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19 marzo, Torino. Dentro la cornice del Teatro Nuovo, si celebrerà la Giornata Mondiale del Servizio Sociale 2019, promossa dalle organizzazioni internazionali ed individuata nel terzo martedì di marzo di ogni anno. Il titolo di quest’anno è “Promuovere l’importanza delle relazioni umane” e nella giornata si vuole porre l’attenzione sulla necessità di ulteriori azioni a salvaguardia di modelli relazionali sereni e consapevoli.
Il Consiglio dell’Ordine degli assistenti sociali del Piemonte ha organizzato l’importante iniziativa in collaborazione e con la partecipazione dell’Università degli Studi di Torino, dell’Università del Piemonte Orientale, con il patrocinio della Società italiana di Servizio Sociale (SOCISS) e del Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali che parteciperà all’evento torinese con un rappresentante.
Il programma individuato per la celebrazione della giornata nella nostra Regione prevede un approfondimento in prospettiva interdisciplinare sui temi del servizio sociale anti-oppressivo: gli assistenti sociali piemontesi ritengono non rinviabile, in un’epoca caratterizzata da deficit democratico, la riflessione sulle strategie - in atto e in divenire - utili a dare voce agli oppressi.
Forniranno chiavi di lettura teoriche e metteranno in luce questioni aperte relatori esperti: Elena Allegri (docente di Sociologia e Servizio Sociale - Università del Piemonte Orientale), Norma De Piccoli (docente di psicologia sociale e psicologia di comunità - Università degli Studi di Torino), Irene Dionisio (direttrice Lovers Film Festival, regista), Barbara Fantino (responsabile area disabili, Unione Net Settimo), Elisa Fornero (assistente sociale del Progetto Neutravel), Laura Ghedini (assistente sociale CSSV), Gioacchino Orlando (assistente sociale - associazione Quore), Daniela Ostano (assistente sociale ASL Città di Torino), Claudio Pedrelli (Consiglio nazionale Assistenti sociali), Cristiana Pregno (assistente sociale), Luca Romano (assistente sociale e Presidente OOP Piemonte AsProc), Federico Sabatini (docente di linguistica inglese - Università degli Studi di Torino), Francesca Zaltron (docente di Sociologia dei processi di integrazione sociale - Università del Piemonte Orientale). Le università saranno inoltre presenti con Roberto Albano (presidente CdS Servizio Sociale - Università degli Studi di Torino) e Anna Rosa Favretto (presidente CdS Servizio Sociale e Politiche sociali - Università del Piemonte Orientale). La Regione Piemonte sarà presente attraverso la voce di Monica Cerutti (assessora ai Diritti) e Augusto Ferrari (assessore alle Politiche Sociali).
Prima delle conclusioni, a cura del Consiglio nazionale e del Consiglio regionale, sarà messo in scena lo spettacolo teatrale “Figlie dell’epoca – Storie di (alcune) donne della grande guerra”, con l’attrice Roberta Bigiarelli.
Barbara Rosina (Presidente Ordine Assistente sociale Piemonte) precisa il senso dell’iniziativa: «Gli oppressi sono tutti coloro che si sentono privati della libertà di essere chi sono, si sentono sopraffatti, messi a tacere, non riconosciuti, vittime di soprusi, che sono privi – o privati – di diritti riconosciuti. Il 19 marzo si parlerà di bambini, membri della comunità LGBTQI, persone con disabilità, persone con una malattia, per proporre solo alcuni tra gli esempi possibili. Interessante la sollecitazione della professoressa De Piccoli, quando afferma che “siamo dinnanzi ad una contrazione dell’io personale e anche professionale”. Si rifletterà su quanto i ruoli sociali e professionali possano risultare schiacciati da una imperante burocratizzazione delle istituzioni e organizzazioni, da una legislazione e una normativa che rischiano di ridurre le professioni a meri esecutori di protocolli standardizzati, da un sentire collettivo che sembra escludere l’altro nelle sue caratteristiche e peculiarità. Siamo quindi tutti potenziali vittime dell’oppressione. Cosa fare quindi?».
