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I dati regione per regione raccontano un Paese che non offre le medesime opportunità a tutte le persone di minore età. Presentato oggi a Milano il Rapporto CRC “I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia – I dati regione per regione”.
Una vera e propria “lotteria geografica” condiziona il destino e l’attuazione dei diritti dei quasi dieci milioni (9.287.462) di persone di minore età che vivono in Italia: sempre più evidenti le forti diseguaglianze sociali, economiche e culturali che caratterizzano i vari territori. Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC) è un network attualmente composto da 100 soggetti del Terzo Settore che da tempo si occupano attivamente della promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ed è coordinato da Save the Children Italia. Il Gruppo CRC pubblica la seconda edizione del Rapporto “I dati regione per regione 2021”, a distanza esatta di tre anni dalla prima. La pubblicazione affianca l’analisi nazionale sviluppata nel Rapporto annuale di monitoraggio al fine di offrire una fotografia regionale attraverso una serie di indicatori e utili spunti per ulteriori approfondimenti. In particolare, l’obiettivo è quello di sensibilizzare le istituzioni pubbliche circa la necessità di una raccolta puntuale, sistematica e disaggregata di informazioni necessarie a programmare interventi efficaci e sostenibili per bambini, adolescenti e le loro famiglie. Inoltre, è nostra intenzione favorire il dialogo tra i territori, fornendo utili materiali di confronto, anche attraverso l’organizzazione degli incontri regionali che si stanno svolgendo in queste settimane.
La pubblicazione è organizzata in 20 schede regionali che offrono dati sintetici e comparabili relativi alle aree tematiche individuate. Partendo dai contenuti dei rapporti annuali di monitoraggio, sono stati individuati sette raggruppamenti tematici. Per ognuno di essi è stato individuato un set di indicatori che, seppur limitato, anche in considerazione della difficoltà di reperire dati disaggregati per la fascia 0-17 anni a livello regionale, possa rappresentare la condizione dell’infanzia nei diversi territori per le specifiche aree tematiche. La raccolta degli indicatori, per un totale di 164 indicatori, è stata resa possibile anche grazie al supporto di numerosi soggetti istituzionali e non solo, che hanno fornito una serie di dati disaggregati su base regionali ai fini della pubblicazione. In particolare, sono presenti nel Rapporto alcuni dati inediti, forniti da vari enti appositamente ai fini della stesura dello stesso: tra questi, ad esempio, i dati sulle persone di minore età a rischio povertà o esclusione, sulla povertà abitativa, sulle attività culturali, lo sport e la povertà alimentare, i dati relativi alla scuola dell’infanzia e alla sicurezza nelle scuole, i dati sui minorenni vittime di abusi.
Se ne riporta di seguito una sintesi rispetto a quelli più significativi per la Regione Lombardia.
- Dati demografici
In Lombardia le persone di minore età sono 1.607.549, il 16,1% della popolazione totale della regione, contro una media nazionale del 15,7%, ma con un trend in diminuzione rispetto al precedente Rapporto.
Il tasso di natalità (per mille abitanti) è di 6,9, superiore di appena 0,1 alla media nazionale (6,8). La speranza di vita alla nascita è di 81,3 anni (inferiore di 0,7 rispetto alla media nazionale di 82 anni). Le famiglie con 5 o più componenti sono 4,7 su 100, inferiori rispetto alla media italiana del 5,2, mentre i nuclei monogenitoriali sono il 15,4% (inferiori di 2,1 punti rispetto alla media italiana).
- Risorse dedicate all’infanzia e all’adolescenza
In questa edizione è stata aggiunta un’area sulle risorse dedicate all’infanzia e all’adolescenza che ripropone l’analisi realizzata dal Gruppo CRC e pubblicata a maggio 2021 nel Dossier Risorse Infanzia. Nella consapevolezza che si tratta di dati limitati, che forniscono solo una fotografia parziale, è stato ritenuto importante dare visibilità all’allocazione di adeguate risorse all’infanzia e all’adolescenza in quanto ha un’importanza enorme nel garantire a tutti i bambini e a tutti gli adolescenti l’effettiva attuazione dei diritti.
Si evidenzia, ad esempio che, in Lombardia i fondi del PON scuola pro-capite per popolazione 0-17 ammontano a 68,25 euro, nettamente inferiore rispetto alla media nazionale di 170,16 euro.
- Povertà materiale ed educativa
Oltre ai dati sulla povertà economica, in questo rapporto sono stati aggiunti nuovi indicatori che consentono una visione più completa del fenomeno della povertà minorile, che è multidimensionale e non può non tenere conto anche della povertà educativa.
In Lombardia la percentuale di minorenni in povertà relativa è del 16,6%, inferiore di 3,8 punti rispetto alla media nazionale, ma superiore rispetto a Piemonte (16,1%), Veneto (13,1%) ed Emilia- Romagna (15,9%), e con una tendenza in aumento di 2,6 punti rispetto al precedente Rapporto.
Significativo anche il dato sulla povertà abitativa: in Lombardia la percentuale di minorenni che vive in abitazioni prive di alcuni servizi e con problemi strutturali è dell’11,3% (media nazionale del 12,8%), mentre i minorenni che vivono in situazioni di sovraffollamento abitativo sono il 45,7% superiore di ben 4 punti rispetto alla media nazionale.
I bambini e i ragazzi di 6-17 anni che nel tempo libero hanno l’abitudine alla lettura di libri sono il 58,6%, quota superiore di 6,7 punti rispetto alla media nazionale.
La percentuale di bambini e ragazzi che nel tempo libero praticano sport è del 70,2%, superiore di 10,4 punti rispetto alla media nazionale e con una tendenza in aumento rispetto al precedente Rapporto.
In relazione alla povertà educativa digitale, la percentuale di minorenni tra 6 e 17 anni che non utilizzano Internet è del 13,9%, inferiore di 1,8 rispetto alla media nazionale.
- Ambiente familiare e misure alternative
Il tasso di affidamenti familiari è di 1,5 ogni mille residenti, in linea alla media italiana di 1,5; così come il tasso per mille residenti di 0-17 anni dei minorenni nei servizi residenziali (1,3) e in aumento dello 0,2 rispetto al precedente Rapporto.
La percentuale di bambini e adolescenti stranieri presenti nei servizi residenziali è del 50,4% (inferiore rispetto alla media nazionale di 54,9%), mentre la percentuale di bambini e adolescenti accolti nei servizi residenziali con disabilità certificata è di 5,8% (0,8% superiore alla media italiana).
Rispetto alle adozioni, le dichiarazioni di adottabilità di minorenni per adozione nazionale sono state 246 (1.237 il totale nazionale), di cui 58 da genitori ignoti (193 il dato nazionale), mentre le domande di disponibilità all’adozione nazionale sono state 901.
Rispetto al tema relativo alle persone di minore età con un genitore detenuto, la percentuale di colloqui con minorenni sul totale dei colloqui è del 13,6% (inferiore alla media nazionale del 20,4%), mentre il numero di istituti penitenziari in cui è presente una ludoteca è di 11 su 19.
- Educazione, gioco e attività culturali
I dati sull’educazione indicano che la percentuale dei comuni coperti da servizi socioeducativi per la prima infanzia è dell’80,5%, superiore di 20,4 punti rispetto alla media nazionale.
Tra i bambini iscritti alla scuola dell’infanzia, il 58,3% è iscritto alla scuola pubblica e il 41,7% alla scuola privata. Gli anticipatari sono il 2,5%, inferiori di 1,6 rispetto alla media nazionale.
La percentuale di alunni della scuola primaria che usufruiscono del servizio mensa è dell’80,4%, superiore di 24,1 punti rispetto alla media nazionale. La percentuale di classi senza tempo pieno è del 48,19%, inferiore quindi rispetto alla media nazionale del 70,47%.
Uno specifico approfondimento del Rapporto riguarda il diritto all’istruzione per gli alunni con disabilità e per gli alunni stranieri, nella consapevolezza che l’opportunità di frequentare ambienti educativi inclusivi faccia la differenza nei processi di integrazione. Nelle scuole statali sono presenti 45.324 alunni con disabilità, mentre la percentuale di alunni con cittadinanza non italiana presenti sul totale degli ordini è del 15,5%.
La percentuale di persone di 18-24 anni che hanno conseguito la sola licenza media e non sono inseriti in un programma di formazione (Early School Leaver) è del 11,9% (media italiana 13,1%), mentre la percentuale di persone di 15-29 anni che non lavorano e non studiano (Neet) è del 17,4% (media nazionale 23,3%).
Infine, la percentuale di edifici in cui è presente il certificato di agibilità è del 53,6%, superiore rispetto alla media italiana del 39%.
- Salute e servizi di base
Il tasso di mortalità infantile in Lombardia è del 2,56‰ (media nazionale 2,88‰) e la percentuale di parti cesarei sul totale dei parti è del 23,7 % inferiore di 8 punti rispetto alla media nazionale.
La percentuale di bambini obesi e gravemente obesi è del 4,7%, quota inferiore di 4,7 punti rispetto alla media nazionale e in diminuzione rispetto al precedente Rapporto.
La mobilità ospedaliera interregionale è di 6,6 rispetto alla media nazionale del 9,4.
Rispetto alle coperture vaccinali: la copertura per il morbillo è del 95,6%, superiore di 0,4 rispetto alla media nazionale e con una tendenza in aumento rispetto al precedente Rapporto.
Passando all’ambiente, e specificatamente alla qualità dell’aria urbana, i livelli di esposizioni della popolazione urbana all’inquinamento atmosferico da particolato PM 2,5 superiore a 10 mcg/m3 è del 97%, superiore di 15,1 rispetto al dato nazionale 81,9%. Infine, la disponibilità di verde urbano è di 27,4, inferiore del 6,4 rispetto alla media nazionale del 33,8.
- Protezione
In questa ultima sezione sono riportati i dati relativi ai minori stranieri non accompagnati presenti e censiti che in Lombardia sono 732 (Italia 7.802), tendenza in diminuzione rispetto al precedente Rapporto.
Con riferimento alle persone di minore età in stato di detenzione o misure alternative, nei Servizi residenziali sono presenti 239 minorenni, il 18,2% rispetto al totale nazionale, tendenza in diminuzione rispetto al precedente rapporto.
Per la prima volta quest’anno sono stati poi inseriti i dati forniti dal Ministero dell’Interno rispetto ai minorenni vittime di abuso e di maltrattamento per una serie di reati, che in mancanza di qualsiasi altra informazione relativa al fenomeno della violenza a danno di minorenni, abbiamo ritenuto importante includere, nella consapevolezza che forniscono solo uno sguardo parziale sul fenomeno: i reati per maltrattamento contro familiari e conviventi segnalati nel 2020 sono 3.185, il 14,67% del totale nazionale (21.709).
“In Italia permangono ancora numerose e profonde diseguaglianze regionali nell’accesso e nella qualità dei servizi di salute, dei servizi educativi, e nell’incidenza della povertà, che di fatto significa che le persone di minore età hanno differenti opportunità e diritti a seconda di dove nascano e crescono. Si tratta di forte discriminazione su base regionale, che ha un forte impatto sulla vita dei bambini, e che rende indispensabile avviare una programmazione strategica in grado di investire con efficacia sull’infanzia e adolescenza”. Commenta Arianna Saulini, di Save the Children, coordinatrice del Gruppo CRC. “Con questo lavoro le associazioni del Gruppo CRC intendono contribuire e stimolare un processo che porti ad una maggiore conoscenza e consapevolezza della condizioni dell’infanzia nei singoli territori, e conseguentemente superare le disparità che si fanno sempre più acute”. In particolare aggiunge Liviana Marelli, CNCA, “occorre investire maggiormente sulla cura degli ambienti di vita a partire dalla qualità dell’aria che in Lombardia evidenzia dati peggiori rispetto alla media nazionale, così come vanno incrementare le aree verdi che evidenziano una significativa percentuale inferiore rispetto alla media nazionale. Occorre altresì avere cura dei processi di transizione alla vita adulta con particolare attenzione all’ individuazione di politiche attive di contrasto alla condizione di NEET che in Lombardia evidenzia un dato pari l7,4% e superiore alla media europea (14,2%).
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L’affido è un servizio del ComuneMilano che ha lo scopo di tutelare bambini e bambine, offrendo loro un contesto familiare che li supporti nella crescita e rispettando allo stesso tempo il loro diritto a mantenere i legami con la propria famiglia d’origine.
Succede, infatti, che la famiglia naturale possa trovarsi in una situazione di difficoltà che la porta a non essere in grado di occuparsi dell’educazione e delle necessità materiali e affettive dei propri figli.
Possono diventare “affidatarie” persone singole o coppie, sposate o conviventi, senza vincoli di età.
Guarda il video per conoscere la storia della piccola Marta e clicca qui per scoprire tutte le informazioni relative al percorso di affido bit.ly/Affido-Milano
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Presidente del Consiglio dei Ministri Mario DRAGHI
Ministro del Lavoro e delle politiche sociali Andrea ORLANDO
Ministro della Giustizia Marta CARTABIA
Ministra Pari opportunità e famiglia Elena BONETTI
Commissione giustizia senato e camera
Ai capigruppo parlamentari
Al gruppo interparlamentare minori (tramite on. Lattanzio, On. Siani, On. Serracchiani)
p.c.
Alla Dott.ssa Carla Garlatti – Autorità Garante Nazionale Infanzia e Adolescenza
Alla Dott.ssa Cristina Maggia – presidente AIMMF
Alla Dott.ssa Susanna Galli – Segretario generale AIMMF
Alla dott.ssa Grazia Cesaro – UNCM
Al dott. Gianmario Gazzi - CNOAS
Ai Presidenti dei Tribunali per i Minorenni, Loro Sedi
Alla Conferenza delle Regioni
All’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani
Oggetto:
- Costituzione gruppo di lavoro per l’elaborazione degli schemi di decreto legislativo recanti modifiche in materia di procedimento relativo a minorenni e famiglie.
- Costituzione gruppo di lavoro per l’elaborazione degli schemi di decreto legislativo recanti modifiche in materia di riforma ordinamentale ed istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.
In riferimento all’oggetto, constatiamo nostro malgrado che la composizione dei suddetti gruppi di lavoro comprende esclusivamente rappresentanti della Magistratura e dell’Avvocatura.
Tale scelta è a nostro parere monca rispetto all’indispensabile coinvolgimento degli Enti Locali, quali organo di regia che garantisce i diritti dei soggetti di minore età e delle loro famiglie. È mancante anche nella composizione dei gruppi stante la totale assenza della competenza di ordine sociale, pedagogico e psicologico che si attua con la collaborazione delle organizzazioni di terzo settore e dei coordinamenti nazionali che – in base al principio di sussidiarietà normativamente previsto - svolgono concreta e competente azione di accoglienza (familiare e di comunità residenziale) e di accompagnamento prossimo alle famiglie, ai bambini e ai ragazzi in situazione di vulnerabilità.
Non si può non considerare che per raggiungere obiettivi di benessere per famiglie e minorenni nei processi di aiuto, è efficace solo un lavoro che preveda la interdisciplinarietà, l’insieme di diverse competenze e professionalità – purtroppo trascurate in sede di approvazione della legge n. 206 del 26 novembre 2021 “Delega al governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata “ (GU n. 292 del 9/12/21 vigente dal 24/12/21) – quale unica strada per rendere efficiente il sistema di welfare, per abbreviare i tempi e ottimizzare le risorse che, seppur presenti, andrebbero dissipate.
Possono allora essere questi schemi di decreti delegati solo “questione giuridica o legale”?
La tutela dei diritti dei bambini/e , dei ragazzi/e e delle loro famiglie non si risolve con la logica del “contraddittorio” ma richiede capacità progettuale per sostenere processi evolutivi di cambiamento per garantire futuri possibili. Si ribadisce dunque che la definizione degli schemi di decreto, necessita di una visione non solo di tipo giuridico, ma anche di competenze sociali, pedagogiche e psicologiche. Questo è il senso della “collegialità e complementarietà” di sguardi e competenze garantito finora dai Giudici Onorari, funzione che sarebbe auspicabile mantenere nel futuro ordinamento.
Riteniamo pertanto che i gruppi di lavoro di cui all’oggetto debbano prevedere la partecipazione attiva di rappresentanti degli Enti locali, di operatori sociali, pedagogisti, psicologi e dei coordinamenti nazionali che si occupano di protezione e tutela dei minorenni e delle loro famiglie e che hanno decenni di esperienza, e sono maggiormente rappresentativi dell’ambito della cura e dell’accoglienza di soggetti di minore età.
