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4 ottobre 2023
Chiunque abbia meno di 18 anni è un minorenne e ha diritto a vivere e ad essere protetto e accolto come tale, difeso dai rischi di abusi, sostenuto nel proprio sviluppo. Senza condizioni e senza distinzioni. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza non fa alcun distinguo: siano italiani o stranieri, maschi o femmine, con o senza documenti, i minorenni sono tutti uguali davanti al diritto internazionale, come per la nostra Costituzione e il nostro diritto interno.
Per tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti che abbiano meno di 18 anni, nessuno escluso, la stessa Convenzione, la più firmata al mondo e parte integrante del nostro diritto pubblico inviolabile di rango costituzionale, prevede un’accoglienza in affidamento in famiglia o in strutture loro dedicate, mai in promiscuità con adulti e certamente non in sezioni di centri destinati a questi ultimi, dei quali peraltro è nota la realtà di profonda inadeguatezza per un minorenne. Ogni trattamento differenziato di chi “ad una prima analisi appaia di età superiore ai sedici anni” come affermato dal Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri che il 27 settembre scorso ha approvato il Decretolegge immigrazione e sicurezza, va incontro al fortissimo rischio di produrre discriminazioni tra minorenni italiani e stranieri e di porsi in drammatico contrasto con il principio del rispetto del superiore interesse del minore.
La determinazione dell’età, sulla quale il dibattito pubblico, spesso in maniera imprecisa e sommaria, si è soffermato nelle scorse settimane, ha tra i suoi scopi quello fondamentale di scongiurare il rischio che un/a minorenne venga per errore considerato/a un adulto/a. A questo tendono le procedure previste dalla L. 47/2017, attivabili soltanto in caso di fondato dubbio delle autorità sulle dichiarazioni dell’interessato, e i principi fondamentali su cui esse si basano: la presunzione di minore età, il margine di errore e l’applicazione di metodologie multidisciplinari che possono essere applicate, con gradualità e la minore invasività possibile e sempre in seguito a una puntuale, necessariamente preventiva, autorizzazione scritta e motivata della magistratura minorile. Lo scopo è scongiurare un nefando errore che possa portare un minorenne ad essere espulso o detenuto in spregio alle norme italiane, europee e internazionali.
Il testo delle norme adottate dal Consiglio dei Ministri non è ancora disponibile, né è stato condiviso con chi, nella società civile, da decenni si occupa dei migranti bambini, bambine e adolescenti che arrivano in Italia. Tali norme, stando a quanto descritto dal comunicato stampa e illustrato in conferenza stampa dal Governo, vanno in senso nettamente opposto rispetto ai principi enunciati e rischiano di minare alle fondamenta le norme esemplari della L. 47, adottate nel 2017 ad ampia maggioranza parlamentare. Se il testo confermerà l’approccio espresso nelle dichiarazioni, aspetti quali il mancato riferimento al fondato dubbio, la mancanza di previa autorizzazione scritta della magistratura minorile e del tutore, e l’applicazione di “rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici” disposti direttamente dalle forze di pubblica sicurezza, con successiva espulsione di chi, secondo questa procedura, fosse dichiarato erroneamente maggiorenne, aprono le porte a un destino rischioso e di possibili gravi violazioni dei diritti fondamentali di migliaia di potenziali minorenni, in particolare se provenienti da paesi cosiddetti “sicuri” e quindi destinati a essere sottoposti a procedure accelerate in frontiera laddove erroneamente considerati adulti.
Questo, per chiunque abbia a cuore la cura e la tutela di bambini e adolescenti, è inaccettabile.
L’Italia si è più volte distinta per l’attenzione ai minorenni, al centro della nostra civiltà e cultura giuridica, e per un generale approccio di tutela verso i piccoli e più giovani migranti, testimoniato ogni giorno da migliaia di tutori e tutrici volontarie, da famiglie affidatarie, attivisti, associazioni e da altre piccole e grandi comunità che più volte si sono strette a incoraggiare, supportare e proteggere i minori non accompagnati nei momenti più difficili.
Per la prima volta dalla sua adozione nel 2017, un Governo della Repubblica ha deciso di intaccare lo scrigno di protezione rappresentato dalla L. 47, senza peraltro chiarire quali siano i dati reali del presunto allarme, che a nessuna delle Organizzazioni firmatarie risulta, rispetto ad abusi diffusi della dichiarazione di minore età. Questo avviene, sorprendentemente, nonostante l’Italia sia stata condannata più volte dalla Corte Europea dei Diritti Umani per aver collocato minorenni migranti in centri per adulti e aver condotto procedure di accertamento dell’età senza garanzie procedurali sufficienti.
