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Recensione del film "La mafia uccide solo d’estate" di Pierfrancesco Diliberto.

20140109 mafia

{xtypo_rounded1}Ardua è l’impresa del regista che si cimenta in temi scottanti come gli omicidi e le stragi di mafia che hanno marchiato un ventennio della vita palermitana, senza eccedere né nella banale ricostruzione né nella amplificata e a volte distorta rilettura dei fatti. “La mafia uccide solo d’estate”, segna l’esordio alla regia di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, e comprende un cocktail di ingredienti che aiutano lo spettatore ad assimilare e digerire i temi “forti” trattati, ma anche a seguire con curiosità le scelte registiche della sceneggiatura.
Attraverso gli occhi ingenui del protagonista Arturo bambino e le sue vicissitudini amorose fin dai primi banchi di scuola per la coetanea Flora, il giovane regista racconta gli episodi più drammatici che hanno contrassegnato dagli anni ’70 agli anni ’90, non solo la sua vita e quella dei palermitani, ma anche la vita di moltissimi italiani. Lo sguardo di Arturo e la sua capacità di osservare e leggere gli eventi, crescono con l’età, per merito di una sua curiosa predisposizione. Arturo cresce, segnato dagli approcci fallimentari con Flora, dai successi scolastici ma anche dalle stragi di mafia che accadono vicino a lui, fin dal momento del suo concepimento con la strage di Viale Lazio nel 1969, e dagli omicidi eccellenti: da Mario Francese a Rocco Chinnici, dal Commissario Boris Giuliano a Pio La Torre,  dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Salvo Lima, da Giovanni Falcone a Paolo Borsellino.

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