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Un grande regista con un’altra grande opera sui temi sociali, e nello stesso tempo sull’essenza, un’opera costruita su due personaggi, i cui destini si incontrano e si segnano vicendevolmente.

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Il primo Khaled è un ragazzo siriano che con un viaggio rocambolesco riesce ad approdare ad Helsinki, capitale della Finlandia, dove presenta una domanda di protezione internazionale che non ha molte chances di successo, perché la Finlandia considera la sua zona di provenienza - l’Aleppo del 2017 - in Siria, una zona sicura e NON una zona di guerra.

E questo purtroppo è un dato di realtà, come accade ad esempio nei Paesi scandinavi con l’Afghanistan, i cui cittadini richiedenti protezione internazionale vengono rimpatriati dopo aver ricevuto comunicazione del diniego della loro domanda, perché l’Afghanistan NON è considerato un Paese in guerra nonostante la presenza di talebani e di Daesh (ISIS).

Il secondo Wilkström, un quasi pensionato in crisi coniugale, che fa il commesso viaggiatore venditore di cravatte e camicie da uomo, che grazie ad una vincita al gioco rileva “La Pinta d’Oro”, piccolo ristorante nella periferia della città.

Aki Kaurismäki è stato paragonato ad un Charlie Chaplin del nostro presente, per la capacità di affrontare temi drammatici e trasformarli in fiaba comica.

Dopo “Miracolo a Le Havre”, il regista finlandese con “L’altro volto della speranza” – vincitore del Festival del Film di Berlino 2017 come miglior regia - torna a parlare di esilio, di immigrazione, di rapporto tra l’Europa e coloro che vengono da fuori, da lontano, e di solidarietà.

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Interessanti sono le due diverse se non opposte visioni che il regista ha dei concetti di “Europa” (che respinge e alza muri e frontiere) e di “Comunità” (che accoglie e che aiuta), che richiamano la contrapposizione dei concetti di “Comunità rancorosa” da un lato e di “Comunità di cura” e “Comunità operosa”(1).

17° lungometraggio, girato in 35 mm con un uso morbido della fotografia, fra le tinte olivastre degli interni e la de-saturazione fredda degli esterni, un equilibrio simmetrico delle inquadrature, un uso geometrico degli spazi, i sempre presenti: scansione, distacco, semplicità, movimenti lineari e lenti e coerenza di linguaggio, equilibrio tra malinconia e umorismo, stile asciutto, assenza di lezioni morali.

Kaurismäki sostiene che “L'insoddisfazione esistenziale sembra essere ormai connaturata con la vita dell'uomo occidentale.”

Va evidenziato l’amore del regista per i suoi personaggi, sempre i più deboli, gli emarginati, che non a caso vivono in periferia e di notte, ossia laddove lo sfarzo e i colori sono sbiaditi, così come le differenze anche di colore della pelle, laddove tutto è più omogeneo, essenziale, personaggi molto umani, quasi fuori dal tempo, di cui Kaurismäki racconta grazie e disgrazie, sogni, bisogni e speranze appunto!


1 Bonomi A., “Sotto la pelle dello Stato. Rancore, cura, operosità”, ed. Serie Bianca Feltrinelli 2010, Milano.

Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen


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