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Un piccolo villaggio sul Mar Nero a 600 km a nord di Istanbul. E’ finito l’anno scolastico e cinque sorelle adolescenti e orfane, invece di rientrare a casa, vanno a festeggiare in spiaggia l’arrivo dell’estate, schizzandosi in mare coi compagni maschi.
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E’ subito scandalo nella comunità, per questa gioia, spontaneità e vicinanza fisica, non consentiti. La nonna e lo zio Erol con cui vivono le cinque sorelle, trasformano la casa in una prigione materiale e metaforica, imponendo alle ragazze regole sempre più rigide.

La nonna inizia la caccia di possibili pretendenti per tutte loro: dandole in matrimonio metterà così a tacere tutte le dicerie, dentro e fuori le mura di casa, e risolverà così tutti i problemi.

Ma le cinque ragazze - valorizzate dalla loro inconsapevole bellezza e da un’abile fotografia, con un temperamento e lunghe e sciolte chiome che richiamano i cavalli selvaggi del titolo dell’opera - daranno filo da torcere alla nonna, essendo assetate di libertà, di nuove esperienze e di vita.

La figura della nonna è molto complessa e simbolica in una Turchia contraddittoria e divisa come quella di oggi: da un lato testimone della crescita delle cinque amate nipoti, e dall’altra tenuta a reprimere con fermezza quello che vede nelle cinque sorelle come ribellione e scoperta del sesso, nonostante risvegli in lei antichi memorie di propri vissuti ribelli.

Simbolica, sia in quanto rappresenta la realtà di un paese così geograficamente vicino all’Europa e ma anche così lontano per la condizione femminile e le libertà delle donne, sia rispetto ai bavagli e alle derive antidemocratiche di Erdogan, in cui religione e politica, società e tradizione musulmana si (e ci) confondono.

Una scelta coraggiosa, quella della giovane regista franco-turca, che ha una biografia cosmopolita e che si è formata alla Fémis di Parigi.

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Infatti per questa sua opera prima si è ispirata a un fatto accaduto nella sua famiglia quando aveva l’età delle protagoniste, che ci ricordano quelle de “Il giardino delle vergini suicide” di Sofia Coppola.

Per il movimento continuo della telecamera e un occhio sospeso tra favola nera e lirismo poetico, anche se la Coppola punta lo sguardo sulla psiche, mentre la Erguven punta lo sguardo sul fisico.

La regista dimostra una maturità e una padronanza del mezzo filmico straordinarie, riuscendo a realizzare un’opera potente, di forte impatto emotivo e ricco di sfumature. Ottima anche la sceneggiatura scritta dalla regista insieme ad Alice Winocour, che suggerisce una stimolante riflessione sulla difficile condizione femminile nella Turchia contemporanea, senza cadere mai nella retorica o nel pietismo.

Vincitore di moltissimi premi - tra cui Oscar e Golden Globe 2016 come miglior film straniero, Quinzaine des Réalisateurs  del Festival di Cannes 2016, European Film Award 2015 come miglior rivelazione alla regista, premio César 2016 come miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior colonna sonora e miglior opera prima – questo lungometraggio molto attuale è stato realizzato poco prima che la Turchia cadesse in uno dei periodi più bui della storia contemporanea. 

Un inno alla bellezza, alla voglia di vivere, alla libertà e alla ribellione che non lascia indifferente lo spettatore.

Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano,
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen


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