Roma, 10 luglio 1973. John Paul Getty III (Charlie Plummer) ha sedici anni e si gode la dolce vita omaggiata dall’incipit del film, frequentando un gruppo di giovani hippy e girovagando per le vie romane by night.
Un camioncino rallenta e accosta, chiedendogli “sei Paolo?”, e non appena il ragazzo annuisce, il guidatore inchioda, e dal portellone laterale sbucano due uomini incappucciati che lo tirano dentro, ripartendo a gran velocità.
Inizia così il rapimento del nipote di John Paul Getty (Christopher Plummer), l’uomo più ricco del mondo, a cui i rapitori chiesero 17 milioni di dollari per il riscatto del nipote. Con qualche flash back, il regista ricostruisce in pochi minuti alcuni passaggi significativi della vita del miliardario John Paul Getty: dall’ascesa al successo nel mondo degli affari petroliferi al difficile rapporto col figlio e ai rari contatti con la famiglia.
I rapitori del ragazzo sono affiliati alla ’ndrangheta e hanno nascosto il ragazzo in un cascinale nella campagna dell’Aspromonte. La trattativa per il riscatto è serrata: da un lato troviamo Gail Harris (Michelle Williams), madre di John Paul Getty III, che vorrebbe fosse subito versata l’intera somma richiesta dai sequestratori, tanto da far sospettare all’inizio di essere d’accordo con loro; dall’altro lato troviamo il burbero magnate John Paul Getty, che si sente erede dell'imperatore Adriano e che si circonda di opere d'arte comprate a prezzi da capogiro, ma che al contempo è arido e taccagno e rifiuta di pagare “anche un solo centesimo” per liberare il nipote rapito e che ingaggia un negoziatore (Mark Walhberg) per risolvere la situazione con il minor danno possibile, in termini esclusivamente economici.
John Paul Getty è un uomo per cui il denaro è qualcosa di astratto, visibile e palpabile solo sulle strisce di una telescrivente.
Del denaro si parla molto nella pellicola, ma si materializza in banconote di carta solo nelle mani dei rapitori, quasi come fosse il preludio di una fusione tra due mondi fino ad allora lontani: capitalismo e criminalità organizzata; un uomo con un potere così grande da permettergli di acquistare tutto senza spendere nulla; un uomo assetato di denaro, ma a cui il denaro non basta mai, anzi, gliene serve sempre “di più”.
Ridley Scott è un regista americano, noto per la sua cura ossessiva delle immagini e per la sua versatilità, che dal suo esordio con “I duellanti” (1977), ambientato nell’epoca napoleonica, ha realizzato oltre venti pellicole tra cui si ricordano le più famose: “Alien” (1979), “Blade Runner” (1982), “Thelma & Louise” (1991), “Il gladiatore” (2000) e “Hannibal” (2001).
Ma questa sua ultima pellicola ha fatto parlare di sé, prima ancora della sua distribuzione, per il ruolo di John Paul Getty, assegnato e ricoperto da Kevin Spacey.
Visto lo scandalo di abusi sessuali che ha coinvolto l’attore a riprese già terminate, il regista ha deciso in totale autonomia di sostituirlo con Christopher Plummer, che ha rigirato tutte le sue scene in soli 9 giorni con un risultato da Oscar.
“Tutti i soldi del mondo” è un’opera basata sulla sceneggiatura adattata da David Scarpa (“L'ultimo castello, ultimatum alla Terra”) e sul libro omonimo di John Pearson, e ricostruisce fedelmente una serie di elementi: i fatti realmente accaduti (ad esclusione di alcuni passaggi stereotipati purtroppo tipici degli americani, come l’inseguimento finale); l’ambientazione spazio-temporale; infine il passaggio epocale dalla dolce vita e dal boom economico, all’avvento della droga che inghiottirà anche alcuni Getty, delle bombe e del terrorismo.
Centrali sono i temi della famiglia e della paura così come vissute dai vari protagonisti (ragazzo, madre, nonno e padre), dei valori e del cambiamento della società degli anni ’70, dell'immagine del ragazzo dai capelli lunghi e con l'orecchio tagliato che divenne il simbolo sconvolgente e feroce di un inasprimento della criminalità, che avrebbe causato poi molte vittime.
Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen