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gomitolo di filo ulluminated dai raggi del tramonto 82742919

 

La rivoluzione digitale, come ogni rivoluzione che voglia essere chiamata tale, ha comportato grandi stravolgimenti nel fare quotidiano, modificando abitudini, comportamenti, azioni, nessi causali, riflessioni, pensieri e questo leit motiv caratterizza ancora di più l’era digitale in un dialogo congiunto tra due realtà inizialmente distinte, di supporto l’una all’altra, che si sono integrate e modificate a vicenda in un groviglio comunicativo nel quale, frequentemente, si perde il punto di partenza e/o di aggancio, di quel filo narrativo che partendo da un La digitale ha creato e sta creando,  sinfonie ed echi diversi che si riversano nel nostro quid presente nella traversata verso un  futuro non molto lontano e per certi versi algoritmicamente prevedibile.

 

Fortunatamente, in questo gomitolo/groviglio comunicativo, al momento attuale possono essere rintracciati dei nodi comunicativi e/o comportamentali che,  secondo il mio personale punto di vista, debbono essere presi per mano e dipanati per evitare di tessere un filo sfilacciato di rotture e disarmonie, che nell’avanzamento tecnologico possono radicarsi in una rete di interconnessioni in cui si corre il rischio di perdere e di stravolgere, in una trasformazione e erosione incessante, le colonne portanti, di valori, affetti, stili, scoperte sulle quali si è solidamente strutturata l’essenza e il divenire dell’uomo.

Questo metaforico gomitolo/groviglio, che oggi salta fuori colpendoci spesso di sorpresa dalle pagine www e dai comportamenti delle persone, è la matassa aggrovigliata di un filo, che ciascuno di noi, con i ferri/strumenti digitali in mano, in apparenza magici e controllabili, rassicuranti per certi versi, nel loro ordine e nella loro facile sequenzialità, ha iniziato, dal proprio personale spazio di vita, confuso, armonico, gentile, arrabbiato che sia, a tessere nella nuova maglia della digitalità, chinando la testa sui ferri e non soffermandosi molto sul prodotto che stava venendo fuori.

Per gioco, per prove ed errori, alla lettera e/o senza regole, ed ecco che i colori si sono mischiati, i fili si sono intrecciati, confusi, ma nel seguire il fare e la produttività tecnologica, nata come ausilio e supporto al fare quotidiano, quindi geneticamente vista come alleata, ci siamo sentiti di andare avanti finché qualcuno timidamente, altri con maggiore enfasi, altri ancora, soprattutto i giovani, con tracce iconiche lasciate indelebili su uno schermo, forse per la prima volta messo in discussione, hanno iniziato ad immettere voci di allarme di un coro che non vuole assolutamente demonizzare la rete, ma mettere in evidenza che per tessere la tela dobbiamo seguire alcune regole, appellandoci anche solo  del buon senso, e non sradicare quanto sappiamo e abbiamo costruito scientificamente ed esperienzialmente nel nostro viaggio della vita.

Uno dei nodi principali che ha creato e sta creando, a mio parere, confusione è il mettere in primo piano la destrezza tecnologica degli adolescenti, nativi digitali, che essendo nati nell’era digitale sono più abili degli adulti ad utilizzare gli strumenti tecnologici senza pensare o forse dando per scontato, che sono gli adulti a dare loro il cellulare in mano  [come sa chi mi legge in Italia, all’incirca al compimento dei 10 anni, anche se stiamo abbassando la soglia, tenendo in considerazione casi specifici come figli di genitori separati] e che, tenendo in considerazione la plasticità neuronale, un utilizzo eccessivo della digitalità, soprattutto precoce e senza rispettare i tempi e le modalità delle acquisizioni evolutive, può alterare i circuiti cerebrali, che si strutturano come ben sappiamo e come le neuroscienze ci testimoniano e dimostrano, nella strada “se mi usi mi plasmo, mi strutturo e mi consolido”.  A testimonianza di quanto detto le ricerche di Small e Vorgan (2008) mettono in evidenza, tramite la prova indiscussa della risonanza magnetica, che l’utilizzo di internet stimola l’alterazione cerebrale cablando nuovi tracciati neurali in cinque giorni sia per i giovani che per gli anziani.  Quindi partendo dalla base, vista come estremizzazione negativa,  del nodo  “nativi digitali” se un bambino non gioca con i genitori, con le macchinine, con i puzzle, con pezzi di legno, se  non manipola l’ acqua, la sabbia, la farina, le uova, se non guarda la madre per indicare che vuole la sua macchinina preferita e che non corre al parco con il papà, o sale sull’altalena con la compagna di classe,  ma si distrae solo con lo schermo, lasciando libero il genitore di fare altre cose, o di leggere le mail con maggiore accortezza, o peggio ancora di chattare senza che gli presti la minima attenzione, diventerà certo più abile del genitore a giocare all’evoluzione del futuro Fortneit perché i suoi circuiti cerebrali attivano l’area del gioco riconoscendo solo la sinfonia del giocare da solo, con quello che gli viene messo in mano e che può utilizzare da solo.

