Per gentile concessione dell'autrice e dell'editore, pubblichiamo un estratto da "Genitori digitali" di Barbara Volpi (il Mulino, pagg. 208, euro 14,00).
La navigazione nel mondo digitale (o webnavigazione) non ha solo prodotto un cambiamento profondo in tutte le sfere del vivere quotidiano, spaziando dal gioco alle amicizie, alla comunicazione, al lavoro, ma ha anche messo alla prova e trasformato in modo sostanziale il nostro modo di essere genitori richiedendoci inevitabilmente, per assolvere al compito primario della crescita dei nostri figli, il plusvalore della digitalità.
Riprendendo le parole di Donald Winnicott, per essere genitori «sufficientemente buoni» nell’era digitale abbiamo il compito primario di resettare vecchie strategie comunicative, affettive e relazionali, per aggiornarle e perfezionarle nell’incontro con la poliedrica realtà del multischermo. Realtà che, pur essendo in stretta connessione con quella canonica, segue regole e codici propri che debbono essere attentamente osservati e conosciuti prima di poter avviare una gestione consapevole e responsabile della stessa.
Oggi siamo arrivati a un punto cruciale e di svolta della rivoluzione digitale, o tsunami virtuale, poiché in questo momento storico non solo abbiamo iniziato a raccogliere gli effetti dell’onda net, inaspettata erepentina, che ci ha investito all’inizio degli anni ’90, ma ci accingiamo ad assistere a una sorta di passaggio di testimone dai genitori della generazione app [Gardner e Davis 2014], dei Millennial, o della Generazione Y2, a coloro che sono diventati o diventeranno i genitori dei nuovi Technological Babies, Digitods, o Screentods.
In questo cambiamento di prospettiva l’ormai datata distinzione di Prensky [2001] tra nativi e immigrati digitali assume un carattere anacronistico, al quale si aggiunge una nota di allarmismo dovuta al fatto che, nel pieno dello tsunami virtuale, ci si è indirizzati dapprima a comprendere le nuove tecnologie, poi a osservarne gli effetti sulle nuove generazioni e solo successivamente ad acquisire le norme di una corretta e sana educazione al digitale.
A tutt’oggi, infatti, non esistono regole di comportamento, norme di condotta, criteri di valutazione che la famiglia possa seguire allo scopo di garantire ai figli un’adeguata e responsabile immersione nel world wide web.
Questo ritardo procedurale è uno dei tanti effetti dell’onda net, la cui forza travolgente ha subito un’impennata inattesa con l’invenzione, nel 2007, da parte di Steve Jobs, dell’iPhone, che ne ha modificato in modo imprevisto il flusso di direzione, dando avvio a un vero e proprio «cambiamento mentale» [Greenfield 2016].
L’avvento degli smartphone ha creato, inoltre, un nuovo spartiacque generazionale tra i nativi digitali e la successiva generazione app, o iGeneration, o generation touch screen. Al di là dell’originale dialettica appellativa utilizzata per definire questi passaggi, emerge che il flusso incessante, repentino e veloce del progredire tecnologico ha aperto scenari nuovi e imprevisti che, da una parte, debbono ancora venire chiaramente compresi prima di poter essere affrontati e, dall’altra, mutano di pari passo con l’avanzare della sofisticazione tecnologica.
Il mondo degli adulti, dapprima ammaliato dal fascino della tecnologia e concentrato a fare diligentemente il download del corretto apprendimento della webnavigazione, sembra essersi reso conto soltanto tardivamente dell’effetto boomerang di questo progredire, mostrando toni di paura, pessimismo, allarmismo, o di eccessivo laissez-faire, che può sfociare nel rischio di abdicazione dal ruolo genitoriale a seguito della constatazione della maggiore competenza tecnologica dei figli.
In questa pericolosa inversione dei ruoli, che sarà il punto di partenza del nostro viaggio nella famiglia digitale, l’autorità secolare dei genitori, e dell’adulto in generale, viene minata dalla destrezza tecnologica dei bambini e degli adolescenti, che nel momento in cui mostrano curiosità e interesse verso un argomento o desiderano una risposta a un quesito si rivolgono al motore di ricerca selezionato (Google, Yahoo! ecc.). Immettendo le parole chiave nel rettangolo sullo schermo, i bambini digitali offuscano inconsapevolmente tip by tip il loro bisogno atavico di essere guidati nell’esplorazione del mondo circostante.
Quanti genitori hanno assistito al trasformarsi del classico gioco dei perché dei loro figli nella sua versione digitale e nella verifica della risposta fornita dall’adulto nelle pagine di Google, così come viene descritto dallo stralcio di conversazione riportato di seguito?
Mario (5 anni): «Papà, come si dice libro in inglese?»
Papà: «Book.»
Mario: «Aspetta papà, che controllo sull’iPad.»
E quanti insegnanti vengono messi in discussione dalla verifica googliana alle loro asserzioni?
Letizia (10 anni): «Maestra, ieri ho controllato su Google e ho scoperto che la fotosintesi clorofilliana non avviene come ci ha spiegato lei!»
Paradossalmente alla definitezza limpida del rettangolo della ricerca per parole chiave nello schermo del nostro touch screen corrisponde lo sgretolarsi confusivo dei confini del nucleo privato della famiglia, rappresentati simbolicamente dalle mura domestiche. Le nostre abitazioni, infatti, sono divenute permeabili alle sollecitazioni esterne perdendo la loro tradizionale solidità protettiva e strutturale [Livingstone e Bovill 2001]. La casa, rifugio sicuro dei nostri ragazzi, chiusi nella tranquillità ovattata della loro cameretta, rassicurazione storica di tanti genitori, ha assunto contorni sfumati dopo l’avvento di Internet.
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