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Ambientato nell’estate del 1990, dopo la caduta di Pinochet, una comunità cilena costituita da un piccolo gruppo di famiglie si trasferisce in un luogo isolato ai piedi delle Ande, senza elettricità, lontano dagli eccessi della vita metropolitana e dove porta avanti la sua utopia di vita pacifica, con le proprie regole e in modo autosufficiente fra ostinazione, allegria e tanti interrogativi.

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Questa comunità si prepara a festeggiare il capodanno, visto che nell’emisfero sud il capodanno si svolge in piena estate.

Ma i protagonisti del lungometraggio non sono tutti i membri della comunità, bensì i sedicenni Sofia e Lucas, la piccola Clara e i loro compagni di giochi e di avventure.

Sono bambini e soprattutto adolescenti alle prese con la crescita e i cambiamenti della propria vita e della società post dittatura, alle prese con una nuova libertà come la società cilena tutta, ma anche alle prese con il difficile e spesso conflittuale rapporto tra generazioni e classi, con le scoperte di territori esterni ed interni inesplorati, con i primi amori e con i propri timori.

Difficile è lasciarsi il passato (la dittatura) dietro alle spalle, quando il futuro (la democrazia) è così incerto e lontano dagli agi che offre la città.

Il film è ricco di metafore, ma forse quella meno evidente è quella di Frida, cane di razza bovaro del bernese della piccola Clara, che sparisce all’inizio del film inseguendo l’auto diretta a fare acquisti in città. Poi la madre di Clara trova un esemplare simile a Frida, che però risponde solo al proprio nome: Cindy, e che fugge alla fine del film dall’uomo, fugge di nuovo verso la città.

Ma allora c’è da chiedersi se gli istinti che spingono verso la vita metropolitana non siano davvero irrefrenabili…  

Dominga Sotomayor, ha curato regia e sceneggiatura di questa sua opera seconda, costruendo un percorso narrativo basato sugli sguardi personali e su piccoli dettagli delle relazioni umane, ottenendo un buon risultato anche grazie alla prova attoriale corale.

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La regista ha vinto il Tiger Award del Film Festival di Rotterdam per il suo primo film “De jueves a domingo” (2012), scritto durante la propria residenza nella Cinéfondation di Cannes. Nel 2009 ha contribuito a fondare Cinestación, una casa di produzione con base a Santiago che produce cinema d’autore in America Latina, ed è anche tra i fondatori del Centro de Cine y Creación, un cinema d’essai che aprirà i battenti a Santiago nel 2019. “Tarde para morir joven” è stato presentato al 71° Locarno Festival nella sezione “Concorso internazionale”, dove ha vinto il pardo per la miglior regia.

La regista racconta “Con questo film esploro una forma aperta e libera, vicina alla natura di questa comunità di montagna, lontana da confini e definizioni… cerco di catturare la saggezza dei bambini e la follia degli adulti, la strana malinconia di crescere.

È interessante l’uso della fotografia, che ricorda una cartolina proveniente da un'altra epoca, per l’uso preponderante della luce. 

Il film è un racconto di formazione che segue le vicende quotidiane dei giovani e sperduti protagonisti alla ricerca di un’identità, in modo curioso ma mai intrusivo, scavando nelle gioie e nei tormenti dell’adolescenza per mostrarne l’essenza, con il loro ritmo leggero e incerto allo stesso tempo, in bilico fra passato e presente, maschile e femminile, interno ed esterno.

I giovani protagonisti trascorrono le giornate lontano dai pericoli della città, ma immersi in una natura primitiva e selvaggia che può rivelarsi ancora più insidiosa e pericolosa.

Fin dall’inizio si comprende che qualcosa rischia di prendere fuoco, un fuoco che può essere quello devastante che brucia tutta la natura, come l’uomo ha fatto negli ultimi decenni, così come quello che arde dentro, quello dell’amore, dei sentimenti e delle relazioni.

Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen


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