Tutto questo ci rattrista profondamente, ci lascia attoniti. Tuttora la nostra fiducia nei principi costituzionali ci impedisce di credere che avremo a breve un testo di legge che consenta a un minore ultra16enne di permanere in un centro per adulti solo perché non italiano. E che sottoponga ragazzini e ragazzine, loro malgrado senza documenti, a esami non caratterizzati da quel rigore e da quelle garanzie che il nostro ordinamento e tutte le norme e gli standard europei e internazionali vigenti riservano a ogni minorenne in qualsiasi procedura lo riguardi.
Poiché il nostro lavoro è improntato alla fiducia e alla determinazione, ci impegneremo, in dialogo con tutte le istituzioni coinvolte, affinché ciò non avvenga. Non ne va soltanto del destino concreto di migliaia di adolescenti che già molto hanno sofferto, ma dello stesso concetto di protezione del minorenne in quanto tale nel nostro ordinamento, e quindi della tutela complessiva di chi rappresenta il futuro del paese.
Ai.Bi.
Amnesty International Italia
ASGI – Associazioni per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione
Centro Astalli
CeSPI ETS
Cir Onlus – Consiglio Italiano per i rifugiati
CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza
CISMAI
Cooperativa CIDAS
Cooperativa CivicoZero
Defence for Children International Italia
Emergency ONG
Oxfam Italia
INTERSOS
Salesiani per il Sociale APS
Save the Children Italia
SOS Villaggi dei Bambini
Terre des Hommes Italia
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Con riferimento alla recente approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Decreto Legge dell'8 settembre 2023 denominato "decreto Caivano"
AIMMF
associazione che opera nel settore minorile e familiare con finalità esclusivamente culturali,
ESPRIME
apprezzamento per l'interesse dimostrato al mondo minorile, rimarcando però preoccupazione per il rischio insito nell'attribuire ai soli soggetti minorenni responsabilità che al contrario attengono al mondo adulto, alle criticità dei contesti in cui sono cresciuti e alle diverse esperienze esistenziali che sono state loro garantite
RICORDA
- che la giustizia minorile penale ha come obiettivo, fissato dalla legge, accanto all'accertamento della verità, non già la sterile punizione, ma la responsabilizzazione del minore per il reato commesso e per le ingiuste conseguenze arrecate alle vittime, nel tentativo di rendere la commissione del reato e poi il processo, l'occasione di un radicale cambiamento di prospettiva da parte del ragazzo,
- che la riuscita del percorso di responsabilizzazione produce e ricostruisce benessere sociale, sia per la comunità in cui si è verificato il delitto, sia per la vittima finalmente vista come persona, sia per l'adolescente che avrà imparato a evitare determinate condotte illecite con una maturità nuova,
- che tale percorso, da sempre proposto agli imputati e sostenuto da parte degli uffici giudiziari minorili con risultati decisamente positivi, richiede però adeguate risorse di mezzi e di persone, al momento decisamente insufficienti,
SOTTOLINEA
come le soluzioni repressive abbiano nei fatti per lo più mostrato la loro inefficacia specie nei contesti maggiormente degradati, se non accompagnate da appropriati interventi di prevenzione e di analisi delle motivazioni poste a base dell'aumento delle condotte violente da parte dei minorenni, spesso descritti da molti media come i "nuovi mostri", unici responsabili delle situazioni di insicurezza dei territori.
EVIDENZIA
come la attuale situazione di violenza sia un fenomeno sociale e culturale che sembra attraversare tutti i contesti, non solo quello minorile, e che non ha confini, dal momento che è analogamente presente anche negli altri paesi europei, anche in quelli muniti di norme in prevalenza finalizzate alla punizione, con una età imputabile decisamente inferiore: in questi paesi Germania, Regno Unito, Francia -, nonostante ciò, la criminalità minorile è assai maggiore che nel nostro paese.
