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Quando i ragazzi in carico ai servizi sociali si avvicinano alla maggiore età, talvolta si presenta la possibilità di essere segnalati ad un servizio educativo che li segue, mettendo a loro disposizione un appartamento.

Questa tipologia di struttura residenziale spesso viene definita “Appartamenti per l’autonomia”. Anche la Regione Lombardia, nel regolamentare e definire i criteri e i requisiti dei servizi residenziali per minori, parla di “alloggi per l’autonomia”. Curiosamente, da un punto di vista lessicale, si passa da servizi identificati attraverso la categoria d’età delle persone accolte (comunità minori, mamme con bambino) a servizi identificati attraverso quello che ci si immagina essere l’obiettivo dell’inserimento: l’autonomia.

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Naturalmente il legislatore spesso deve ricorrere a semplificazioni che rapidamente facciano capire il tipo di struttura della quale si parla, facendo leva sul portato evocativo delle parole utilizzate.

Nel linguaggio comune, però, questo rischia di generare equivoci e automatismi che spesso influenzano segnalazioni, progetti e valutazioni finali.{xtypo_quote_right}Quello che, fino a pochi mesi prima, sembrava impossibile chiedere loro, d’un tratto diventa quasi un obbligo{/xtypo_quote_right}

Il termine autonomia, così esplicitamente dichiarato, invade il campo della progettazione, rischiando di mettere in secondo piano la lunga e complessa storia dei ragazzi, ma anche il rispetto dei naturali tempi di crescita e il delicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Quella che negli intenti degli operatori dovrebbe rappresentare una visione prospettica, rischia, nella realtà, di trasformarsi in risultati da raggiungere in breve periodo. Improvvisamente i giovani neo-maggiorenni (o gli ancora diciassettenni) devono rapidamente diventare autonomi.

Quello che, fino a pochi mesi prima, sembrava impossibile chiedere loro, d’un tratto diventa quasi un obbligo, a volte connotato da urgenza e fretta, quasi evocando colpa o fallimento qualora il risultato sperato non dovesse essere raggiunto. La progettazione educativa, messa sotto pressione da tempi e risultati “innaturali", può cedere alla sempre presente tentazione di semplificare la complessità dei processi, attivando percorsi lineari, automatici e misurabili. Tutto questo col rischio di rafforzare le inevitabili tentazioni di fuga che i ragazzi spesso agiscono a quell’età.

La cornice temporale per raggiungere l’autonomia viene poi, in realtà, dettata a priori, da fattori esterni: una maggiore età che incombe, la conclusione di un percorso penale, un prosieguo amministrativo con data di scadenza. Non cioè un tempo “necessario”, capace di coniugare il senso di una storia, le fasi evolutive della crescita e i limiti della realtà.

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Comprimendo il progetto alla sola dimensione di urgenza temporale, si corre oltretutto il rischio di indurre - al contrario - reazioni di dipendenza nel giovane che, spaventato da compiti più grandi di lui, tenta una regressione che obblighi i servizi a rivedere il progetto: “più sono autonomo e più sarò lasciato da solo”.

L’autonomia può diventare un pericolo che, se viene semplificata ad un “decalogo” di cose da fare concrete e materiali (per intenderci: alzarsi la mattina, pulire la casa, gestire i soldi...), rischia di ridurre un processo tanto complesso e delicato in un ingranaggio meccanico, come fosse un interruttore che bisogna accendere, una divisa da indossare, una procedura da eseguire.{xtypo_quote_right}Le strade che portano al conseguimento delle proprie autonomie sono ben più complicate, sempre diverse e mai replicabili, sottoposte ad accelerazioni e frenate, tortuose e poco lineari.{/xtypo_quote_right}

Le strade che portano al conseguimento delle proprie autonomie - sappiamo bene, invece - sono ben più complicate, poco standardizzabili e programmabili, sempre diverse e mai replicabili, sottoposte ad accelerazioni e frenate, tortuose e poco lineari.

Produrre autonomie è, prima di tutto, esporre al rischio, sottrarre protezioni e tutele, creare luoghi dove sperimentare autenticamente le proprie capacità. Una sorta di porto franco, dove l’adulto gradualmente toglie la sua presenza, e non la sostituisce con rigide regole dettate a tavolino, che rischiano solo di selezionare chi autonomo (...o adeguato al contesto) lo è già.