Viceversa, se un bambino è cresciuto in un ambiente che lo ha stimolato a giocare, a socializzare, a crescere nel rispetto delle sue acquisizioni evolutive che non possono essere delegate alla Tata-Rete, allora anche se conoscerà e sperimenterà nei tempi dovuti il divertimento ludico che i giochi online propongono e che è sostenuto dall’appartenenza del gruppo adolescenziale tou court, saprà e vorrà tornare alla base degli scherzi con i compagni, del divertimento fuori le mura domestiche, degli sguardi furtivi lanciate alle ragazze, anche se già le conoscono e sanno cosa adorano mangiare, come si vestono, dove vanno in vacanza e con quali ragazzi si sono frequentate nel nodo groviglio del “ ti seguo, pubblichi, vedo, so chi sei” (tutto minuziosamente scoperto nel racconto/dono delle storie di Instagram). E soprattutto, anche se il gioco, cattura e trasforma in qualche modo, alleandosi con il bisogno adolescenziale del sentirsi onnipotente alla ricerca di un Sé grandioso, e del necessario e legittimo svincolo genitoriale, l’aggancio con momenti di vita autentici e affettivamente intensi, nel quale viene riconosciuto, legittimato e rispecchiato un sé in trasformazione nell’ancoraggio/ricordo di un bambino che non c’è più ma che è stato, ed è vividamente presente nella mente dei genitori, permette di supervisionare di scovare l’eventuale deviazione verso una crescita sana e di riportare il ragazzo su un punto di partenza più idoneo al suo sviluppo.

Uno degli assiomi, e delle scoperte certe che la navigazione digitale, ha messo in evidenza è che la frequentazione della rete cattura e rapisce, grandi e piccini, vecchi e giovani e se non vale la pena frequentare le spazi offline, nel quale ci può essere caos, confusione, amarezza, tristezza, la coloritura iconica di uno spazio sempre presente e sempre disponibile, illusoriamente privo di rischi, può farci cadere nella trappola di un apparente rifugio della mente, che con l’andare del tempo, ci inganna e ci disillude.

La chimera mediatica, ci attrae, ci spinge ad andare avanti ma nel farlo senza una guida-consapevolezza-esempio-supervisione adulta in primis,  ci trasforma e si trasforma, e come il più abile manipolatore affettivo, sull’onda della nostra pigrizia, di un nostro sé vacillante (questo vale sia per giovani che per adulti), di un nostro momento di debolezza, della nostra paura di crescere può farci correre il rischio del non ritorno che ci impedisce di tornare indietro fino a non scorgere più il filo dal quale siamo partiti che era quello del giocare e del divertirsi, o di tornare patologicamente indietro nel caso di adulti che cadono nella trappola della ludopatia.

Trasformazione avvenuta, reale cancellato, gomitolo/groviglio che salta fuori nella tela degli Hikikomori che si rinchiudono nelle loro stanze cancellando il mondo che doveva essere aiutato, supportato, colorato, dall’evasione digitale, break temporaneo rigenerante di un vivere quotidiano a volte difficile e tortuoso ma pur sempre vitale.

 scacchi 

Fermiamoci un attimo:

la lezione di vita, che gli effetti della rivoluzione digitale ci stanno mostrando, nel gioco, così come nella comunicazione (che mi riservo di affrontare in un altro momento), è che, oggi più di ogni altra epoca, si ha il dovere morale, oltre che sociale, di dare senso allo spazio vitale quotidiano, curare gli affetti e l’ambiente, formare ed educare le future leve del domani, in un lavoro sinergico di rete di adulti che sorreggono, informano e supervisionano, mantenendo solido il filo conduttore di certezze affettive, storia, valori, per segnare la strada dell’autenticità in grado di strutturare la partita di scacchi della vita con coerenza e riflessività e, in caso di necessità, favorire un ritorno alla base dei legami familiari, colonna portante del nostro sé in qualunque rivoluzione ci si richieda di affrontare.

 

 Buon gioco e Buon Ferragosto!

 

@riproduzione vietata 

Barbara Volpi
Psicologa, specialista in Psicologia clinica, Phd in Psicologia Dinamica e Clinica - collabora con il Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica della Sapienza - Università di Roma. È membro dell’Italian Scientific Community on Addiction della Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento Politiche Antidroga e Socio Fondatore della SIRCIP (Società Italiana di Ricerca, Clinica e Intervento sulla Perinatalità). È docente al Master biennale di II livello sul Family Home Visiting presso la Sapienza e dell’ Accademia di Psicoterapia Psicoanalitica di Roma. È autrice di numerose pubblicazioni e articoli scientifici. Tra le sue pubblicazioni recenti: «Gli adolescenti e la rete» (Carocci, 2014) e per il Mulino «Family Home Visiting» (Tambelli, Volpi, 2015), «Genitori Digitali» (Volpi, 2017), «Che cos'è la cooking therapy» (Volpi, 2020), «Docenti Digitali» (Volpi, 2021), «I disturbi psicosomatici in età evolutiva» (Volpi, Tambelli, 2022) Per informazioni scrivere a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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