RAPPRESENTA
come per fronteggiare il fenomeno del disagio giovanile, che si esprime con agiti, anche assai gravi, etero diretti, ma anche con condotte autolesive, in costante e preoccupante aumento sin dalla fase preadolescenziale, occorra:
- una magistratura specializzata e attrezzata, dotata di organici adeguati, - un importante rafforzamento dei servizi sociali, sanitari ed educativi (in alcuni luoghi del paese assenti),
- un deciso investimento sulla scuola pubblica e sulle sue strutture di mezzi e di persone, per intercettare con la massima celerità situazioni di incuria, trascuratezza e abbandono
- un sensibile incremento del numero assolutamente insufficiente delle comunità educative e terapeutiche in cui collocare sia adolescenti coinvolti in vicende penali (rendendo il carcere minorile soluzione davvero residuale e temporanea), che adolescenti privi di un ambiente familiare idoneo
Tutto ciò premesso
AUSPICA
una matura e piena assunzione di responsabilità di tutte le istituzioni e del Governo finalizzata ad un deciso rafforzamento del comparto sociale, scolastico, sanitario e naturalmente giudiziario largamente inteso (con aumento di magistrati e personale negli uffici giudiziari e nei servizi ministeriali), a dimostrazione di un reale, concreto e non solo dichiarato interesse al futuro della nostra gioventù.
Roma, 14 settembre 2023
Il Segretario Generale |
Il Presidente |
Susanna Galli |
Cristina Maggia |
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l 15 e 16 giugno scorsi si è svolta a Roma l’Assemblea nazionale del CNCA dove è stata presentata la “Mappa per comunità accoglienti” che presenta l’agire politico e culturale del CNCA per i prossimi anni.
Il tentativo è quello di dare vita a una rappresentazione visiva dei luoghi di intervento del CNCA affinché persone, situazioni e mondi differenti entrino in contatto e diano vita a spazi anche emotivamente accoglienti, ricordandoci che siamo vivi, umani e collegati alla terra.
Il nostro agire nel mondo è il movimento dettato dalle posture politica e culturale, declinate in una accezione dinamica di cura e capacità.
Le questioni generative rappresentano un’occasione per costruire percorsi aperti e sostenibili per mettersi alla ricerca, per andare oltre, verso ciò che non è noto dentro e fuori di noi, per poi usare le conoscenze in un contesto operativo, concreto, reale.
Le traiettorie interne servono per costruire interconnessioni e nel contempo tenere conto dell’importanza organizzativa del CNCA.
Guarda la mappa per le comunità accoglienti (Clicca qui)
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Soggiorno gratuito per ragazzi e ragazze immersi nella natura tra arte ed ecologia
A Roccaporena, l'incantevole frazione di Cascia in Umbria, porte aperte a ragazzi e ragazze dai 18 ai 25 per un soggiorno gratuito sotto il segno di arte e natura attraverso la partecipazione a laboratori creativi ed artistici. I giovani devono provenire da esperienze di accompagnamento da parte dei servizi sociali durante la minore età oppure inquadrabili nella categoria dei neet. Il soggiorno di una settimana - se ne può fare anche più di uno - tra fine luglio e fine agosto è legato al progetto “Estate Intraprendente: giovani costruttori di luoghi, relazioni e futuro” dell’HUB “Territori Intraprendenti”. Più nel dettaglio il soggiorno offre esperienze estive, da vivere in co-housing, immersi nei processi trasformativi promossi nel Borgo di Roccaporena e nei territori circostanti, dove i giovani diventano protagonisti indiscussi del cambiamento e generatori di futuro e di nuove possibilità.
Il modulo sulla transizione ecologica
Co-Housing dal 24 al 31 luglio: Tutti in falegnameria, negli spazi interni e all’aperto, impegnati nella realizzazione dei manufatti e degli allestimenti. Tra attrezzi, legno, vernici e materiali di riciclo si reinventano gli spazi e le loro funzioni: l’area pic-nic, i sentieri, le piazzette, l’area per il cinema all’aperto.
Co-Housing dal 21 al 28 agosto: Continua l’autocostruzione e soprattutto per ogni spazio rigenerato si immagina la sua animazione. Sperimentazione di nuovi eventi per vivere i nuovi luoghi di Roccaporena coinvolgendo gli abitanti e i turisti.
Spazio all’arte e agli artisti
Il progetto prevede anche l’accoglienza di giovani e artisti provenienti da varie parti d’Italia e da esperienze differenti che si ritrovano insieme ad animare Roccaporena, Cascia e le sue frazioni attraverso laboratori creativi ed artistici.
Co-Housing dal 9 al 16 luglio: Laboratori di field recording per esplorare e registrare i suoni degli ambienti urbani, rurali e naturalistici alle tecniche e ai linguaggi audiovisivi per la creazione di cortometraggi, storytelling e video-narrazioni poetiche.
