Generalizzate (RIG), composte dai vari momenti (M) che una volta interiorizzati, diventano lo script del nostro ricordo del Natale.

Nel mondo interno dei ognuno di noi ci sono i vari Natali che hanno segnato, in maniera distinta, con la ritualità usuale e rassicurante dello stigma familiare, la nostra costruzione personale della festività che sarà trasmessa ai nostri figli nel corso del tempo e tra le generazioni. Il senso di appartenenza al nucleo familiare durante questo momento dell’anno è evidente nell’osservazione dell’altra faccia della medaglia: la mancanza delle persone care a seguito di un lutto, o di atmosfere familiari perdute e da ricostruire a causa di litigi o separazioni familiari. E’ proprio per questo motivo che, secondo le diverse esperienze relazionali che l’individuo ha vissuto nel corso della propria vita, che il Natale può rappresentare un forte trigger per scatenare sentimenti depressivi e malinconici che si tende difensivamente a evitare con la corsa incessante degli impegni quotidiani.

C’è da considerare, in un’ottica di attualità, che le nuove tecnologie, non sono immuni dall’atmosfera natalizia, che si colora nel digitale di un’espressività clonata diffusa epidemicamente in rete senza spesso senza essere vissuta a livello emotivo: i profili di Facebook iniziano a riempirsi di post in tema, renne canterine sono trasmesse via video su what’us up, foto di alberi decorati compaiono su Istagram in una gara incessante di quanti mi piace si riesce a sommare.  


La condivisione affettiva del vecchio Natale, con il calore dell’intimità e della privacy affettiva che garantiva alle vecchie generazioni il rispetto sociale dell’appartenenza ai valori familiari condivisi nello specifico nucleo di appartenenza, rischia di sgretolarsi nella rincorsa e nella ricerca di immagini originali che fermano il tempo nell’illusoria e, spesso fatua, compartecipazione in rete.

Il rischio diventa quello di vivere dei momenti M, vuoti da cariche affettive che costituiranno nel tempo Rappresentazioni Interne Generalizzate di un Natale in cui l’altro è raggiungibile solo nel virtuale, depauperando in tal modo il valore dell’intimità e dell’affettività familiare. 

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Simbolo di questa trasformazione è l’allestimento dell’albero di Natale, che una volta preparato, pallina dopo pallina, decorazione su decorazione, luce su luce, diventa una fotografia postata su Facebook, icona rappresentativa che nell’attesa di chi vuole un riconoscimento e un valore al proprio “saper fare” può perdere il momento simbolico di raccolta e di ricordo che ogni decorazione metaforicamente porta con sé.

Nel perseguire il percorso verso l’immagine da fotografare, il prodotto finale rappresentato dall’albero natalizio, può tramutarsi spesso esclusivamente, nella mera ricerca di un riconoscimento narcisistico che lo spoglia del valore simbolico che esso rappresenta e conseguentemente del valore affettivo che si prova nel riconoscere, nel ricordare, e nel vivere la profondità e la comunione affettiva dello spirito del Natale condiviso con i propri cari e non sparso, senza nessuna riflessione intimistica in rete.

Usualmente nelle famiglie la scatola del Natale che contiene le decorazioni, il cavallino della nonna, la stella di Natale, l’angioletto, il puntuale e, i vari oggetti natalizi, è lo scrigno che contiene la storia di quella famiglia che si è plasmata degli anni in seguito agli eventi che si sono succeduti e, che il Natale ha suggellato come momento di scansione affettiva. Anche le famiglie che non conservano pedissequamente le varie decorazioni nel corso degli anni e che le cambiano ogni Anno, conservano comunque degli oggetti caratteristici ai quali sono legate affettivamente.

Gli oggetti hanno un’anima, trasmettono un’emozione (come espresso chiaramente nel libro di Marie Kondo “Il magico potere del riordino”), il valore di una tradizione che si rinnova nel tempo, alla quale non possiamo non essere profondamente legati e che aldilà dell’involucro materiale, sono stati riempiti di eventi e persone con le quali abbiamo condiviso un legame che viene  rivissuto ogni volta che prendiamo quel particolare oggetto in mano. Se spogliamo il nucleo interno degli oggetti basandoci solo sull’immagine esterna da postare e condividere, allora corriamo il rischio di perdere l’anima simbolica che essi rappresentano, tagliando di netto la loro espressività emotiva. 

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LA MEMORIA DEL GUSTO NELLA TRADIZIONE FAMILIARE

La condivisione affettiva della famiglia a Natale passa anche e soprattutto per il cibo, inteso come valore e tradizione familiare da condividere insieme, per riconoscersi e differenziarsi nella diversità del gusto, che in un mosaico di odori e sapori costituisce la simbolicità di quello specifico nucleo familiare.

Il classico menù della vigilia e del pranzo del 25 dicembre creato amorevolmente dalla cuoca/o o dalle cuoche/i della famiglia per garantire la coesione, l’unità della vita  familiare, diventa il mezzo per riconoscersi, per rispettarsi nella diversità delle persone e dei gusti. Il menù del cenone allestito con cura, vissuto con trepidante attesa e gioia, viene poi tramandato di generazione in generazione,   trasmesso e conservato nella memoria olfattiva e gustativa che più di ogni altra rimane indelebile nei circuiti cerebrali delle persone. Il sapore e l’odore di quella particolare pietanza che la nonna portava ai bambini in tavola il giorno di Natale viene  ricercato da grandi e una volta ritrovato si trasforma in  un veicolo immediato di emozioni, percezioni, vissuti e sensazioni che caratterizzano il sapore e l’odore del Natale di ciascuno. 

Il gusto e il profumo del Natale, per ciascuno di noi, hanno un aroma e un sapore particolare che sigillano nel ricordo l’appartenenza intima a quella specifica famiglia, nonché a quel territorio e a quella cultura.

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LA CENA DELLA VIGILIA E IL PRANZO DI NATALE: L’UNIONE DEL MONDO REALE (TRADIZIONE) CON IL MONDO VIRTUALE (INNOVAZIONE)

Il divario generazionale delle vecchie generazioni e di quelle multitasking, può essere colmato cercando di unire, con una potenzialità strutturante e partecipativa, la tradizione familiare della ricetta con l’innovazione tecnologica delle foto postata nei Social Network. L’arretratezza tecnologica dei migranti digitali può essere arginata dal collaborare con i nativi digitali nella ricerca, condivisa insieme, della ricetta di famiglia, nel vederne le diversità e le somiglianze, così come i tempi di realizzazione. Dall’altra parte la tradizione dei valori familiari è garantita nella narrazione dei più grandi rispetto al come si faceva, a quando si è mangiata la prima volta quella pietanza, così come tutti gli aneddoti legati alla memoria di quel particolare piatto. I passaggi che prima le nonne, scarabocchiavano velocemente su fogli ormai triti di macchie oleose a garanzia dell’uso culinario operato più volte, possono essere sistemati e ordinati in collaborazione con i nipoti, in un file in pdf con tanto di copertina creata da una scansione di una vecchia foto della cena della viglia di parecchi anni orsono o della vecchia ricetta della nonna ritrovata in un ricettario ingiallito con il tempo.  I nipoti, le figlie possono realizzare insieme una particolare pietanza della tradizione familiare e seguirne i vari passaggi, dalla scelta degli ingredienti, all’allestimento della cucina, alla creazione finale del piatto. 

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In questo modo la foto del piatto di Natale della nostra famiglia, non corre il rischio di essere solo un’immagine vuota priva del significato affettivo ma assume un nuovo senso di appartenenza familiare, carica di una partecipazione vera e di una condivisione affettiva, che unendo il vecchio e il nuovo in un nuovo codice aggregante, non crea i muri e rifugi stagni che le nuove tecnologie possono, in modo insidioso, portare con sé.

Nella speranza che questo breve articolo, riesca a suscitare l’interesse e la motivazione per cucinare insieme i piatti della tradizione della vostra  famiglia, auguro di cuore a mamme e figlie/i, a nonni e nipoti, papà e figlie/i, alle vecchie e nuove generazioni  un

SERENO E MAGICO NATALE NELL’AFFETTO SINCERO DEI VOSTRI CARI

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Per approfondire...

L’aspetto terapeutico della cucina:
La Cooking Therapy o Terapia del cucinare

La Cooking Therapy è una terapia occupazionale in cui la preparazione del cibo assume il potere “distraente” e potenzialmente strutturante la personalità dell’individuo che in momenti particolari del ciclo di vita può subire un abbassamento del tono dell’umore, o essere sottoposto a situazioni stressanti che possono essere allieviate con la condivisione in gruppo dell’esperienza culinaria.