Richiamiamo al riguardo quanto esposto nell’odg presentato dagli onorevoli Lattanzio, Siani, Di Giorgi, Verini, Bazoli, Lepri, Ruggiero e Grippa nel quale si evidenzia come “... una delle caratteristiche che impronta maggiormente di sé l’attuale sistema della giustizia minorile consiste nella partecipazione al procedimento e allai decisione di esperti, ad esempio nel campo della psicologia o della pedagogia, con l’obiettivo di consentire che le norme siano applicate tenendo conto della specifica condizione del minore come persona in via di sviluppo” impegnando il Governo anche “..a valutare le modalità attraverso le quali garantire, in questo ambito, il contributo multidisciplinare sinora apportato dai componenti privati”.
Inoltre il Tavolo di lavoro delle associazioni nazionali e delle reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie, nel documento presentato nel corso della audizione del 26.10.2021 davanti alla Commissione Giustizia della Camera ha auspicato la “creazione di un Tavolo di confronto per poter realizzare una riforma Dalla parte dei bambini” che preveda:
- il miglioramento dell’organico e informatizzazione degli uffici giudiziari al fine di garantire la necessaria interconnessione nonché l’accelerazione dei procedimenti che riguardano i minorenni, stimandone le risorse utili;
- l’adeguato budget di investimenti per il sistema dei Servizi sociali quale organo di prossimità impegnato sia nella prevenzione di interventi giurisdizionali, in circostanze di vulnerabilità familiare, sia nell’implementazione dei provvedimenti emanati dall’Autorità giudiziaria a tutela dell’infanzia;
- adeguata e costante formazione del “curatore speciale del minore” a cura degli Ordini professionali secondo un protocollo formativo che tenga conto di tutti i soggetti coinvolti nei procedimenti minorili.
Chiediamo pertanto che la Ministra della Giustizia intervenga per integrare i gruppi di lavoro come sopra indicato e ai referenti del gruppo interparlamentare infanzia di attivarsi affinché venga dato seguito a quanto approvato nei suddetti ordini del giorno.
Firme:
CNCA - Presidente Nazionale Riccardo De Facci
CNCA - Responsabile Area Accoglienza relazioni familiari, diritto al futuro bambini, adolescenti, giovani - Liviana Marelli
CNCM - Coordinamento nazionale comunità per minori - Giovanni Fulvi
CISMAI – Coordinamento italiano servizi contro il maltrattamento all’Infanzia - Giovanni Visci
SOS - Villaggi dei Bambini - Direttore Roberta Capella
Associazione Agevolando - Federico Zullo
Associazione Progetto Famiglia – Marco Giordano
Anfaa – Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie – Frida Tonizzo – Presidente
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“Italia Inclusiva” è un progetto della Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese che mira a valorizzare il terzo settore italiano all’estero, attraverso la realizzazione di progetti video-fotografici che valorizzino l’attività di sei associazioni non profit italiane.
Il Terzo settore in Italia è una realtà dinamica ed estremamente variegata, che conta centinaia di migliaia di organizzazioni attive in diversi ambiti. Nasce per mettersi al servizio della comunità e allo stesso tempo crea comunità e relazioni, producendo un valore economico ben più grande di quanto venga quantificato. È un laboratorio attivissimo di imprenditoria e innovazione e contribuisce a promuovere la cultura e a renderla accessibile. Il Terzo settore italiano genera a sua volta una cultura della responsabilità, della cooperazione e della cura per le persone, gli spazi e le città. È quindi importante iniziare ad associare il Made in Italy anche alle eccellenze che il nostro Paese può vantare in ambito sociale, le quali hanno un ruolo cruciale nello sviluppo sostenibile del Paese e nell’inclusione dei suoi soggetti più fragili.
Il progetto mira a comunicare all’estero il contributo del terzo settore e a tentare di restituirne la varietà, attraverso la selezione di sei macro-aree di intervento, che richiamano gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030: legalità, empowerment femminile, rigenerazione urbana, integrazione sociale, sport, imprenditoria sociale.
Per la promozione e la valorizzazione di questo importante patrimonio socio-economico verranno realizzati dei progetti video-fotografici che raccontino l’attività delle associazioni individuate attive nei settori sopraelencati, in continuità con la consolidata tradizione della fotografia italiana nella lettura dei luoghi e della società.
L’Avviso pubblico “Italia Inclusiva” si rivolge a fotografi/video maker o collettivi emergenti o mid-career e rimarrà aperto fino al 4 febbraio 2022. I sei artisti selezionati potranno sviluppare il loro progetto video-fotografico osservando nel corso di alcuni mesi il lavoro e la storia delle associazioni. I progetti fotografici saranno poi valorizzati attraverso la realizzazione di sei libri e di altrettante mostre destinate ad essere diffuse nella rete diplomatico-consolare e degli Istituti Italiani di Cultura.
La direzione creativa del progetto è a cura di Baringo, un progetto di Cosimo Bizzarri e Matteo De Mayda.
Questo il link per il bando.
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In coincidenza con un ampio quadro di riforme connesso all’approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Senato ha approvato in prima lettura il testo del disegno di legge delega che, introducendo rilevanti modifiche al processo civile, istituisce un Tribunale per le persone e la famiglia, con la definizione di un rito unico. Le novità, destinate a costruire un assetto ordinamentale e normativo evidentemente rilevante, hanno riscosso da molti un convinto ed entusiastico plauso. Tuttavia, non sono mancati i commentatori critici, dolenti per un’occasione utilizzata male e preoccupati per lo svilimento della concretezza propositiva dei giudizi di famiglia e la perdita di esperienze multidisciplinari. Qui propugno le idee dei secondi, e non me ne vogliano gli altri; che spero, per la verità, di convincere con le osservazioni che seguono. Va detto che i principi che reggono la riforma, e cioè l’istituzione del Tribunale della famiglia e la previsione di un rito unico, sono risultati che da decenni erano attesi da tutti gli operatori che si interessano dei diritti delle persone, per cui la loro affermazione positiva è senza dubbio considerevole, tanto da aver fatto contraddistinguere la riforma come “epocale”. Non è dunque in discussione il “se”, ma il “modo”, e se si contraddicono le nuove previsioni, non lo si fa con lo spirito retrivo di chi è attaccato all’esistente, perché piuttosto si vuole ammonire il legislatore a non incorrere in soluzioni peggiorative; le quali per alcuni aspetti, sono state indotte da pregiudizi erronei, sotto altri mancano di visione sistematica e complessivamente difettano di tempestività ed efficacia nella realizzazione dell’intervento giudiziario contro le situazioni di pregiudizio, introducendo aporie, salti logici, e formalismi che saranno causa di ritardi e di svilimento della funzione di recupero. Di più, l’impellente aspirazione di veder composta l’attuale dicotomia fra T.O. e T.M. che tante incertezze e ambiguità porta con sé, finisce per essere tradita sia quanto a realizzabilità della riforma, sia nella sostanziale riproduzione, anche a regime, di un doppio binario che diversifica situazioni simili, ripartendo, con criterio illogico, le materie di competenza.
- La costituzione del giudice
L’art, 24 del progetto di delega è interamente dedicato al nuovo “Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie”, che viene distinto in due sezioni, una circondariale e un’altra distrettuale.
Questo assetto è di per sé bastevole a creare confusione. Il Ministero della Giustizia (e personalmente la Ministra della Giustizia nell’incontro che ha avuto con i Presidenti e i Procuratori dei Tribunali per i minorenni il 20 ottobre u.s.) ha più volte chiarito che la delega intende realizzare un modello organizzativo che attribuisca le competenze sui minori, le persone e la famiglia a un organo giudiziario autonomo. E tuttavia, la denominazione utilizzata ha fatto sostenere convintamente ad alcuni detrattori che si tratti soltanto di una redistribuzione degli affari all’interno degli Uffici giudiziari ordinari. Indubbiamente il Tribunale Unico diviso nella denominazione di “sezioni circondariali” e “sezioni distrettuali”, si presta a un’interpretazione riduttiva della portata della riforma.