Co-Housing dal 6 al 13 agosto: Laboratori su tecniche e linguaggi fotografici, tra ritratto e paesaggio + pratiche di illuminotecnica per lo storytelling luminoso che nasce dal rapporto tra spazio e luce+ performance visio-poietica, ovvero sperimentazione con le nuove tecnologie
Come partecipare
L’iniziativa è promossa da Agevolando, Partes Società Cooperativa Sociale, FALEGAMI – Falegnameria sociale, HUB Territorintraprendenti, Santuario Santa Rita (Roccaporena di Cascia). Per tutte le informazioni scrivere a
AGEVOLANDO
Agevolando è un’organizzazione di volontariato che lavora con e per i ragazzi in uscita dai percorsi di accoglienza “fuori famiglia” per promuoverne l’autonomia, il benessere psicofisico e la partecipazione attiva. Quando, al compimento della maggiore età, si interrompono i percorsi di tutela si è chiamati troppo presto a diventare adulti: accade frequentemente, quando si ha una storia personale complessa, di perdere di vista le proprie risorse, così come può maturare forte il senso di non riuscire a farcela da soli. L’associazione affianca i care leavers nella costruzione del loro futuro. www.agevolando.org
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Scarica il volantino
A fine febbraio dello scorso anno, è stato pubblicato il BANDO per individuare e formare i cittadini disponibili a diventare tutori volontari di Minori stranieri non accompagnati (MSNA) sul territorio della Regione Lombardia.
In questo anno abbiamo avuto alcune centinaia di candidature, ma il fabbisogno in Lombardia è molto elevato e ci servono ancora un migliaio di tutori a fronte dei quasi 3000 MSNA presenti in Lombardia.
Il Bando, in scadenza il prossimo mese di agosto, è stato prorogato fino al 23 giugno 2024 e si può consultare al seguente link:
https://www.garanteinfanzia.regione.lombardia.it/wps/portal/site/garante-infanzia-e-adolescenza/tutori-volontari-dei-minori-stranieri-non-accompagnati-msna/il-bandoi
Ogni cittadino che abbia almeno 25 anni di età e il diploma di scuola superiore può aderire a questo Bando compiendo un grande gesto di solidarietà.
La brochure relativa al ruolo del tutore è disponibile nel sito del Garante per l’infanzia e l’adolescenza al seguente link:
https://www.garanteinfanzia.regione.lombardia.it/wps/portal/site/garante-infanzia-e-adolescenza/tutori-volontari-dei-minori-stranieri-non-accompagnati-msna
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Premessa:
La Comunità Terapeutica è una struttura sanitaria di “dimensioni familiari” (in genere dai 10 a un massimo di 20 pl) per il trattamento volontario globale – psicoterapeutico, farmacologico, relazionale e sociale che – su richiesta dei Servizi territoriali – accoglie pazienti preferibilmente giovani e agli esordi psicopatologici, non trattabili a domicilio, né a livello ambulatoriale, che non necessitano di trattamenti in regime di ricovero ospedaliero e che hanno bisogno di effettuare un percorso terapeutico e riabilitativo attraverso una presa in carico residenziale ed un periodo di separazione dall’abituale contesto di vita.
È adatta per quei pazienti che necessitano di uno spazio e di un tempo necessari per riavviare processi evolutivi interrotti, per sperimentare nuove relazioni significative, per ricostruire, rinarrare e risignificare la propria storia personale con lo scopo di raggiungere un adeguato recupero funzionale. Per raggiungere le sue finalità si avvale di un trattamento complesso multifattoriale e multidisciplinare di tipo evolutivo/trasformativo.
È da considerarsi un tassello di un intervento, una struttura “intermedia” tra il polo ambulatoriale e l’Ospedale; un’esperienza temporanea che si realizza “in rete”: all’interno di un percorso – permeabile agli scambi sociali - che preveda risposte articolate, calate sui bisogni e sul progetto del paziente es in linea con l’evoluzione di un quadro che può spaziare tra interventi a valenza maggiormente sanitaria e/o sociale.
Sul territorio nazionale le Comunità terapeutiche che rispondono ai bisogni della popolazione adulta sono sufficientemente distribuite; per quanto concerne invece la fascia evolutiva adolescenziale se ne riscontra ancora un numero ridotto con una presenza a “macchia di leopardo”.