L’obiettivo della cucinaterapia è di avvalersi delle infinite potenzialità di uno strumento “naturale”, che rappresenta un patrimonio istintuale che da sempre possediamo, e che libero da condizionamenti doverosi e da utilizzi impropri può rivelarsi un utile ausilio per superare momento di depressione, di decremento dell’autostima, di isolamento, di noia, di ansie e paure.

L’atto del cucinare e il percorso verso la cucina, rappresentato dalla scelta degli ingredienti, dal momento della spesa, dalla trasformazione degli ingredienti in pietanze, e dal riordino del nostro setting “terapeutico” ci fornisce un potenziale di creatività, di spensieratezza, di libertà, di rigore, di riconoscimento delle regole (utili soprattutto per gli adolescenti), di un recupero della memoria e dei ricordi, che può divenire se condotto in modo appropriato, un bagaglio personale al quale poter attingere in qualsiasi momento e circostanza diventando un duttile strumento per la condivisione in gruppo di emozioni, vissuti, sintonie che vanno ad arricchire la nostra sfera psichica ed emozionale.

La cucina diventa allora una vera e propria TERAPIA OCCUPAZIONALE che tra pentole, ingredienti, sapori e odori può portare l’individuo sofferente a spostare l’ago della bilancia verso lo sviluppo di una creatività innovativa che distoglie l’attenzione da problematiche interne che alcune volte non possono essere ancora affrontate. 


La cucina allora diventa un viaggio dentro di noi
per rafforzare noi stessi e per aprirsi agli altri!


La Cooking Therapy è una terapia utile per distrarsi, per aumentare la manualità, per allontanare la depressione, per dare un sentiero alla creatività, per reintegrarsi, per consolare, per festeggiare, per fraternizzare. Oltre a tutto questo, il cucinare può diventare realmente curativo per chi soffre di problemi alimentari che rientrano nella categoria dei disturbi ossessivo-compulsivi, come negli stati di ansia, e depressivi. In sostanza l’esperienza del cucinare e del farlo insieme ad altre persone con le quali avere un riscontro immediato e diretto del proprio operato – sia attraverso il comportamento ludico sia mediante il giudizio di gusto e il giudizio di merito estetico della propria cucina – rappresenta un condensato di tutte le nostre relazioni emotive, sociali, intellettuali e sensoriali che nel momento in cui costruiamo e porgiamo un piatto all’altro, nella condivisione fraterna che il cibo ha sempre rappresentato nell’atto di convivialità.

Spesso gli adolescenti, soprattutto nell’era digitale del “tutto e subito”, non riescono a focalizzare la mente sugli obiettivi che intendono perseguire, sulle modalità e i tempi di esecuzione, sui tempi di attesa che possono rappresentare per loro dei punti morti da colmare con attività non consone e ripetitive o addirittura pericolose (se gestite dall’area istintuale non ancora arrivata al livello equilibrato proprio –“teoricamente”- degli adulti) che rappresentano solo un modo per fuggire all’incapacità di gestire la noia, di rispettare tempi di attesa, limiti e confini di se e dell’altro. Cuciniamo insieme nell’obiettivo di predisporre un piano organizzato che possa servire agli adolescenti per avere internamente uno schema di azione strutturato nel momento in cui devono realizzare un’impresa di qualsiasi natura, dall’organizzazione dello studio, alla realizzazione di un grande progetto!
Una volta appreso lo schema può essere ripetuto, consolidato e condiviso a casa.  

 

Barbara Volpi
Psicologa, specialista in Psicologia clinica, Phd in Psicologia Dinamica e Clinica - collabora con il Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica della Sapienza - Università di Roma. È membro dell’Italian Scientific Community on Addiction della Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento Politiche Antidroga e Socio Fondatore della SIRCIP (Società Italiana di Ricerca, Clinica e Intervento sulla Perinatalità). È docente al Master biennale di II livello sul Family Home Visiting presso la Sapienza e dell’ Accademia di Psicoterapia Psicoanalitica di Roma. È autrice di numerose pubblicazioni e articoli scientifici. Tra le sue pubblicazioni recenti: «Gli adolescenti e la rete» (Carocci, 2014) e per il Mulino «Family Home Visiting» (Tambelli, Volpi, 2015), «Genitori Digitali» (Volpi, 2017), «Che cos'è la cooking therapy» (Volpi, 2020), «Docenti Digitali» (Volpi, 2021), «I disturbi psicosomatici in età evolutiva» (Volpi, Tambelli, 2022) Per informazioni scrivere a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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