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Partendo dalla definizione di baby gang, una ricognizione nella criminalità minorile tra società e grande schermo.

L’uscita in sala quasi simultanea di Spring Breakers - Una vacanza da sballo di Harmony Korine e di Educazione siberiana di Gabriele Salvatores ha riportato alla ribalta un tema frequentato a più riprese - e con profitto - dal cinema, in primis da quello americano. 

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Sulle baby gangs tanto è stato scritto, soprattutto dal punto di vista sociologico e criminologico. Alcuni interessanti studi risalgono agli anni Venti del secolo scorso, come The Gang: A Study of 1,313 Gangs in Chicago di Frederic Milton Thrasher1, che durante l’arco di sette anni aveva esaminato le bande di adolescenti di Chicago. Secondo l’autore, spesso le gangs nascevano dai gruppi spontanei di gioco dei bambini ed erano formate da amici intimi; l’espulsione da scuola o una qualche altra dinamica di emarginazione agiva da catalizzatore per la loro costituzione. Quelle osservate da Thrasher erano instabili: molti membri ne uscivano e altri vi aderivano, nonostante permanesse sempre un’influenza sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei singoli. Rimanendo negli Stati Uniti, C. Ronald Huff ha descritto la gang come «un gruppo ben definito di giovani tra i 10 e i 22 anni»2; James C. Howell, a sua volta, come «un’associazione costituitasi spontaneamente di pari avente le seguenti caratteristiche: il nome e simboli riconoscibili, un capo identificabile, un territorio geografico, un regolare luogo d’incontro e azioni collettive per compiere attività illegali»3.

Il fenomeno è frequentemente associato a bambini e adolescenti in un contesto scolastico, ambiente privilegiato dove le reti dei pari esistono e possono facilmente essere accentuatemediante la differenziazione delle varie bande e i processi di inclusione ed esclusione che ne caratterizzano una4.

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Giuseppe Magno parla invece di «reati commessi da gruppi di giovani devianti composti da almeno tre soggetti, non affiliati a organizzazioni criminali» che «possono poi diventare qualcosa di più allarmante: la differenza deriva principalmente dal tipo di reato compiuto. Se si tratta di scippi o rapine restano “baby gangs”, se uccidono si trasformano in “branco”. Ma è probabile che i motivi e le modalità di aggregazione siano uguali, che alla radice ci siano gli stessi problemi e bisogni e che il cosiddetto “branco” rappresenti un’evoluzione naturale delle “baby gangs”»5. Si tratterebbe in sostanza di una tipologia di devianza che rispecchia un disagio diffuso e un’urgenza di affermarsi attraverso la trasgressione e la violenza6. Alcuni studiosi ritengono tuttavia improprio l’utilizzo del termine “baby gangs”. Gustavo Pietropolli Charmet insiste sul fatto che «in realtà queste gangs non esistono. Le vere baby gangs si incontrano per delinquere, con un progetto criminale preciso. Hanno una divisa, delle gerarchie, un capo; qui invece siamo di fronte ad aggregazioni spontanee di adolescenti che si ritrovano in quanto amici. Dal gruppo può poi partire una piccola frangia che va in direzione deviante e può coinvolgere anche gli altri. Così l’azione criminale può diventare un rito anche se dai giovani non è vissuto così»7.

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In chiusura di questo preambolo, è interessante citare studi recenti che hanno analizzato come le bande stiano evolvendo negli ultimi tempi. Per esempio, un’indagine europea ha evidenziato che «nel considerare gli aspetti specifici relativi al fenomeno delle baby gangs, non si può prescindere dalla difficoltà degli adulti di comprendere l’universo giovanile. Tale distanza pare sempre più incolmabile a causa delle tecnologie sofisticate e in continuo mutamento alle quali gli adulti stentano ad adattarsi. Si aggiungono inoltre due fattori di criticità, ovvero la mancanza di valori che contraddistingue le nuove generazioni e il loro disinteresse rispetto ai temi sociali, culturali e ambientali. Si deve infine tenere presente una crescente difficoltà da parte dei giovani ad accedere a offerte formative gratuite e adeguate alle necessità del mercato del lavoro, la cronica carenza di occupazione e la fatica a integrarsi e a identificarsi; sono questi gli elementi fondanti del divario tra padri e figli, insegnanti e studenti, educatori e giovani,mondo del lavoro e nuovi lavoratori»8. Per la complessità e il potenziale narrativo delle dinamiche messe in circolo, le bande giovanili hanno largamente attirato l’attenzione del cinema (in particolare americano). L’elenco dei titoli sull’argomento degni di nota sarebbe interminabile; in questa sede ci limiteremo pertanto a segnalarne alcuni in cui ritroviamo molte delle caratteristiche sopra esposte.