A vantaggio del convincimento ministeriale valgono le seguenti considerazioni:
- Le sezioni circondariali e le sezioni distrettuali sono rispettivamente costituite presso le “sedi” di Tribunale e di Corte di Appello. La sede indica il luogo geografico e non l’ufficio: dunque le sezioni saranno costituite in ciascuna città sede di Tribunale e di Corte e non presso gli uffici di Tribunale e di Corte di Appello;
- Alla lettera g) viene attribuita al Presidente della Sezione Distrettuale la facoltà di “applicazione” di magistrati della sezione circondariale. Poiché l’organizzazione degli Uffici è attualmente impostata secondo il metodo tabellare attribuito alla responsabilità del Dirigente, il potere di “applicazione” suddetto potrà essere esercitato solo se il Presidente della Sezione distrettuale è “capo dell’ufficio”. D’altra parte un potere di “applicazione” così configurato sarebbe antinomico rispetto al potere di organizzazione tabellare del Presidente del Tribunale ordinario: avverrebbe cioè, ove mai si pensi che la sezione circondariale sia organica al T.O., che l’assegnazione dei giudici e la distribuzione degli affari delle altre sezioni del T.O. risulterebbe del tutto alterata e compromessa senza possibilità di riparo da parte di quel Presidente.
Non è comprensibile, però, quale sia stata la ragione della denominazione utilizzata, che sembra dovuta alla preoccupazione di incorrere nel divieto di cui all’art. 102 Cost.. Ma non c’è chi non veda come il timore sia eccessivo, per il solo fatto che la finalità della riforma, espressa dalla lettera a), è quella di “riorganizzare il funzionamento e le competenze del Tribunale per i minorenni”, di modo che la delega non istituisce un nuovo giudice speciale, ma adatta quello già esistente a una modifica ristretta alla sola ripartizione delle competenze.
Bene farebbe perciò il legislatore a chiarire anche semanticamente l’autonomia del nuovo Tribunale, ad evitare una delega ambigua che da un lato, rimetterebbe ai decreti delegati una scelta dirimente basata sull’opinabilità dell’indirizzo legislativo, sulle posizioni estemporanee dell’esecutivo e sulla forza persuasiva delle categorie, dall’altro esporrebbe, sì, il testo alla violazione delle regole costituzionali sulla specificità dei principi e dei criteri direttivi.
Ad ogni modo, la distinzione dell’istituendo Tribunale in sezioni comporta difficoltà attuative assolutamente rilevanti.
Sulla riforma, infatti, incombe la c.d. “invarianza di gettito” espressa dal divieto dell’aumento di organico. Ora, ai sensi dell’art. 46, ult. comma, dell’ordinamento giudiziario le sezioni circondariali dovrebbero essere composte da almeno 5 giudici (stessa disposizione è dettata dall’art. 54 per la sezione di Corte di Appello, ma non è imperativa), di modo che, allo stato delle cose, la previsione di una sezione circondariale del Tribunale delle persone dovrebbe attingere agli organici dei Tribunali ordinari. Nei Tribunali di piccole dimensioni ciò comporterebbe uno svuotamento sostanziale degli organici assegnati alle altre materie tenuto conto che per il Tribunale delle persone le competenze sono esclusive. Non di meno, il problema si porrebbe anche per i tribunali ordinari di maggiori dimensioni, sia pure in modo variamente proporzionale a seconda dell’organico complessivo.
Più opportunamente la delega potrebbe limitarsi a prevedere la riorganizzazione dei Tribunali per i minorenni “con distinta competenza distrettuale e circondariale”, riservando alle disposizioni successive, quelle sulla competenza appunto, una distribuzione legata all’affare e non alla istituzione del giudice.
- La ripartizione interna degli affari: dal distretto al circondario.
Si sa che il passaggio dalla competenza distrettuale del Tribunale per i minorenni a quella commista, per circondari e distretti, del Tribunale unico è teoricamente dipendente dal principio di prossimità. E’ anche vero, però, che i tribunali per i minorenni hanno fin qui assolto alle funzioni senza particolari preoccupazioni riferite al più largo bacino di utenza, e senza che questo abbia inciso sull’efficacia della tutela giudiziaria. Certo, il tribunale unico cumulerà gli affari minorili a quelli della famiglia, ma di fatto, come è previsto nella disciplina del rito unico, il principio di prossimità sarà utile soltanto a facilitare la partecipazione dei coniugi alle udienze, e in particolare a quella presidenziale e alle poche altre in cui sarà necessaria la loro comparizione personale. Il legislatore dunque, potrebbe ritenere ancora adeguata l’allocazione solo in sede distrettuale, e questo agevolerebbe la costituzione del Tribunale unico rendendolo compatibile con le ferree regole di bilancio. All’estero fanno così (per citare due grandi Paesi europei di civil law: in Francia è materia del Tribunal de grand Istance che ha sede nel Dipartimento, in Spagna dello Juzgados de Familla che ha sede provinciale). E mi sembra corretta un’osservazione, forse irriverente, ma veritiera: se la distanza non è un problema per il ricevimento nuziale, perché dovrebbe esserlo per quell’unica o per quelle altre poche udienze necessarie alla separazione?.
La posta in gioco è alta perché se le regole di bilancio sono irrinunciabili, si ha un bel dire che la riforma introduce una soluzione epocale; al contrario essa viene privata di fattibilità e così com’è, è destinata a rimanere nel cassetto: buona come proclama, ma senza speranza di realizzazione. Un’occasione persa.
Nello specifico poi delle competenze che la delega assegna alle due sezioni nel modo in cui vengono concepite, l’art. 24, alla lettera c), presenta almeno due errori di principio nella individuazione degli affari della sezione circondariale allorchè attribuisce a questa, a detrimento della organicità del sistema di tutela, i collocamenti di urgenza ex art. 403 c.c. e il complesso di interventi di cui al titolo I e Ibis della legge 184/1983.
Quanto alle prime disposizioni della legge 184 attribuite alla circondariale, si tratta di quelle norme che assolvono alla funzione di tutela mediante il collocamento del minore fuori famiglia. Qui il pregiudizio viene presupposto nella sua forma più grave. Non si ha riguardo cioè a pronunce che consumano il loro effetto in sé escludendo o limitando la responsabilità, ma servono all’accompagnamento del minore e della sua famiglia in un percorso che serva al sostegno nel recupero del disagio e nel contempo a garantire una progettualità di crescita adeguata ai bisogni. E’ questa l’azione che oggi il T.M. svolge in funzione proattiva, proponendosi come fattore di cambiamento dell’esistente nella misura in cui esso è pregiudizievole, e si prodiga alla ricerca di soluzioni che perseguano efficacemente l’interesse del minore. Misure come l’affidamento al servizio sociale, il collocamento, o l’affidamento intrafamiliare o eterofamiliare sono step conseguenziali, che in una valutazione complessiva si strutturano come antecedenti dell’adottabilità, per escludere situazioni di abbandono quando l’intervento riesce, o per confermarlo allorchè gli effetti propositivi non si realizzano. Dunque la materia della legge 184/1983 costituisce un unicum propositivo, la cui frammentazione nuoce all’unitarietà dell’intervento. Non di meno, il modello di tutela ex art. 403 c.c., come ridisegnato dall’art. 27 della delega, per le stesse ragioni, dovrebbe essere rimesso alla sezione distrettuale; in proposito, va notato come la nuova formulazione dell’art. 403 c.c., riconosca alla misura del collocamento d’urgenza un’efficacia invasiva che da un lato fa ritenere necessaria la collegialità della decisione e, dall’altra, è considerata in funzione propedeutica a misure di tutela esterne alla famiglia biologica (in questo senso l’ultimo comma della disposizione novellata fa conseguire al 403 c.c. l’applicazione delle norme sull’affidamento familiare).
- I giudici onorari minorili: un’esperienza controversa
Un’innovazione particolarmente apprezzata da molti commentatori è invece causa di disillusione e amarezza per i più diretti operatori minorili, con l’aggiunta del rammarico di non aver saputo fin qui veicolare l’utilità di mantenere un giudice minorile poliedrico, aperto alla multidisciplinarietà, che lo qualifichi per un’effettiva specializzazione. Questa pietra d’inciampo è la configurazione delle sezioni circondariali come giudici monocratici, trovandosi esclusi dal giudizio i giudici onorari che ora compongono il Tribunale per i minorenni (la cui partecipazione al collegio è limitata ai procedimenti penali, di sorveglianza e, nella materia civile, a quelli di adottabilità e adozione). Invero, la diffidenza verso i giudici onorari viene da lontano. Molto dipende dall’ampiezza della delega con la quale nel T.M. i giudici onorari sono impiegati, e che fa loro sovrintendere alla trattazione delle cause: si teme che essi svolgano l’attività istruttoria senza competenze appropriate per condurre il processo, e che la difesa tecnica possa essere travolta da approcci metagiuridici. C’è poi un diverso pensiero e cioè che la diversità di competenze dei giudici onorari, introducendo nella camera di consiglio conoscenze che travalicano il puro diritto, lasciano impedito alla difesa di confrontarsi con i loro apporti scientifici, che per diversità di preparazione, e per il luogo in cui vengono introdotti (la camera di consiglio) sono imprevedibili al momento della trattazione e discussione della causa e quindi possono declinarsi in soluzioni “a sorpresa”. Ora è evidente che i due piani non vanno confusi, perché una cosa è l’impiego dei giudici onorari nell’istruttoria, che può essere opportunamente ristretto nella casistica e nelle modalità, altra cosa e l’arricchimento conoscitivo che la pluralità e diversità di competenze permette di trasfondere nella decisione. C’è d’altra parte un vizio logico che va sfatato e cioè che l’interesse del minore venga tutelato più propriamente dal processo in sé, attraverso il rispetto dei diritti processuali e delle regole del contraddittorio in quanto tale, anziché dall’interpretazione dei bisogni che quella istruttoria fa emergere e dal modo con cui, attraverso la decisione, trovano una definizione. La trattazione del processo (e le regole che lo assistono) sono il mezzo, ma il fine è l’interesse del minore, la liberazione di lui dal pregiudizio, la riconciliazione fra diritti di genitori e figli che produca benessere. Rispetto a finalità di tal fatta, la possibilità di attingere a conoscenze che si affiancano a quelle giuridiche e le indirizzano con una visione multidisciplinare, migliorano l’espressione del giudizio, completandolo: lo rendono aderente alla realtà, concreto e attuabile, effettivamente produttivo dei risultati che la decisione vuole perseguire. D’altra parte, il diritto di difesa non si consuma in un’essenza predittiva della decisione, ma trova sfogo anche nel riscontro di una conseguenzialità fra dispositivo e motivazione, che dia contezza del percorso logico-giuridico (e qui pure psicologico-assistenziale) e permetta una ricostruzione a posteriori della complessità argomentativa del provvedimento, con la successiva possibilità di sottoporre a giudizio critico quella decisione attraverso il gravame. Non c’è chi non veda poi, come è disarmonica (e alla luce di tanto incomprensibile) la scelta della delega di perpetuare per le cause penali una composizione multidisciplinare con la partecipazione dei giudici onorari al collegio, ed escluderla per molte materie civili, nonostante che nell’un caso e nell’altro la decisione riguardi le fragilità del minore e della sua famiglia e si rivolga al recupero di un’adeguatezza personale e funzionale. Anzi nel processo minorile l’azione civile è sinergica a quella penale e la via d’uscita del minore dal circuito criminale è dipendente dal recupero di adeguatezza delle condizioni di crescita, di modo che la doppia faccia dell’intervento giudiziario avrebbe dovuto consigliare di mantenere un’uniforme formazione del collegio.
A questo proposito è utile ricordare che il Consiglio Superiore della Magistratura nel parere sulla riforma approvato con delibera del 15 settembre 2021 ha richiesto “la conservazione della collegialità nelle materie più sensibili e una più estesa utilizzazione del bagaglio professionale dei giudici onorari”. Lo stesso Consiglio Superiore ha poi avvertito come la disseminazione degli uffici del nuovo Tribunale unico, dalla sede distrettuale alle più numerose sedi circondariali, avrebbe richiesto un aumento di organico, di modo che la salvaguardia delle funzioni onorarie, che già afferiscono al bilancio dello Stato e quindi non richiedono aumenti di spesa, servirebbe ugualmente a facilitare l’attuazione della riforma a costo zero, senza particolare aggravio per i Tribunali ordinari.
- Quanta efficienza contro il pregiudizio?
Distinta dalla necessità di garantire la multidisciplinarietà con una composizione mista (togati e onorari) in tutte le materie in cui la decisione coinvolga diritti di minori, è discutibile anche la scelta di rimettere in sede circondariale tutta la materia della famiglia (con minori o senza) a un giudice monocratico. Non c’è dubbio che l’affievolimento della collegialità e la trasmigrazione verso modelli di concentrazione della pronuncia in capo a un solo soggetto della decisione, è una tendenza ormai consolidata dell’ordinamento. Di per sé non è una tendenza criticabile, fatta salva la considerazione che essa poggia più su ragioni di risparmio delle risorse, che di effettivo miglioramento del giudizio. Fin qui però erano stati lasciati salvi gli affari riguardanti le persone e la famiglia e il cambio di rotta che insegue la tendenza del giudice solo, non può che far discutere. Sul valore della collegialità della decisione si sono spesi fiumi di inchiostro e senza pretesa di ridurre le più autorevoli voci della dottrina ad una sintetica definizione, può senz’altro convenirsi che la decisione collegiale arricchisce il giudizio delle differenti posizioni dei decidenti, consentendo un’interazione funzionale alla valutazione del materiale istruttorio da diversi punti di vista, mediante prospettazioni differenti che inducono al ragionamento e all’approfondimento.
La collegialità, per questa via, è maggiormente garantista dell’attuazione dei diritti, per il contemperamento propositivo che ciascun giudice può apportare. La riduzione alla funzione monocratica è tanto meno coerente con i bisogni del processo minorile una volta che si è ritenuto di sopprimere, nella sezione circondariale, anche i giudici onorari; di modo che il decidente sarà da solo a gestire situazione complesse che avrebbero necessità di essere considerate non già con l’atteggiamento formalistico di un giudice regolatore del processo e asetticamente distributore dei torti e delle ragioni, quanto propositivamente rivolto alla soluzione concreta del caso con un’attività promozionale delle competenze e regolatrice delle azioni di recupero e di sostegno.
D’altra parte, la stessa legge delega, che disciplina il rito unico, prevede all’art. 23 lettera c), che il tribunale giudichi in composizione collegiale. Quindi davvero la delega appare distonica e contraddittoria, e non consente di ricondurre a una logica unitaria, l’dea che si deve avere del giudice delle persone e della famiglia. Appare infatti abbastanza inaccettabile come la logica di sistema ceda a soluzioni idealmente inconciliabili, a seconda che sia o meno istituito il Tribunale unico, lasciando che l’introduzione di questo faccia compiere il salto logico verso la monocraticità della decisione di primo grado.
Né questa è l’unica incongruenza delle delega, che anzi sono numerosi gli errori e le sviste, apportatori di disarmonie non recuperabili in sede di decreti delegati.
Cito rapidamente le dimenticanze sulle diverse competenze del Tribunale per i minorenni che non risultano trasferite al Tribunale unico. Mancano all’elenco le competenze “amministrative” e prima fra tutte quelle così denominate dagli artt. 25 e ss. del decreto legge n. 1404 del 1934, istitutivo del Tribunale per i minorenni; ovvero quelle altre che qua e là si trovano in normative speciali (come ad es. i procedimenti di autorizzazione all’ingresso e alla permanenza in Italia di stranieri familiari di minori che si trovano nel territorio nazionale, di cui all’art. 31 dlgs. n. 286/98, oppure l’autorizzazione ex art. 28 della legge n. 184 del 1983 per l’accesso alle origini dei soggetti adottati.
Più significativamente, la lett. c) attribuendo alla sezione circondariale le materie che riguardano “la famiglia, l’unione civile, le convivenze” adotta una formulazione abbastanza ampia e generica, e tuttavia riferibile a diritti confliggenti, di modo che potrebbe ravvedersi successivamente una carenza di delega nella mancata indicazione specifica dei c.d. ordini di protezione, che è materia dissimile dall’accertamento di diritti contrapposti e configura una sanzione civile nei confronti dell’abusante.
