Anno 1985, Dublino. L’Irlanda sta attraversando una grave crisi economica, che spinge parte della popolazione ad emigrare nel Regno Unito.
Il protagonista Conor detto Cosmo (Ferdia Walsh-Peelo), è un ragazzo di quindici anni, appassionato di musica e alla ricerca della propria identità.
Nella prima inquadratura Conor suona la chitarra nella sua stanza, mentre fanno da sfondo le voci concitate dei genitori in lite. La crisi economica va a impattare anche sul nucleo familiare di Conor, che si vede costretto a far interrompere il college al fratello maggiore, ben felice di farlo essendo dedito più al culto dello spinello che a quello dello studio, e far cambiare la scuola a Conor, che si ritrova così dal liceo privato ed elitario dei gesuiti al più modesto e violento istituto dell’ordine dei fratelli cristiani in Synge Street, il cui motto è viriliter age.
Per la sua originalità, stravaganza e diversità rispetto ai suoi coetanei, Conor è subito doppiamente preso di mira: da un lato dal preside che lo marca stretto e dall’altro lato dai bulli della scuola.
L’incontro con Raphina, la ragazza scafata e “happysad” della porta accanto (alla scuola), sarà la miccia che spingerà Conor a scrivere brani musicali di cui lei sarà la musa ispiratrice, e a creare un gruppo musicale “Sing Street” con altri fragili e intelligenti ragazzi “bullizzati” della scuola, coi quali sperimentare i neonati nuovi generi musicali, incidendo musicassette e girando rudimentali ma appassionati videoclip.
Tra i tanti temi trattati nella pellicola oltre alla coppia genitoriale in crisi, ne troviamo diversi connessi con l’età dell’adolescenza: il ruolo delle relazioni, la ricerca della propria identità, la scoperta dell’amore, la coltivazione dei sogni, il ruolo formativo della musica e del fratello maggiore del protagonista (non a caso il film è dedicato ai “fratelli di ogni luogo”), infine il passaggio dall’adolescenza all’età adulta e il viaggio iniziatico.
Dopo gli esordi con “November Afternoon” (1996), e i successi di “Once” (2006) vincitore di vari premi tra cui l’oscar per la miglior canzone e “Begin again” (“Tutto può cambiare”, 2013), l’ottavo lungometraggio di John Carney, di forte impatto comunicativo, è autobiografico, intriso di ricordi e origini nostalgiche del regista.
Infatti John Carney nasce a Dublino e dal 1991 al 1993 è stato bassista e vocalist del gruppo musicale rock “The Frames”, di cui ha diretto alcuni video musicali. In proposito, il regista afferma: “C’era qualcosa che ho sviluppato quando ero nella band nei miei 20 anni, quando iniziavo ad entrare nei film e ad osservare i film con un occhio più critico e non come mero intrattenimento.
Tutti gli altri uscivano a vedere “Guerre Stellari” (1977) o “E.T. - L'extra-terrestre” (1982), mentre io stavo guardando film di Jean-Luc Godard o di Ingmar Bergman o vecchi film americani degli anni '30 e '40, quindi penso che se non fossi stato un regista probabilmente sarei stato un critico cinematografico. Ho comprato una videocamera ed è iniziato tutto da lì.” E alcuni brani del film, sono scritti proprio da John Carney, insieme a Gary Clark.
“Sing Street” ci ricorda “The committments” (1991) di Alan Parker, ma non è un musical, come afferma il regista stesso che non ha voluto inserire la parola “musical” nel poster della pellicola.
Tuttavia è indiscutibile il ruolo da protagonista principale della musica, quella del periodo in cui è ambientato il film, che si può riconoscere anche da alcune immagini originali di repertorio, ossia la metà degli anni ’80 quando il mondo musicale è in pieno fermento: il post-punk sostituisce il punk rock, e la new wave, in particolare il synthpop o techno pop, sostituiscono il genere pop, nascono molti nuovi gruppi musicali tra cui Mötorhead, Duran Duran, Depeche Mode, Spandau Ballet, Cure, A-Ha, e prende piede il lancio e abbinamento dei 45 giri con videoclip che esaltano più il look dei gruppi che le loro “performance”.
Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen