A. ha 18 anni, viene dal Basso Congo, è in Italia da sei mesi.
Mi racconta che è venuta per motivi di studio, perché nel suo Paese non c’erano possibilità “non volevo venire in Europa, volevo raggiungere mia sorella in Sud Africa, ma mi hanno rifiutato il visto” . Le chiedo se ha voglia di raccontarmi la sua storia, perché intuisco essere piena di migrazioni.
Sua mamma è partita quando aveva nove anni, per motivi di salute, ed è venuta qui in Europa: “sono rimasta sola con mio padre, mia sorella maggiore e mio fratello minore. Ma ero tanto attaccata alla mamma, ho pianto per una settimana intera, non riuscivo a mangiare, andavo a scuola solo per evitare le botte. Poi è passata, ci siamo abituati.
{xtypo_quote_right}Questa volta però sono stata io a lasciare mio fratello e la mia terra. Spero che mio fratello non pianga troppo come ho fatto io, spero che un giorno possa capire la mia scelta e che il nostro rapporto non si rovini mai.”
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Il papà viaggiava spesso per lavoro, una cugina è venuta ad abitare con noi finché si è sposata. Così poi ci ha abbandonato anche lei, ho pianto terribilmente. Quando nostro padre era fuori città veniva uno dei suoi fratelli, ma per brevi periodi. Io e mia sorella dovevamo fare tutto, ma mio padre affidava a me la gestione dei soldi e della casa, perché io ero la più responsabile delle due. Così ho imparato a gestire i soldi, preparare da mangiare, occuparmi di mio fratellino e della casa. Per fortuna non avevamo grossi problemi di soldi, dalle nostre parti c’è chi muore di fame. Noi ce la siamo sempre cavata, anche se ci mancava la mamma.”
Discutiamo di come negli ultimi anni i contatti siano stati facilitati dall’utilizzo di internet e di facebook, di come la presenza della madre sia stata più intensa attraverso il web e i vari aggiornamenti scritti in tempo reale.
“Ma poi è arrivata una nuova separazione: mia sorella è stata accettata alla scuola di biologia in Sud Africa. Eravamo contenti per lei, ma io mi sono sentita di nuovo abbandonata, un’altra parte di me mi stava lasciando. Ci sentiamo sempre, via mail e messaggi, ma non è lo stesso. Per me è stato un duro colpo. Mio fratello era piccolo, capiva a mala pena. Io continuavo a fare tutto in casa e per il piccolo, con mio padre che andava e veniva di continuo.
Ma ad un certo punto ho iniziato a pensare a me e ai miei sogni. Volevo raggiungere mia sorella e studiare li con lei, ma la burocrazia me lo ha impedito. Senza speranza ho fatto domanda per venire qui, mi hanno presa subito, ma non avevo quasi il tempo di mandare tutte le carte e non avevo i soldi per spedire il tutto via posta. Per fortuna che qui c’era la mamma e lei mi ha aiutato. Ed eccomi qui!
Questa volta però sono stata io a lasciare mio fratello e la mia terra. Spero che mio fratello non pianga troppo come ho fatto io, spero che un giorno possa capire la mia scelta e che il nostro rapporto non si rovini mai.”
Mi racconta di come il programma di ingegneria in cui è stata presa sia molto duro, di come i suoi compagni non instaurino relazioni amicali con lei, l’unica nera della scuola, ma di come comunque cerchino di collaborare e aiutarsi a livello scolastico.
{xtypo_quote_left}La cosa più sconvolgente per lei rimane il rapporto con la madre, dopo dieci anni di separazione, rivedersi, toccarsi, parlarsi vis-à-vis è qualcosa di assolutamente sconcertante e da imparare giorno dopo giorno{/xtypo_quote_left}
Ma la cosa più sconvolgente per lei rimane il rapporto con la madre, dopo dieci anni di separazione, rivedersi, toccarsi, parlarsi vis-à-vis è qualcosa di assolutamente sconcertante e da imparare giorno dopo giorno, che la affascina e che non le fa paura, nonostante la delicatezza della situazione.
Le faccio i complimenti, non tutti avrebbero saputo reagire così bene e lottare per ottenere quello che ha ottenuto. Mi chiede se e come funzionerebbe qui in Italia, quanti anni ho e a che età sono uscita di casa. Ha sentito dire che qui ci sono i “mammoni”, che la maggior parte dei ragazzi istruiti non esce di casa prima dei 30 anni. Qui la sua storia probabilmente non avrebbe potuto aver luogo, sarebbe finita velocemente nel vortice della burocrazia e delle consulenze psicologiche.
Dice di fare fatica ad integrarsi e far capire la propria storia; sembra più grande della sua età, se questo da un lato lo vede come un vantaggio per se stessa, dall’altro afferma che la sua vita accelerata non le ha permesso di vivere appieno la sua infanzia. Non sembra però dispiacersene più di tanto, “ho fatto quello che c’era da fare” dice secondo la filosofia africana, che ci ricorda come le relazioni allargate, l’amore e il supporto reciproco siano sempre più importanti di alcune scelte obbligate che la vita ci impone, che ci insegna che non bisogna giudicare una situazione prima di conoscerne la verità e tutte le sue sfaccettature.
A. è una ragazza saggia, che prende la vita per quello che è, superando gli ostacoli uno alla volta, con la testa alta.
Non può che venirmi in mente l’immagine di una donna africana che ancheggia per le strade rosse, portando un vaso d’acqua in testa e un bimbo in fasce sulla schiena, affaticata dai kilometri fatti a piedi, scalza, ma che canta gioiosa con il sorriso sulle labbra.