I guerrieri della notte (Walter Hill, 1979). Nel capostipite del genere spicca il ruolo carismatico del leader dei Riffs che tenta di unire le forze di tutte le gangs del Bronx per sottrarre il controllo dei quartieri alla criminalità organizzata e impadronirsi così di New York. L’insieme degli adepti dei vari gruppi supera le sessantamila unità, più del numero dei poliziotti che prestano servizio in città.

The Wanderers - I nuovi guerrieri (Philip Kaufman, 1979). Siamo nel 1963, sempre a New York, e i protagonisti sono stavolta i componenti dei Wanderers («Vagabondi»), giovani italoamericani cresciuti insieme. È la banda padrona assoluta della Cinquantaduesima strada nel North Bronx. La pellicola riporta varie vicende di scontri tra le fazioni, connotate soprattutto dall’appartenenza etnica (afroamericani, cinesi, italiani)ma non solo (ebrei, skinheads), sia nel contesto scolastico sia in quello urbano.

I ragazzi della 56a strada (Francis Ford Coppola, 1983). Tulsa, anni Sessanta. Greasers e Socials sono gangs rivali: i primi, poveri e di etnia ispano-americana, abitano in periferia, mentre i secondi, bianchi e ricchi, risiedono in quartieri borghesi. Si dividono il territorio e le ragazze, e spesso, quando vengono a contatto, il risultato è la rissa. Da confrontare con il “gemello” Rusty il selvaggio, girato da Coppola nello stesso anno e sempre basato su un romanzo di S.E. Hinton.

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Colors - Colori di guerra (Dennis Hopper, 1988). Connotati cromaticamente dall’abbigliamento (rosso da una parte, blu dall’altra), Bloods e Crips sono le più grandi e potenti tra le seicento bande giovanili che, con oltre settantamilamembri, infestano Los Angeles. Si combattono quotidianamente per il controllo del mercato della droga, in particolare del crack, la cocaina che si fuma. Basta trovarsi con il colore sbagliato nel territorio sbagliato per essere eliminati, com’è accaduto a quattrocento ragazzi in un solo anno.

Gangs of New York (Martin Scorsese, 2002). Nel 1846, il degradato quartiere dei Five Points di New York è teatro - ricostruito negli studi romani di Cinecittà - dello scontro all’ultimo sangue fra Nativi e Conigli Morti, bande specializzate in racket, gioco d’azzardo, sfruttamento della prostituzione, contrabbando, omicidio.

West Side Story (RobertWise e Jerome Robbins, 1961) e Romeo + Giulietta di WilliamShakespeare (Baz Luhrmann, 1996). L’opposizione fra bande si intreccia con l’amore fra teenager appartenenti a famiglie nemiche. Il primo titolo ha come sfondo l’Upper West Side: lei è la sorella del boss dei portoricani Sharks, lui l’ex componente della gang antagonista dei newyorkesi anglosassoni Jets. Ne scaturisce un musical che inscena conflitti razziali e rese dei conti,muovendo anche critiche verso imiti di libertà e tolleranza negli Stati Uniti di John Fitzgerald Kennedy. Nel secondo film, ambientato nella postmoderna metropoli balneare di Verona Beach e riassunto dall’autore come «una visione psichedelica di una passione giovanile senza tempo», i due innamorati restano ugualmente schiacciati dalla rivalità delle gangs che fanno capo a potenti ras neofeudali. IMontague sono WASP, ossia bianchi, anglosassoni e protestanti,mentre i Capulet sono latinoamericani e cattolici.

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Skinheads (Geoffrey Wright, 1992). In Australia, classi operaie bianche e asiatiche danno sfogo al proprio disagio tramite l’intolleranza reciproca. La pellicola fece parecchio discutere a causa della violenza esplicita,ma anche per il suicidio di uno dei protagonisti (Daniel Pollock), verificatosi appena prima dell’uscita. La sceneggiatura deriva dalle storie di alcuni skin88 raccolte dal regista. City of God (FernandoMeirelles, 2002). Ispirato all’omonimo romanzo di Paulo Lins e interpretato da attori non professionisti, ritrae dagli anni Sessanta agli Ottanta la Cidade de Deus di Rio de Janeiro. In questo efficace crime movie dalla violenza sensazionalistica, la favela è il palcoscenico delle storie parallele di due tredicennimossi da ambizioni opposte: l’uno vorrebbe diventare un fotografo, l’altro il più temuto criminale della città. Nel duro finale i sopravvissuti di una banda, tutti bambini e armati, dopo aver deciso di imporsi nuovamente sul territorio cominciano a stilare una lista nera coi nomi delle persone da eliminare, alcune delle quali sono colpevoli solo di averli offesi.