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Tale manifesto nasce dalla sintesi di un lavoro svolto dalla Consulta delle Società Scientifiche presso il CNOP che ha appositamente istituito un gruppo tecnico sul tema delle Comunità Terapeutiche Residenziali con le seguenti finalità:
- Ribadire il ruolo terapeutico della residenzialità delle Comunità terapeutiche, affrancandosi da un modello assistenziale e ospedaliero;
- Delineare il ruolo trasformativo delle residenzialità;
- Analizzare l’appropriatezza delle figure professionali nei ruoli dell’organizzazione;
- Svolgere un’opera di sensibilizzazione culturale e di approccio alla tutela della salute
mentale lontano da logiche meramente assistenziali;
- Incidere sulle scelte riguardo la programmazione dei Servizi a livello di politica sanitaria con proposte di modifica delle normative regionali vigenti;
- Per la cittadinanza/familiari/utenti: fornire delle risposte efficaci, luoghi di cura dinamici, flessibili, evolutivi “contro” il rischio di luoghi statici, non vitali, caratterizzati da routine ripetitive, non promotrici di processi evolutivi e di inclusione sociale;
- Non avallare, sulla tematica della salute mentale, soluzioni anacronistiche, fuori dai tempi, dove vengono riproposte, per gli interventi di una certa durata, soluzioni semplicistiche sostanzialmente allocative.
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Oggi la cultura delle comunità viene sottovalutata nel dibattito teorico scientifico predominante, ma resta viva e operante in molte strutture e istituzioni che continuano a far riferimento al bagaglio storico culturale e metodologico che essa ha trasmesso nel tempo, a conferma, da un lato della validità del metodo comunitario, e dall’altro della dicotomia esistente fra le esigenze di un corretto approccio biopsicosociale e visioni troppo riduzionistiche.
Si sta assistendo nel tempo a normative nelle varie regioni, che finiscono per semplificare e banalizzare la complessità dell’intervento e che stanno, di fatto, assimilando le Comunità sempre più, per caratteristiche e personale, a strutture assistenziali e simil/ospedaliere con un’indicazione del personale che vede una sperequazione di figure infermieristiche e parainfermierisiche rispetto a funzioni professionali maggiormente deputate a decodificare gli aspetti interni dei pazienti.
La direzione sembra propendere verso una sorta di aziendalizzazione fine a sé stessa, una assistenza burocratica, dove poco spazio rimane alla dimensione dell’incontro.
Da molte parti è stato lanciato negli ultimi anni l'allarme per il tentativo di riprodurre in una comunità terapeutica un modello assimilabile alla clinica psichiatrica. C’è il rischio concreto di concepire questo intervento o come fortemente sanitarizzato o con una valenza solo di tipo socio-assistenziale.
Bisogna avere il coraggio di dire esplicitamente che i pazienti ospiti nelle comunità terapeutiche (per lo più giovani adulti) hanno un quadro clinico che rientra nell’alveo della psicopatologia che una volta stabilizzata (fuori dall’acuzie, dall’intervento ospedaliero) deve essere riconosciuta e adeguatamente trattata con strumenti non solo educativi o rieducativi, ancor meno di tipo assistenziale, ma soprattutto con interventi a valenza clinica, terapeutica. Storie di sofferenza richiedono una particolare formazione sia per entrare in relazione che per sintonizzarsi con i bisogni profondi degli utenti. Competenze che si acquisiscono se si è seguito un particolare percorso di studio, se non anche un training di psicoterapia personale, attraverso cui gli operatori possano essere in grado di riconoscere “dentro di sé” ciò che sta accadendo al paziente, per entrarvi in risonanza e restituirlo in maniera pensata e bonificata
Nella maggior parte delle normative regionali vengono proposte figure para/infermieristiche in numero sproporzionato rispetto a funzioni professionali competenti e con una particolare attitudine alla riflessione e alla clinica e non solo ad una generica accoglienza.
Si rischia di scambiare il “contenimento psichico” - che vuol dire accoglienza, holding, reverie, ascolto, mentalizzazione, fiducia, relazione, dedizione, incontro - per il “contenimento fisico”, per assistenza solo materiale, biologica, di “tamponamento” del sintomo, senza attenzione e ascolto trasformativo alla realtà interna degli utenti, alle loro esperienze, alle loro vite, alle loro esistenze. Si arriva in questo modo a riproporre un modello custodialistico che vede i pazienti passivi e non soggetti attivi di un percorso.