Se poi si guarda a come è costruito il rito unico dall’art. 23, esso appare unicamente concepito nell’ottica del conflitto fra i genitori, mentre si attaglia con difficoltà alle esigenze di protezione connesse all’intervento proattivo e recuperatorio che ora svolge il T.M. verso le persone minorenni. Ne risultano una pluralità di scelte disarmoniche che incidono fortemente sull’efficacia della tutela; non di meno ricorrono errori di coordinamento e palesi sviste che meritano una rigorosa riconsiderazione e una correzione puntuale. Si trovano nei distinti passaggi tra le fasi del giudizio che la delega si preoccupa di definire in dettaglio, con l’effetto di trascurare malamente l’esigenza di tempestività ed effettività con cui deve essere soccorso il pregiudizio dei minori in difficoltà e delle vittime degli abusi.
Ecco una breve rassegna limitata a temi che maggiormente si prestano anche una rivisitazione di principio:
- la lett. b) si occupa dei c.d. ordini di protezione ex art. 342bis c.c., Il procedimento è condizionato dall’impostazione della delega che, attribuendo agli adulti la gestione del processo esalta l’iniziativa di parte, e riconduce a una specifica “richiesta” anche la materia del contrasto alla violenza. Benché l’ultimo periodo estenda l’adozione degli ordini di protezione al Tribunale per i minorenni, manca un coordinamento con la successiva lettera e), perché le azioni ex art. 342bis c.c. non sono comprese fra quelle proponibili dal P.M.. E’ evidente l’aporia e con essa il grave vulnus alla difesa dei minori dagli abusi familiari in tutti i casi in cui ci sia connivenza degli esercenti la responsabilità. La facoltà del P.M. di ricorrere ex art. 330 c.c., che venga utilizzata per raggiungere indirettamente un risultato di protezione, non è sufficiente, sia per la specificità delle misure previste dall’art. 342bis e ter (anche in termini patrimoniali) sia perché non potrebbe comunque riferirsi al convivente che non sia genitore del minore.
- la lett. b) e la lett. c) hanno poi in comune il tema dell’ascolto del minore. E’ previsto che il giudice provveda personalmente ad accertarsi delle cause che determinano il rifiuto del minore a incontrare uno dei due genitori. La proposizione appare velleitaria e potenzialmente foriera di ulteriori danni psicologici. Essa corrisponde al principio ripetuto nella lettera c) che riserva al giudice “togato” l’ascolto dei minorenni. Nell’un caso e nell’altro la delega è frutto di un’impostazione culturale che mortifica la persona minorenne e l’esercizio dei suoi diritti. L’approccio è adultocentrico e l’”ascolto” viene infatti considerato come atto processuale con finalità probatoria. La delega contraddice i traguardi della riforma del 2012, che inserendo l’ascolto del minore fra i diritti della sua persona, all’art. 315bis c.c., ne ha riconosciuto il carattere sostanziale (e non processuale). Il minore deve essere ascoltato per quello che egli ha da dire nel suo interesse, e non perché serve a sostenere le domande delle parti in un processo (effetto che più propriamente deve essere rassegnato alla testimonianza). Non a caso si utilizza il termine “ascolto”, che vale a esprimere il diritto della persona minore di età di introdurre la propria opinione sulle vicende che lo riguardano, esattamente in linea con la normativa internazionale (e cioè l’art. 12 della convenzione di New York del 1989, e l’art. 6 della convenzione di Strasburgo del 1996): quindi un ascolto destinato a fare emergere i bisogni non a ripartire torti e ragioni fra contendenti processuali. Riportato a questa funzione primigenia ed essenziale, non è comprensibile la scelta della delega di una riserva “giudiziaria” per di più rimessa a un giudicante che ha una specializzazione esclusivamente giuridica, laddove l’ascolto è funzionale alla comprensione, alla accoglienza, al sostegno, al recupero. Si intende bene come in nome di un utilizzo delle parole del minore in chiave accusatoria o assolutoria di uno dei genitori, lo si trascini all’interno del conflitto, trasformando lo strumento diretto all’esaltazione della posizione di lui come persona, in un’occasione per reprimere lo spontaneo affidamento all’autorità che lo deve soccorrere ed esporlo a conflitti di lealtà, a una cruda rivisitazione dei vissuti, a una binaria affermazione processuale (si/no, vero/falso). A maggior ragione dissonante con la complessità dell’ascolto è la personalizzazione dell’ascolto in capo al giudice nel caso di abusi familiari, allorché la discussione si espone alla riemersione di traumi che vanno trattati con prudenza in contesti lontani dalle aule giudiziarie.
- la e) conferma l’intervento necessario del P.M.. La delega sembra aver perso l’occasione di una più corretta definizione della natura e dei poteri che qualificano l’intervento del P.M., non affrontando il tema molto discusso del suo ruolo ambiguo, che lo distingue dall’essere una parte del giudizio con poteri di iniziativa anche istruttoria. Certo, la possibilità di nomina di un curatore del minore, intende attribuire a costui la difesa più diretta del soggetto processuale debole, ma la nullità per la mancata nomina del curatore è rimessa all’impugnazione degli adulti (che potrebbero essere controinteressati alla scomoda presenza di un terzo), mentre una valorizzazione della parte pubblica assicurerebbe una tutela delle ragioni del minore in qualunque circostanza, e anche per differenza rispetto alle posizioni assunte dallo stesso curatore (ove nominato) nel processo. La marginalità persistente del P.M. è peraltro confermata dalla successiva lett. f) che non prevede la notifica dell’atto introduttivo al P.M. L’intervento della parte pubblica continua in questo modo a essere confinato spazialmente e qualitativamente in una dimensione di “convitato di pietra”, con annessa superficialità d’esame, e non poche difficoltà pratiche. Il raccordo informatico del P.M. ordinario grazie alla funzione consolle ora estesa a quell’ufficio, a parte alcune difficoltà di sistema che andranno superate per la sua funzionalità ottimale, non riguarda invece il P.M. minorile, che resta privo della conoscenza autonoma, immediata e completa degli atti di parte.
- La lett. f) disciplina il contenuto del ricorso. All’evidenza è un previsione che si riferisce essenzialmente ai conflitti familiari e andrà adattata ai ricorsi con finalità diverse e particolarmente a quelli de responsabilitate, specie se su iniziativa del P.M.. Al di là dell’imprecisione terminologica (“parte convenuta” che tradizionalmente corrisponde alla vocatio in ius della citazione, laddove trattandosi di ricorso sarebbe stata più esatta la definizione di “parte resistente”), la previsione della possibilità conferita al giudice relatore “di assumere provvedimenti di urgenza nell’interesse delle parti e dei minori prima dell’instaurazione del contraddittorio” costituisce una regressione gravissima nella realizzazione di interventi immediati di tutela. La successione procedimentale (particolarmente nei ricorsi de responsabilitate promossi dal P.M. minorile) consente attualmente al Presidente del Tribunale per i minorenni all’atto stesso dell’assegnazione, di emettere provvedimenti immediati e urgenti. Il T.M. è presidiato giornalmente da un giudice e in casi gravissimi adotta misure ad horas, di modo che lo spostamento esplicito del potere di emettere provvedimenti urgenti inaudita altera parte in capo al solo relatore, avrà l’effetto di negare la tutela nell’immediatezza con cui si manifesta il bisogno, proprio nei casi in cui maggiore è l’esposizione al pregiudizio. Paradossalmente quello che può fare un’autorità amministrativa ex art. 403 c.c., viene ad essere negato al Presidente del Tribunale per i minorenni.
- nella lett g) la delega lascia intendere la possibilità che il giudice introduca una limitazione surrettizia della responsabilità di uno dei due genitori, consentendo che non tutto ciò che riguarda la vita del figlio debba o possa essere condiviso accrescendo il potere dell’affidatario attraverso un obbligo di comunicazione limitato. Apparentemente la norma sembra raggiungere un effetto opposto alla sua proposizione: al genitore non affidatario, che pur non è limitato nella sua responsabilità, è riconosciuto un diritto di comunicazione limitato ai soli fatti obbligatori individuati dal giudice. L’affidamento viene a caratterizzarsi così come superesclusivo.