This Is England (ShaneMeadows, 2006). Londra, 1983. Si scende in strada per protestare contro gli effetti delle riforme di Margaret Thatcher e si moltiplicano i gruppi di estremisti skinheads. Il protagonista è un dodicenne solitario e un po’ goffo preso di mira in ambito scolastico, dove gli atti di bullismo regnano già sovrani; quando incontra degli sbandati dalla testa rasata, il loro leader lo prende sotto la sua ala protettiva. Strutturata in maniera semplice, raccontata con un approccio viscerale e uno stile che richiama il naturalismo di Ken Loach e Mike Leigh distorcendolo e velocizzandolo, l’opera - autobiografica - non si esaurisce in una vicenda di iniziazione e formazione che proietta un ragazzino dall’infanzia all’adolescenza nel corso di un’estate burrascosa, ma si configura come un documento dalla valenza storica, tanto per l’inclusione di materiali di repertorio sull’Inghilterra del periodo quanto per la riflessione di natura socio-antropologica su ideologia ed evoluzione del movimento skinheads.

Hermanitos, fratelli d’Italia (Jacopo Tartarone, 2010). Documentario che affronta l’attualità delle bande di latinos a Milano. Ragazzi che hanno subito dei traumi e maturano portandosi dentro nodi irrisolti tramandati alle generazioni seguenti se non rielaborati: l’abbandono nel Paese di origine da parte delle madri, venute in Italia quando i figli erano ancora piccoli; l’assenza dei padri dalla nascita o la loro scomparsa in momenti successivi; il percorso migratorio in età preadolescenziale o adolescenziale; la solitudine al ricongiungimento con la madre (che nel frattempo si è costruita una nuova famiglia) e il cambio drastico di lingua, clima, cultura, ambiente amicale. Le dinamiche di entrata e collocazione nelle gangs sono simili: rituali di accesso, chiara definizione dei ruoli. E ostilità verso qualcuno: se per gli skinheads l’inferiore da sconfiggere è l’immigrato, per i giovani latinos sono gli affiliati alla banda avversaria. Un fenomeno purtroppo inarrestabile, come dimostrano le denunce alla magistratura ordinaria eminorile di reati commessi in gruppo (risse e lesioni) che permangono numerose nell’ultimo decennio nei distretti di Corte d’Appello di Genova e Milano. Sarebbe dunque utile approfondire l’argomento, soprattutto in relazione agli interventi di carattere rieducativo - finalità primaria del processo penale minorile - e trattamentale dei minori coinvolti, per una migliore e più rapida fuoriuscita dal circuito giudiziario.

articolo pubblicato per gentile concessione della rivista Duellanti
con un ringraziamento al Tribunale dei Minori di Milano


1 Frederic Milton Thrasher, The Gang: A Study of 1,313 Gangs in Chicago, University of Chicago Press, Chicago 1927.
2 C. Ronald Huff, Comparing the Criminal Behavior of Youth Gangs and At-Risk Youths, in «National Institute of Justice» (U.S. Department of Justice), ottobre 1998.
3 James C. Howell, Youth Gangs, in «Fact Sheet» (OJJDP), dicembre 1997.
4 Patricia A. Adler, Steven J. Kless, Peter Adler, Socialization to Gender Roles: Popularity among Elementary School Boys and Girls, in «Sociology of Education» (American Sociological Association), vol. 65, n. 3, luglio 1992, pp. 169-187.
5 Giuseppe Magno, Audizione presso la Commissione parlamentare per l’infanzia, 20 gennaio 2000.
6 Franco Garelli, recensione di Adolescenti e devianza di Nicholas Emler e Stephen Reicher (il Mulino, Bologna 2000), in «La Stampa», 20 maggio 2000.
7 Gustavo Pietropolli Charmet in «La Stampa», 4 maggio 1999.
8 Cfr. http://youthgangs.ejjo.org, sito Internet di ITACA Project.

 


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