Riteniamo che occorra un personale multidisciplinare che privilegi, tuttavia, figure a valenza
“psi” in grado di ricucire, rinarrare una storia, ritessere delle relazioni familiari cortocircuitate, “mettere in parola” e significare vissuti poco mentalizzabili, elaborare stati traumatici per favorire un riavvio di un’evoluzione che per molteplici fattori si è interrotta e dove il “vulnus” è l’elemento relazionale che possa favorire l’introiezione di nuovi schemi, copioni più adattivi e funzionali nel tentativo di attivare e sviluppare nei pazienti una “funzione riflessiva”. È inaccettabile quindi che nella quasi totalità delle normative regionali riguardanti le comunità terapeutiche per la salute mentale non sia prevista in organico la figura dello psicoterapeuta e sia presente solo in misura minima quella dello psicologo.
È a tutta la società che ci rivolgiamo dunque, a partire da chi ha responsabilità specifiche, perché non solo i principi che hanno animato l’origine delle comunità terapeutiche continuino ad essere affermati, ma venga fermata la tendenza alla ipersemplificazione, a marginalizzare il modello psicoterapeutico da parte di quanti - più o meno consapevolmente- finiscono per avallare un paradigma biologico/riduzionista dal sapore custodialistico/assistenziale.
Ed è in questo senso che chiediamo a quanti condividono i principi di questo Manifesto di sottoscriverne l'adesione, inviando una email a
I componenti del Gruppo tecnico di lavoro “Comunità terapeutiche residenziali:
Dott. Claudio Bencivenga, Mito & Realtà Associazione Comunità Terapeutiche Residenziali e Fenascop
Dott. Umberto Nizzoli, Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare (SISDCA)
Dott. Roberto Quintiliani, Mito & Realtà Associazione Comunità Terapeutiche Residenziali Dott.ssa Chiara Ronconi, Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (CISMAI)
Dott. Matteo Sozzi, Società degli Psicologi dell'Area Neuropsicologica (SPAN)
Dott.ssa Carlotta Zoncu, Società Italiana di Psicodramma Analitico (SIPsA)
(Clicca sull'immagine per leggere il documento)
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"Siamo rammaricati e preoccupati nell'apprendere che l’iter parlamentare della proposta di legge di Modifica al codice penale in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori (Siani) si sia interrotto così bruscamente a causa di emendamenti che avrebbero stravolto completamente il senso.
Per il Cnca nessun bambino deve crescere in un Istituto di pena nel rispetto del suo superiore interesse cosi come previsto dalla CRC (ratificata dall'Italia nel 1991) e al fine di garantire l'esigibilità del diritto al pieno sviluppo di relazioni di genitorialità positiva tra genitori - figli anche per madri (o padri) in stato di detenzione.
La soluzione indicata nella suddetta proposta di legge tesa a valorizzare l’esperienza delle case famiglia come luogo in cui scontare la pena, quando altre soluzioni alternative alla custodia non fossero possibili, continua a essere un’ottima soluzione e la strada da perseguire così come, peraltro, raccomandato anche nel 12 report di monitoraggio dello stato di attuazione della CRC in Italia a firma di oltre 100 ONG e coordinamenti nazionali tra cui il CNCA.
Le forze di maggioranza sembrano piuttosto strabiche e contraddittorie su questi aspetti: da una parte dichiarano a gran voce di voler tutelare la famiglia, dall’altra impediscono nei fatti di sviluppare ed incoraggiare le migliori esperienze di tutela della stessa per le persone più fragili, quali sono i figli di madri detenute, e le detenute stesse nel momento in cui sono costrette a agire la propria genitorialità in carcere".
Dichiara Caterina Pozzi . Presidente del Cnca
"Il Cnca si batte da sempre per favorire al massimo l’applicazione di pene alternative alla detenzione, in tutti i casi nei quali sia possibile, e per valorizzare tutte le esperienze positive in questo senso. Quale caso più eclatante di quello di una madre con figli piccolissimi dovrebbe esistere per impedire la detenzione ? Sappiamo perfettamente tutti quanto la semplice detenzione non sia utile per il raggiungimento degli scopi rieducativi dettati dalla Costituzione, e qualcuno vuole applicarla anche ai bambini ! siamo molto preoccupati dai segnali di profonda regressione culturale sul tema delle pene e del carcere che questo governo e la maggioranza stanno esprimendo – continua Sonia Caronni – coordinatrice del gruppo nazionale di lavoro sul tema del Cnca.
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Bene l’aumento delle misure alternative, ma le comunità non si trasformino in carceri private
In merito al dibattito di questi giorni il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) ribadisce la necessità di facilitare percorsi alternativi per l’uscita dal carcere, in particolare per le persone con problemi di dipendenza. Ma le comunità non vanno pensate come surrogati degli istituti di pena né come carceri private.