- con la lett. l) la delega riproducendo il modello tradizionale dell’udienza di comparizione dei coniugi nei processi di separazione, lo estende a tutti i giudizi interessati dal rito unico e per tutti ripropone l’esperimento di un tentativo di conciliazione affidato al Presidente. Il tentativo di conciliazione, già ampiamente criticato come retaggio paternalistico ispirato alla sacralità del vincolo coniugale, è nelle prassi di udienza, confinato alle formalità delle prime righe del verbale, Certo si è che, rispetto al difficile e lungo lavoro di ricomposizione della crisi per la quale sono necessari approfondimenti specialistici e una terapia di coppia dilatata a comprendere le ragioni della frattura, inducendo a una rielaborazione dei vissuti e a una critica agli agiti rispettivi, ben poco può chiedersi al giudice in una seduta di udienza. La delega, dunque, anche in questa parte è velleitaria e inadeguata. E’ all’evidenza errata, poi, con riguardo ai procedimenti de responsabilitate, a cui pure il rito unico viene esteso, afferendo a condotte disregolate e, al limite, illecite. Non di meno l’obbligatorietà della comparizione delle parti, con la previsione di sanzioni per la mancata comparizione, è davvero ultronea rispetto ai giudizi de responsabilitate quando la parte da dichiarare decaduta è spesso assente da tempo, a volte irreperibile, e quasi sempre priva di mezzi aggredibili dalla parte vittoriosa. Di modo che l’obbligo di comparizione finalizzato al tentativo di conciliazione appare ridondante e inutilmente foriero di appesantimento e allungamento dei tempi di definizione.
E a seguire più in sintesi:
- nella lettera m) l’attribuzione al “presidente” di emettere i provvedimenti provvisori, sentite le parti, è configurata sul modello dell’udienza presidenziale di comparizione dei coniugi nelle separazioni e divorzi, mentre negli altri giudizi di famiglia e minorile, il processo è già nella fase di trattazione da parte del giudice relatore, quindi la norma impropriamente obbliga a ricondurre la causa alla valutazione presidenziale;
- nella lettera n) la pronuncia dei provvedimenti urgenti da parte del giudice è collegata al “rifiuto di una delle parti a esperire la mediazione familiare”, laddove per sua essenza, la mediazione è atto consapevole e volontario;
- nella lettera r) il potere del giudice di formulare una “proposta” di piano genitoriale, sposta in una dimensione pattizia l’intervento necessariamente dispositivo della pronuncia del giudice;
- nella lettera dd) la nomina del curatore viene rimessa ancora a una valutazione caso per caso in luogo della generalizzata previsione di una partecipazione attiva della “voce” del minore come ripetutamente richiesto dalla giurisprudenza di legittimità.
Mi viene da dire che la riforma assomiglia a “uno specchio rotto”, secondo una suggestiva espressione che rubo a una collega siciliana: l’immagine si riflette frammentata e il vetro a pezzetti può solo ferire.
Dott. Riccardo Greco
Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari
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In Lombardia sono sempre di più gli adolescenti in comunità.
Ma mancano gli educatori con specifiche competenze.
In Lombardia sono quasi 800 i servizi residenziali per minori e circa 3.000 gli ospiti.
Aumenta l'età, 3 su 4 sono adolescenti o preadolescenti e la metà stranieri e diminuiscono i tempi di permanenza. Ai numeri e ai bisogni in crescita non corrisponde però la disponibilità di educatori professionali. Paolo Tartaglione di CNCA: “Chi gestisce comunità è preoccupato della carenza di educatori formati ad hoc. L'università si attrezzi per nuovi percorsi”.
A contraltare parte il prossimo 17 dicembre 2021 alla Bicocca il primo Master Universitario per specializzarsi nel lavoro educativo di comunità.
Milano, 26 ottobre 2021 - L’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza informa che, secondo gli ultimi dati, le comunità socio educative per minorenni in Italia sono 4.076, in netto aumento rispetto agli anni precedenti. In Lombardia il portale minoriweb a marzo 2019 ha rilevato 780 servizi educativi residenziali per minori con quasi 3.000 ospiti. Una netta tendenza che si accompagna ad un aumento dell'età media: i minorenni (e giovani adulti) che vengono collocati nelle comunità sono sempre più grandi (il 62,3% ha tra i 14 e i 17 anni, e l’11,5 tra gli 11 e i 13), e hanno tempi di permanenza in struttura sempre più brevi (nell’81,5% dei casi la permanenza è sotto i 24 mesi). Nel 2016 il numero di ospiti stranieri ha superato quello degli italiani.
A fronte di questo momento di forte trasformazione, le realtà del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA) della Lombardia che gestiscono comunità lamentano la carenza di educatori motivati e preparati per le nuove esigenze degli ospiti. “C'è bisogno di un maggior numero di educatori professionali motivati e preparati, e di una formazione pensata per una utenza molto diversa da quella di 10 o 20 anni fa” -afferma Paolo Tartaglione, Referente “Infanzia, Adolescenza e Famiglie” di CNCA Lombardia-. “Oggi gli Enti gestori di comunità sollevano con preoccupazione il problema della carenza di educatori disponibili a formarsi e a realizzarsi professionalmente in questi contesti”.
Il mondo universitario ha tardato infatti a raccogliere la sfida: da anni le facoltà di Scienze dell’educazione formano prevalentemente educatori che vogliono lavorare nella prima infanzia (0-6) o nelle scuole. Questa carenza è divenuta ancora più evidente nel momento in cui l’approvazione in Finanziaria 2017* di alcuni articoli fortemente voluti dalla Senatrice Vanna Iori hanno assegnato alla sola Classe di Laurea L19 (Scienze della Educazione e della Formazione) la possibilità di formare i futuri educatori, eliminando così la possibilità di incaricare operatori formatisi in altri corsi di Laurea.
Un segnale positivo è però l'imminente partenza del primo Master Universitario dedicato agli educatori che intendono specializzarsi nel lavoro educativo di comunità: “Le buone pratiche del lavoro educativo in comunità minori”, dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca
Qui la pagina del master con il programma e i dettagli della formazione
Tra gli Enti che patrocinano il Master, c'è Agevolando (https://www.agevolando.org/), Associazione costituita da giovani cresciuti fuori famiglia. Così il presidente Federico Zullo: “Lavorando da più di un decennio con i ragazzi e e le ragazze che escono dalle comunità educative e familiari abbiamo ben presente quanto sarebbe per loro più efficace poter disporre di competenze educative sempre più professionali a fronte di bisogni sempre più complessi. Le testimonianze di tanti ragazzi ce lo confermano: occorre preparare gli educatori con percorsi formativi e professionalizzanti più mirati e dedicati”.
Ribadisce Tartaglione:“Le sfide che gli ospiti delle comunità per minorenni pongono agli educatori sono sempre più alte, e meritano di ricevere una risposta all’altezza. Il lavoro educativo residenziale ha un fascino e una potenza senza pari, e ha bisogno che questa sfida sia raccolta da educatori preparati e motivati. Alle Università, e in particolare alle Facoltà di Scienze dell’Educazione, che dal 2017 sono le uniche titolate a formare educatori, chiediamo di ridare centralità alla formazione di professionisti motivati e preparati ad accogliere questa sfida educativa”
- Scritto da Ubiminor
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Roma, 15/10/2021
Prot. 103/U/IST/2021
Alla cortese attenzione del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario DRAGHI
Ministro del Lavoro e delle politiche sociali Andrea ORLANDO
Ministro della Giustizia Marta CARTABIA
Ministra Pari opportunità e famiglia Elena BONETTI
Commissione giustizia senato e camera
Ai capigruppo parlamentari
Al gruppo interparlamentare minori (tramite on. Lattanzio e on. Siani)
Alla Dott.ssa Carla Garlatti – Autorità Garante Nazionale Infanzia e Adolescenza
Alla Dott.ssa Cristina Maggia – presidente AIMMF Alla dott.ssa Grazia Cesaro – UNCM
Al dott. Gianmario Gazzi - CNOAS
Ai Presidenti dei Tribunali per i Minorenni, Loro Sedi
Alla Conferenza delle Regioni
All’Associazione Nazionale dei Comuni Italia
Riforma del processo civile:
disegno di legge “delega al governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata” - disegno di legge approvato con voto di fiducia dal Senato in data 21 settembre 21
Riteniamo che questa riforma non risponda all’obiettivo di migliorare la giustizia minorile a tutela dell’esigibilità dei diritti dei soggetti di minore età e delle loro famiglie.
Il disegno di legge sopra citato, prevede l’Istituzione del Tribunale unico per le persone, per i minorenni e per le famiglie.
L’istituzione del Tribunale Unico per i minorenni, le persone e le famiglie è senza dubbio obiettivo unanime, invocato da molti: istituzioni, magistrati, servizi sociali, educatori, coordinamenti, associazioni, soggetti singoli che a diverso titolo operano nel superiore interesse dei bambini/e ragazzi/e e le loro famiglie.
Non si tratta dunque di sostenere l’immodificabilità dell’attuale organizzazione del Tribunale per i minorenni stante l’indubbia necessità di ricomporre in un unico Organo l’intera materia afferente alla tutela e protezione del soggetto di minore età e delle famiglie.
La legge delega approvata dal Senato in data 21 settembre u.s., al di là di quanto impropriamente si potrebbe credere, non raggiunge l’obiettivo di riunificare la materia ma di fatto mantiene ancora frammentazione e una forzata separazione tra
- Competenze attribuite all’Organo circondariale (il tribunale Ordinario)
- Competenze attribuite all’organo distrettuale (l’attuale Tribunale per i minorenni)
Senza raggiungere l’obiettivo dell’unificazione: Si tratta quindi di una riproposizione delle “sezioni speciali” presso le sedi dei Tribunali Ordinario e delle Corti d’Appello, proposta già avanzata in passato e mai approvata stante le considerazioni e valutazioni critiche nel merito da più parti avanzate.
Quanto contenuto nella legge delega in merito al sistema ordinamentale della giustizia minorile non è condivisibile, impoverisce l’esercizio stesso delle funzioni della magistratura e non facilita l’accesso per i minorenni e le famiglie proprio perché non è esclusivamente la “vicinanza geografica” (garantita dalla sede circondariale) a costruire prossimità e ascolto nei confronti dei bambini, dei ragazzi, delle persone in situazione di fragilità , vulnerabilità, solitudine, abbandono, precarietà, disagio grave e molto altro.
Questa riforma approvata con tempi celerissimi, in pochi giorni, senza rendere possibile alcuna discussione o confronto con i soggetti, le istituzioni, le funzioni coinvolte non tiene conto che si tratta di materia estremamente delicata e complessa che richiede pluralità di sguardi e di competenza e in tal senso dovevano essere previsti tempi congrui e tavoli di lavoro integrati.
La riforma prevede che in sede circondariale e con giudice monocratico confluiscano tutte le procedure de potestate, quali i provvedimenti di valutazione della responsabilità genitoriale, le limitazioni o le decadenze dalla responsabilità genitoriale, gli allontanamenti, la decisione in merito all’affidamento familiare o all’accoglienza in comunità residenziale, oltre a mantenere la competenza attuale in merito a separazioni, divorzi ecc.
Appare evidente che questa riforma non migliora affatto il sistema sia sotto il profilo dei tempi (che si allungheranno sensibilmente tenuto conto che questa riforma non prevede risorse aggiuntive e è a “invarianza economico-finanziaria”!) né tanto meno sotto il profilo della complessità della decisione da assumere tenuto conto che in sede circondariale viene meno sia la collegialità (il magistrato è da solo a prendere la decisione) sia l’interdisciplinarietà, quale garanzia di ricomposizione di diversi sguardi e competenze necessarie per comprendere e assumere decisioni complesse che incidono sulla vita dei bambini e ragazzi e sulle loro famiglie. In tale contesto si assisterà a un ricorso ampio e generalizzato alle consulenze tecniche d’ufficio (CTU) con conseguenti pericolosi e incongrui allungamenti dei tempi delle decisioni nel superiore interesse del minorenne e della sua famiglia.
La collegialità e l’interdisciplinarietà – patrimonio di competenza dei tribunali per i minorenni – viene così dispersa senza alcuna ragione impoverendo nei fatti i processi di valutazione e di scelta del superiore interesse del minorenne e della sua famiglia.
Ci preme sottolineare che i procedimenti di cui stiamo parlando non possono essere pensati esclusivamente con la regola del contraddittorio tipica delle battaglie legali. Si è chiamati a decidere il futuro di minorenni in situazioni gravi, vulnerabili, maltrattati.. che vanno protetti e tutelati e solo la collegialità e l’interdisciplinarietà possono essere garanzia per l’assunzione delle decisioni nel loro superiore interesse.
Inoltre, siamo molto preoccupati da quanto prevede la legge delega circa l’ascolto del minore, funzione riservata al solo giudice e non delegabile.
Sappiamo quanto importante, delicata sia questa funzione. Sappiamo quante attenzioni vanno poste rispetto ai tempi dell’ascolto, ai luoghi dell’ascolto, al linguaggio; tutto questo sembra non garantito dall’organizzazione monocratica della funzione. Stiamo chiedendo al giudice monocratico di essere esperto in materia di ascolto (che non è un interrogatorio). Ci pare un impoverimento inammissibile e poco rispettoso del diritto all’ascolto competente del bambino e del ragazzo (pensiamo ad esempio ai bambini molto piccoli, ai bambini fortemente traumatizzati, che hanno tempi di comunicazione a volte lunghi…ascoltare questi bambini richiede competenza non solo giuridica).
Alla sede distrettuale (l’attuale sede del tribunale per i minorenni) viene attribuita la funzione penale e le procedure di verifica/dichiarazione dello stato di abbandono e quindi della apertura e dichiarazione dell’adottabilità. In tale contesto permane la collegialità (due giudici togati due giudici onorari) ma anche in questo caso - e per l’assunzione di decisioni così importanti – i Giudici Onorari non avranno diritto di voto nell’organo collegiale assumendo esclusivamente la funzione di esperti.
La sopracitata frammentarietà e separatezza tra sezione circondariale e distrettuale, è acuita ulteriormente dal trasferimento di competenza tra sezione circondariale e distrettuale nei casi in cui i provvedimenti si modificano afferendo a sezioni diverse. Solo a titolo esemplificativo e non esaustivo, laddove un provvedimento di apertura di adottabilità (competenza sezione distrettuale) si chiude ma permane un provvedimento di limitazione della responsabilità genitoriale il procedimento passa dalla sezione distrettuale (collegiale) alla sezione circondariale (monocratico) e viceversa.
E’ evidente che in tali contesti (peraltro non così rari) viene meno la presunta unitarietà del Tribunale unico e le persone (le famiglie, i bambini e i ragazzi) saranno “rimbalzate” da un organo all’altro con cambi di riferimenti e costretti – molte volte – a ricominciare da capo. Non è certo un miglioramento delle procedure, non ci pare rispettoso delle persone e comporta un’inevitabile allungamento dei tempi stante il già ricordato obbligo di “invarianza economica”.
Peraltro siamo convinti - condividendo quanto affermato dall’AIMMF - che “nessun organo giudiziario dedicato ai minori e alle loro famiglie può funzionare senza un parallelo rinforzo delle strutture del welfare esteso ad ogni parte d’Italia con una potente iniezione dimezzi e risorse ad un comparto che negli anni è stato sempre più depauperato, trascurato, aggredito e al contrario costituisce la struttura portante e ineliminabile di ogni serio intervento di supporto e sostegno alle famiglie fragili”.
Non riteniamo che quanto contenuto nella legge delega raggiunga l’obiettivo dichiarato di miglioramento del sistema di protezione e tutela di tutti i bambini e ragazzi presenti a qualunque titolo sul territorio italiano.
Pertanto chiediamo
- Che venga stralciata dalla legge delega la parte relativa alla giustizia minorile
- Che venga allo scopo istituito un tavolo di confronto interdisciplinare e interistituzionale rappresentativo di tutti i soggetti pubblici e privati competenti e attivi nell’ambito e nelle azioni di tutela e protezione dei minori per qualsiasi atto venga assunto anche a seguito e in attuazione della presente legge delega, ivi compresi i decreti delegati
Documento sottoscritto da SOS Villaggi dei Bambini, CNCM, CNCA, Agevolando, CISMAI.
Firme
CNCA - Presidente Nazionale Riccardo De Facci
CNCA - Responsabile Area Accoglienza relazioni familiari, diritto al futuro bambini, adolescenti, giovani - Liviana Marelli
CNCM - Coordinamento nazionale comunità per minori - Gianni Fulvi
CISMAI – Coordinamento italiano servizi contro il maltrattamento all’Infanzia - Giovanni Visci
SOS - Villaggi dei Bambini - Direttore Roberta Capella
Associazione Agevolando - Federico Zullo
- Scritto da Ubiminor
- Categoria: Comunicati
Il documento contenente gli esiti del lavoro del Gruppo Covid-19 Infanzia e Adolescenza dell'Osservatorio Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.