Proprio per questo pensiamo che il servizio di appartamenti educativi sia il posto ideale dove cercare, allenare e formare quel corredo di autonomie che ancora non ci sono (e ci mancherebbe!) e che sembra un po’ un imbroglio far diventare titolo di merito per accedere a strutture di questo tipo.

L’appartamento è quel luogo osservativo-esperienziale dove il ragazzo stesso vede il proprio funzionamento nel mondo, il più possibile al netto dell’artificialità dei servizi a maggiore protezione che spesso ne alterano le prestazioni. L’obiettivo di un servizio di appartamenti per giovani adulti, per assurdo, non è l’autonomia. E' qualcosa di più: è investire sull’autonomia, mettendo le basi e innescando un processo che probabilmente non si concluderà con le dimissioni dall’appartamento, ma che favorirà l’incontro (rischioso) con le proprie competenze, i propri limiti e le proprie capacità di apprendimento e di adattamento alla realtà.

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La struttura dell’appartamento da sola, però, non produce magicamente o in automatico percorsi di crescita. L’autonomia - o meglio, il processo per sviluppare le proprie autonomie - è possibile nell’integrazione tra le caratteristiche della struttura e la qualità del supporto educativo offerto. E non è un caso che questo processo venga governato dall’educare, cioè dal produrre dipendenza.{xtypo_quote}L’operatore, quindi, non deve scomparire ma, al contrario, essere ancora più presente. Una presenza però che trasforma la sua natura, il suo stile, il suo sguardo. {/xtypo_quote}
Diversamente da quello che spesso si pensa, l’autonomia dei ragazzi seguiti dai servizi sociali (e non solo), non si ha quando il giovane riesce ad emanciparsi dalle proprie figure di riferimento, ma quando riesce addirittura a moltiplicarle. Il processo verso la costruzione delle proprie autonomie, è un processo che passa attraverso il riconoscimento delle proprie dipendenze.
L’operatore, quindi, non deve scomparire ma, al contrario, essere ancora più presente. Una presenza però che trasforma la sua natura, il suo stile, il suo sguardo. Una presenza che è capace di non esserci, di osservare a distanza, di non intervenire, di non impedire le cadute.

L’educatore di un servizio che vuole stimolare autonomie non è concentrato a produrre regole, controllo e sanzioni. Queste, spesso, servono solo a tenere a bada le ansie dell’operatore e non insegnano niente ai ragazzi, i quali sanno bene cosa è giusto e cosa è sbagliato. Da questo punto di vista la realtà è già sufficientemente educativa. Al contrario l’educatore sa tollerare i fallimenti, rilanciare nei momenti di crisi, decidere accelerazioni o frenate, fissare i paletti entro i quali negoziare. La sua è una presenza soprattutto “mentale”, capace di scelte improvvise e spiazzanti, sempre legate alle singole individualità e mai uguali per tutti, dove autenticità e reciprocità diventano parole chiave.

{xtypo_quote_left}È qualcosa di più: è un servizio adatto a trattare le complessità dei ragazzi quando, avvicinandosi la maggiore età, fanno i conti con i difficili compiti dell’età adulta{/xtypo_quote_left}Un servizio di appartamenti educativi è quindi, prima di tutto, un dispositivo educativo, capace di produrre differenti scenari osservativi, esperienze di cambiamento e di apprendimento, autentici incontri con la realtà che, solo per un eccesso di semplificazione, definiamo autonomia.

È qualcosa di più: è un servizio adatto a trattare le complessità dei ragazzi quando, avvicinandosi la maggiore età, fanno i conti con i difficili compiti dell’età adulta che riportano a galla, senza troppi sconti, le ferite e i “buchi neri” presenti nella loro vita.

Ma è anche un servizio che ha l’ambizione di sviluppare benessere, inteso come possibilità di trovare soluzioni auto-efficaci, di sperimentare una propria nuova collocazione nel mondo, di venire a patti con i propri limiti e la propria storia, attraverso l’avvio di un processo infinito, dove le figure di riferimento non scompaiono a causa del passaggio da una struttura all’altra ma rimangono per sempre, perché se ne ha interiorizzato il senso, il valore, gli insegnamenti.

 


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