“Da sempre crediamo all’inutilità della detenzione per le persone con dipendenze come dimostrano le numerose accoglienze nelle nostre strutture e nei progetti di misure alternative territoriali. E’ un lavoro che facciamo da anni. Ma le comunità non devono diventare delle carceri private, la detenzione non è lo strumento per facilitare la cura e il percorso di riabilitazione. A livello normativo sono già previsti dei percorsi alternativi, poco utilizzati e non sufficientemente sostenuti a livello economico e culturale. Il CNCA e una buona parte della società civile c’è ed è disponibile a ragionare su un’idea di superamento che sia inserita in una logica di sistema basta sulla scelta e la responsabilità della persona ” afferma Caterina Pozzi, presidente del Cnca.
“Non è pensabile tornare ad un modello di comunità di alcune esperienze degli anni ‘80, che oggi come allora non trovano assoluto riscontro nella realtà e nei bisogni delle persone che incontriamo
Accogliamo oltre 4000 ospiti nelle nostre comunità che sono aperte sul territorio, lavorano per l'inserimento sociale e accompagnano le persone nei propri percorsi di responsabilità, recupero e scelta consapevole. Queste realtà non possono trasformarsi in luoghi di puro contenimento.
Rivendichiamo con forza la professionalità e la motivazione etica e di impegno sociale degli operatori che lavorano nei nostri servizi; si tratta di professionisti che hanno scelto un lavoro di accompagnamento e cura e che non possono mai fare le veci della polizia penitenziaria”, aggiunge Pozzi.
Il CNCA è oggi la principale rete di cura delle dipendenze nel terzo settore con circa 300 realtà presenti in tutta Italia e 4000 persone prese in carico ogni anno; “La nostra storia quarantennale di lavoro sul campo parla di percorsi terapeutici, di scelta, di condivisione. Noi lavoriamo costruendo percorsi di autonomia con le persone, facciamo in modo che entrino, quando necessario, in rapporto con il reato commesso e con la pena ispirato ad una cultura di giustizia riparativa su cui le nostre comunità stanno già lavorando da anni. Per noi il carcere è sempre l’estrema ratio, soprattutto per chi ha un problema di dipendenza. Siamo convinti che i percorsi di accompagnamento e le misure alternative debbano essere implementati, ma rifiutiamo in maniera forte di trasformare le comunità in luoghi di puro contenimento. Educare, non punire è da sempre il nostro slogan”, aggiunge Riccardo De Facci, consigliere nazionale del CNCA con delega alle dipendenze.
Per informazioni:
Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA)
cell. 347 8291853
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Roma, 28 dicembre 2022
Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) esprime grave preoccupazione e dissenso circa il previsto anticipo al 28 febbraio 2023 dell’entrata in vigore della riforma del processo civile.
Condividiamo pienamente quanto già evidenziato in proposito sia dall’Avvocatura unita nelle sue componenti istituzionali, politiche e associative, sia dall’AIMMF (Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per le Famiglie).
Riteniamo infatti che l’anticipazione al 28/02/23 dell’entrata in vigore delle modifiche previste dalla legge 206/21 – i cui contenuti peraltro sono stati oggetto di inascoltato seppur motivato dissenso in sede di iter di approvazione – non risponda al requisito del superiore interesse della persona di minore età e della sua famiglia, perché non tiene conto dell’attuale reale, precaria situazione tecnico-organizzativa e di dotazione strumentale in cui sono costretti a operare i settori e gli organi dei Tribunali, con particolare riferimento ai Tribunali per i minorenni, e rappresenta di fatto un accelerato, pericoloso e insensato “salto nel vuoto” in un settore decisivo e importante per la vita di bambin*, ragazz* e delle loro famiglie.
Ci uniamo pertanto alla richiesta dell’AIMMF e dell’Avvocatura tutta nel chiedere con urgenza al Governo e, nello specifico, al ministro della Giustizia la rivalutazione dei tempi di entrata in vigore di detta riforma, la definizione di tempi e misure coerenti con la praticabilità dei processi di cambiamento, nel superiore interesse delle persone di minore età e delle loro famiglie, nonché l’avvio di un dialogo proficuo e costruttivo tra i preposti organi dello Stato e la società civile nella sue diverse composizioni (AIMMF, Avvocatura, Coordinamenti nazionali, Terzo settore) quale espressione di costruzione responsabile del bene comune.
