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Amila, poco più che maggiorenne, giunge con i due fratelli e le due sorelle minorenni nella capitale srilankese per trovare da vivere, o da sopravvivere, ma soprattutto per aiutare una di loro, Inoka, affetta da una grave malattia cardiaca.

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È una famiglia senza adulti quella di Amila, proveniente da un piccolo villaggio dove ha perso entrambi i genitori. Amila si porta sulle spalle il peso del lutto per la loro prematura dipartita, e la responsabilità per i quattro fratelli più piccoli.

Ma la malattia di Inoka necessita di un intervento molto costoso, e il lavoro trovato da Amila in un cantiere non basta per pagarlo. A sua insaputa, i fratellini escogitano uno stratagemma per elemosinare per strada qualche soldo in più, ma la cosa non passa inosservata alle forze dell’ordine.

Qui entra in gioco una ricca donna manager, che convince Amila a seguirla nel suo “business” ben remunerato. Ma i soldi facili nascondono sempre un lato oscuro, in questo caso si tratta di un traffico di neonati per l’adozione internazionale illegale.

Va segnalato che, come spesso accade, la traduzione del titolo non è propriamente centrata. “Peacock Lament” infatti sta per “Il lamento del pavone”, co-produzione Sri Lanka-Italia che ha consentito la visione della pellicola sui nostri grandi schermi.

Sono molti i temi che la pellicola affronta e che consentono al regista di continuare le sue indagini umane e sociali nel suo Paese: dal forte legame familiare dei cinque fratelli, che resiste a qualunque ostacolo, alla malattia e alla sanità (pubblica e privata) per come è percepita in un Paese meno sviluppato, dalla ricerca a tutti i costi di un lavoro ben remunerato, alle adozioni internazionali illegali, dal lutto subito e non rielaborato per la perdita di persone care (i genitori, in particolare la madre), alla paura di un ulteriore lutto per la sorella malata, che rischia la morte se non viene subito operata all’estero.

Rispetto al tema delle adozioni internazionali illegali, occorre segnalare che è di grande attualità, soprattutto rispetto ai quei Paesi di accoglienza che hanno consentito il sistema del doppio binario, ossia: il viaggio della coppia adottante nel Paese di origine dei minori adottabili tramite enti autorizzati, oppure il viaggio della coppia adottante nel Paese di origine dei minori adottabili direttamente e senza il supporto di enti autorizzati.

Per fare un esempio, la Francia ha avuto questo sistema di doppio binario fino a un paio di anni fa e diverse indagini su adozioni internazionali illegali sono ancora in corso, proprio e soprattutto per casi appartenenti a questa seconda opzione. Attualmente, solo gli USA mantengono un sistema di doppio binario. L’Italia, dalla ratifica della Convenzione sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozioni internazionali, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993, e dalla costituzione della Commissione per le adozioni internazionali, quindi da oltre vent’anni, non ha più il doppio binario e le coppie possono adottare solo tramite enti autorizzati, che offrono maggiori garanzie di rispetto dei principi sanciti dalla Convenzione sopra citata e dalle normative di entrambi i Paesi (di origine del minore adottando e di accoglienza della coppia adottante). Indagini su sospette adozioni internazionali illegali realizzate in Ski Lanka, sono proprio in corso in Francia, Norvegia e Svezia, mentre l’Italia non ha un rapporto di collaborazione con lo Sri Lanka, e la Svizzera sta realizzando una interessante ricerca sull’accesso alle informazioni delle origini dei minori adottati in Sri Lanka.

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Il regista e sceneggiatore srilankese Pushpakumara, nella sua prima opera “Flying Fish” (2011), ha riflettuto sul profondo trauma sociale e psicologico della guerra civile durata ventisei anni nel suo Paese; in “Burning Birds” (2017), ha affrontato la storia di una vedova il cui marito è stato assassinato dai militanti ed è stata costretta a lavorare in una cava per mantenere gli otto figli e la suocera; infine in “Asu” (2021), ha affrontato la tragica morte per cancro al seno nel novembre 2016 all'età di 40 anni di Indira Jayasuriya.

Come nelle opere precedenti, Pushpakumara con grande sensibilità e rispetto, ci racconta drammatici spaccati di vita in cui in gioco c’è la miseria e la sopravvivenza, divisa tra la città e la campagna, in cui i protagonisti e i loro familiari sono messi sempre a dura prova dal destino dettato da tragici eventi e da una società che non fa e non può far nulla per aiutarli. “Il Canto del pavone”, in cui sono stati inseriti anche alcuni momenti ironici per smorzare la drammaticità della narrazione, è l’opera più autobiografica, visto che da giovanissimo Pushpakumara ha lavorato come operaio per mantenere la sua famiglia di 10 persone e, come Amila, ha avuto anche una sorella che ha sofferto di un difetto cardiaco congenito.

Per spiegare come è arrivato a fare il regista e cosa lo ha segnato rispetti ai temi proposti nelle sue opere, in un’intervista Pushpakumara ha dichiarato: “Sono nato e cresciuto in un villaggio molto remoto, nel distretto di Trincomalee, nella provincia orientale. Quando avevo 5 anni, le Tigri Tamil uccisero il preside della mia scuola e sua moglie insieme ad altri abitanti del villaggio.

Da allora, in diverse occasioni abbiamo dovuto interrompere la nostra istruzione. Non solo, ho trascorso la mia infanzia anche nei campi profughi. Quando ho deciso di diventare regista, la mia intenzione principale era condividere quelle storie che conoscevo con il mondo. Come regista, non posso vivere senza raccontare queste storie…Volevo dare uno stile meditativo e realistico alla narrazione. Pertanto, sono stato molto attento a non creare un dramma con movimenti rapidi della telecamera. Cerco sempre di far sì che il pubblico osservi la narrazione. Anche le figure umane e il loro rapporto con lo spazio sono stati un fatto molto importante che ho considerato”.

Ed è proprio per la profondità, intensità e capacità di raccontare di persone, delle loro relazioni e vissuti, di far assaporare i luoghi e i colori del suo Paese, che si consiglia la visione di questa pellicola.

Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen


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