Il gesto del dare con amore, del fare con amore, del condividere con amore, del nutrirsi d’amore, non ha bisogno di essere interpretato ma solo di essere semplicemente vissuto.
Passa per le vie istintive del cervello, quelle più profonde del sistema limbico e arriva dritto al cuore lasciando per sempre il suo indelebile e significativo segno.
Non si insegna: si capisce e si amplifica come un diapason emotivo, l’amore, e passa per i gesti primordiali come quello del cucinare per l’altro, con l’altro e insieme ai tanti altri pezzetti di noi che, dal primo nutrimento affettivo, arrivano a quello che siamo oggi, che eravamo ieri, e che saremo, con la gratitudine verso i tanti gesti d’amore, molti incredibilmente compresi solo oggi, domani.
Un ALTRO immenso che condensa i rituali legati alla cucina, che da sensibile e delicata mamma del mondo, conserva i tanti momenti cementati dal gusto delle pietanze, che non sono altro, che la vita che scorre segmentata dai ricordi del palato.
Un organo sensibile alle variazioni del gusto vitale che nelle sue pupille conserva infiltrato insieme all’odore delle pietanze sui fornelli, il sorriso compiaciuto di zio Fabrizio, il dolce e fiero sguardo di nonna Gina quando porge in tavola l’impresa culinaria della tradizione di famiglia, il silenzio di Jacopo mentre assapora assorto nei suoi pensieri la cioccolata.
La cucina lega anche nell’assenza, ricorda senza lacrime, spinge ad andare avanti con il ricordo intriso nei sensi, fa rivivere momenti passati, direziona quelli futuri e ci testimonia come il passato può riemergere vivido e animosamente vitale nel calore affettivo dei fornelli.
Cuciniamo anche per chi non c’è più, per chi vi ha insegnato a cucinare e tramandiamo la tradizione della memoria del cuore, per dare senso alla brevità di una vita che fugge e che rimane inglobata in quel semplice e, nello stesso tempo immenso, brodo caldo, servito con amore e gratitudine in tavola.