Aderiscono al comunicato: ANFAA nazionale, CISMAI, CNCM, Agevolando.
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La vicenda della fuga dei sette ragazzi dall’Istituto Penale per Minorenni Beccaria di Milano ci propone diversi interrogativi e spunti di riflessione.
Vengono in considerazione in primo luogo, come ricordato già da altri, i problemi che affliggono l’IPM Beccaria ormai da molto tempo e che con ogni probabilità hanno contribuito a rendere pensabile e possibile l’“evasione di Natale”: carenza di personale, lavori di ristrutturazione che durano da troppo, mancanza di una Direzione stabile da quasi vent’anni. Questioni già evidenziate in passato anche dalla Camera Minorile di Milano e purtroppo ancora oggi in attesa di superamento.
Al di là del caso specifico (la fuga dall’IPM di Milano, sette ragazzi con sette storie, i relativi procedimenti, ecc.), cogliamo l’occasione per ricordare, ancora una volta, le gravi conseguenze che derivano dall’esiguità delle risorse destinate non solo per gli IPM ma più in generale per l’intero sistema – ché tale deve essere – della giustizia minorile. Nel nostro lavoro di avvocati minorili ci imbattiamo sempre più spesso in vere e proprie, per quanto non volute, violazioni dei diritti dei nostri giovani e a volte giovanissimi assistiti: violazioni derivanti dal trovarsi collocati in IPM fuori regione dato il sovraffollamento del Beccaria, dall’insufficienza dei posti in comunità in Lombardia per i ragazzi e le ragazze coinvolti in procedimenti penali, dalla carenza e comunque dall’elevato turn over di educatori o assistenti sociali, ciò che come ovvio ostacola lo sviluppo delle necessarie competenze, dalle difficoltà di accesso ai servizi specialistici del territorio, insufficienti e sempre in affanno, dalla scarsità di personale e di mezzi degli stessi uffici giudiziari minorili milanesi.
Abbiamo nel nostro Paese per i ragazzi e le ragazze autori di reato una normativa ancora oggi all’avanguardia che senza fare sconti di responsabilità propone una forte attenzione a che i percorsi penali siano occasioni anche di crescita, mai standard ma personalizzati. La stessa riforma recentemente approvata con l’introduzione della disciplina organica della giustizia riparativa (non solo per i minorenni) prosegue in quella direzione. Talvolta però le carenze sopra indicate ed evidenti anche nella nostra “ricca” Lombardia portano a tradire i principi e indebolire le norme e – ciò che più conta – a trascurare le persone, con conseguenze dannose per i singoli coinvolti ma anche per il benessere e la stessa sicurezza dell’intera società.
Vediamo da qualche tempo nel nostro territorio - che pur non è privo di opportunità - un mondo giovanile segnato da frustrazioni, rabbia, fragilità personali anche importanti, che a volte portano drammaticamente alla chiusura in se stessi e a volte esplodono in prove di forza nei confronti dell’autorità, familiare o istituzionale che sia, ovvero in veri e propri fatti di reato. E’ un mondo sempre più distante da noi adulti, singoli e istituzioni, che siamo spesso in difficoltà nel comprendere e nell’essere considerati interlocutori credibili e che molte volte, pressati dall’emergenza, siamo tentati di pensare che la soluzione realisticamente migliore sia una risposta forte o comunque in qualche misura innanzitutto contenitiva.
Come avvocati minorili sappiamo – lo vediamo quotidianamente nei processi - che gli interventi di rieducazione, riabilitazione o recupero che dir si voglia funzionano quando sono il risultato di un coinvolgimento attivo del ragazzo o della ragazza interessati e addirittura lo stesso giudizio di condanna ovvero i provvedimenti limitativi della libertà mantengono senso anche per i destinatari ed efficacia se accompagnati da una chiara volontà e capacità di tenere aperto il canale dell’ascolto e del riconoscimento.
I ragazzi fuggiti dal Beccaria ci propongono quindi come associazione e come avvocati un supplemento di impegno, nella formazione e nelle iniziative ai vari livelli oltre che nel quotidiano esercizio della professione, per contribuire al sempre miglior funzionamento della giustizia minorile e per accrescere le capacità di ascolto, di riconoscimento, di proposta e insomma di relazione con i ragazzi e le ragazze, anche quelli più “difficili”.
Milano, 27/12/2022
il Consiglio Direttivo della Camera Minorile di Milano