Si apre la porta all’affettività il giorno di Natale. Nel piroettare delle cene natalizie in cui si alternano amici, colleghi di lavoro, gruppi mal assortiti di zumba, pilates, yoga, ex compagni di superiori, gruppi di classe dei figli, si segue il ritmo dell’essere presenti in una sorta di presenzialismo spesso depauperato del calore di un Natale che sembra sbiadirsi in un tempo lontano dove la fiamma degli affetti era alimentata dall’intimità di un nucleo che si riuniva intorno all’albero per scambiarsi i doni.
Doni affettivi, doni di una presenza vera che tocca l’anima, doni depositati nella memoria sensoriale che traghetta nel cibo e nella preparazione delle pietanze la firma sentimentale di una trama familiare che verrà costudita per sempre nella memoria del cuore.
Oggi il Natale parte molto tempo prima, nella frenetica corsa ai doni, visti come adempimenti doverosi e privi della significatività del gesto del dare, che trasforma il ricevere in una smorfia mal riuscita di un sorriso congelato che maschera delusione, amarezza e poca gioia nel condividere briciole di sé con chi non è a noi poi così tanto vicino, così tanto affettuoso come sembra. Ci si fa il selfie insieme allora, ci si mette in posa sorridenti e si colora della patina touch una superficialità che sembra non toccarci ma in fondo segna i nostri stati d’animo, i nostri comportamenti e quelli dei nostri figli.
Le relazioni si fondono nelle relazioni, come il lievito nella torta, e se nella miscela degli ingredienti viene gettato, anche per sbaglio, un piccolo granello di pepe il sapore cambia. Torniamo a casa da una cena di rappresentanza in cui ci si è scambiati gli auguri, falsi sorrisi e ammiccamenti complici con chi è visto come nostro alleato dall’altra parte del tavolo e si inquina il nostro Natale di elementi privi di quel senso affettivo che questa festa ha nella sua essenza costitutiva.
Il Natale è la festa della famiglia, del nucleo affettivo che si riunisce e che sigilla nell’attesa della nascita la ritualità di una trama familiare di senso, di gusto, di affetto, di condivisione, di aspettativa, che rimarrà tale nel corso della vita e che, volenti o nolenti, si rinnova ogni volta in cui si apre la porta a Babbo Natale simbolo di patriarcale di una protezione, di una generosità, di un rispetto per l’altro che ognuno nella propria famiglia dovrebbe quotidianamente ricevere.
Non si infrangono i sogni di un bambino che aspetta il dono da Babbo Natale, che mette lo zucchero a velo sul pandoro e che chiede ormai più grandicello di giocare a carte o a tombola mettendo magicamente da parte, almeno quella sera tablet o play station per condividere sconfitte e premi nel clima affettivo di una famiglia che sostiene, sorregge e si prende cura e alimenta sogni e speranze.
Tutto questo però si fa non solo a Natale ma tutti i giorni dell’anno e solo così la magia del Natale si rinnova ogni anno fino ad arrivare in età adulta a toccare con mano i propri ricordi nella mano dei propri figli. Nella traccia del tempo che scorre il Natale, giorno di nascita, di intimità, di intensità affettiva porta sempre alla ribalta gli affetti della famiglia, il nostro tornare bambini e nel contempo la nostra responsabilità di crescere bambini in un mondo in cui si ha difficoltà a parlare di sentimenti, di calore, di valori e di tradizioni.
Tutto cancellato dalla rincorsa dell’essere presenti agli altri, nella visibilità online, e spesso dal perdere la traccia di sé in una presenza artificiosa che rimbomba edulcorata nelle vetrine dei social. Il Natale allora diventa momento di riflessione, di sospensione, di ritrovo, di un rinnovarsi dei sentimenti e degli affetti sinceri che ritroviamo negli occhi sgranati di un bambino che scarta il dono tanto atteso e che le peripezie dei tanti Babbi Natale della famiglia gli hanno fatto trovare sotto l’albero. I rituali, i sogni, le aspettative, vengono sedimentati nella nostra memoria del tempo e se caricate di autenticità, di naturalezza, di veridicità possono farci facilmente riconoscere l’artificiosità di gesti simil-affettivi che non hanno nulla a che vedere con il nostro senso dell’affetto.
Si educa nei rituali, si rinnova e si scadenza una formazione specifica all’autenticità affettiva in cui il dono di Babbo Natale altro non è che sentimento puro che va oltre il bene materiale e che permette di capire e riconoscere la strada del cuore anche quando le famiglie non sono perfette, anche quando si litiga, si discute ma poi ci si guarda negli occhi e si cerca di riparare un errore, una mancanza, un’assenza che ci ha fatto capire quanto l’altro sia importante per noi o quanto noi siamo importanti per l’altro.
L’intimità familiare va tutelata da sguardi indiscreti, dal vociferare chiassoso di auguri che confondono, da farsi di circostanza e che se non vengono dal cuore disturbano il silenzio e l’armonia di un clima soffuso in cui lo sguardo sull’altro è partecipe, attento e animato dalla ricerca del bene. Bene che si distribuisce con lo zucchero a velo nella dolcezza della preparazione del Natale, nell’attesa della riunione della famiglia e dl rinnovarsi della delicata armonia di gesti sentiti ed autentici.
Non sempre è così. Non tutti i Natali sono belli, così come non tutte le famiglie sono belle. Ma il Natale, un po' come una lente di ingrandimento magica, regalo di un Babbo Natale premuroso e attento, ci permette di andare oltre l’apparenza, di svelare segreti familiari che fanno male, di infrangere silenzi che non sopportiamo più di riprendere per mano quel bambino che sogna e permettergli finalmente di realizzare i suoi desideri. Oggi come ieri, o oggi per segnare quel domani che, prima o poi, diventerà ieri. Non è mai troppo tardi per nascere e il bene sa pazientemente attendere. Sempre se ci si orienta al bene.
Buon Natale di cuore!