«Dobbiamo assumerci alcuni obblighi, anche di carattere etico, - dichiara Rosina - per essere cittadini consapevoli e professionisti competenti. Innanzitutto per contribuire a contrastare i fenomeni di apatia e disaffezione alla politica e alle istituzioni dando sostegno e linfa a movimenti sociali di protesta, quali quello femminista, ambientale e pacifista. Non bisogna concorrere, neanche inconsapevolmente, a supportare dinamiche sociali, culturali ed economiche che creano povertà, emarginazione, disuguaglianza. Occorre riconoscere che la relazionalità non può essere reputata opzionale o poco importante, e riflettere su come viene agito il potere nelle relazioni di aiuto».
«Gli assistenti sociali - conclude Rosina - sono continuamente impegnati, all'interno delle proprie organizzazioni, in un’attività di sensibilizzazione sul significato del tempo: dobbiamo ristabilire il senso ed il valore del tempo dell'ascolto e dell'accoglienza. In assenza del giusto tempo, del riconoscimento delle competenze, si rischia di sostituirsi alle persone, depotenziando le loro capacità e riducendo l’autodeterminazione e, quindi, agendo in ottica oppressiva».
Carmela, Francesca Longobardi - Consigliere delegato alla Comunicazione esterna e ai Rapporti con i mass-media / tel: 333.4896751
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Preoccupazione per l’immagine corporea ed esiti del trattamento in adolescenti con anoressia nervosa
https://www.stateofmind.it/2019/03/immagine-corporea-esiti-cbte/
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La Giornata Internazionale della Donna, in Italia comunemente conosciuta come Festa della Donna, ha compiuto nel 2009 il suo primo centenario. La prima Giornata Nazionale della Donna fu festeggiata il 28 febbraio 1909 negli Stati Uniti, su invito del Partito Socialista Americano, che aveva designato questa data in memoria dello sciopero di migliaia di camiciaie newyorkesi che nel 1908 avevano rivendicato migliori condizioni di lavoro. L’anno successivo la ricorrenza arrivò anche nel Vecchio Continente: in occasione del Congresso di Copenaghen, si decise di istituire la Giornata Internazionale della Donna, per promuovere i diritti delle donne e contribuire alla campagna in favore del suffragio universale.
L’Ordine Assistenti Sociali del Piemonte prende parola per ricordare la forte connotazione politica della Giornata.
«In un’epoca storica – afferma Barbara Rosina (Presidente Ordine Assistenti sociali del Piemonte) – in cui si stanno facendo passi indietro rispetto al ruolo delle donne, alla violenza di genere, alle responsabilità genitoriali, occorre presidiare con più attenzione e rinforzare le azioni volte a contrastare l’uso di modelli solo apparentemente neutri. Solo per fare un esempio tra i tanti possibili, in fatto di misure di conciliazione bisogna considerare quale sia il loro impatto sui ruoli di genere e non solamente valutare la loro efficacia nel far fronte a necessità contingenti. Alcuni studi dicono chiaramente che una maggiore condivisione dei compiti di cura in famiglia produce un guadagno di salute per le donne del 26%».
Carmela Francesca Longobardi, consigliere dell’Ordine regionale nonché coautrice del romanzo “Non sono come tu mi vuoi” che racconta una storia di violenza di genere, dichiara: «Siamo dinnanzi ad una ri-genderizzazione dei ruoli maschili e femminili, ad un ritorno a ruoli sessuali di tipo tradizionale. Ed è anche per questo che è importante che lo Stato assuma una visione liberale, la sola capace di restituire dignità alle persone e alle loro scelte. Come esplicitato da Carofiglio in “La manomissione delle parole”, dire No è un atto di ribellione molto potente e per nulla violento. È una ribellione del pensiero, il punto di partenza di un cambiamento che nasce dal rifiuto di uno stato di fatto, di una condizione nella quale non ci si riconosce più. Come professionisti dell’aiuto e come donne, impariamo ad assumere la posizione del ‘no’».
Carmela, Francesca Longobardi - Consigliere delegato alla Comunicazione esterna e ai Rapporti con i mass-media / tel: 333.4896751
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Giovani e suicidio: fattori di rischio
https://www.stateofmind.it/2019/03/adolescenza-suicidio-rischio/
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Migranti, minori a rischio e sempre meno tutelati
https://ilbolive.unipd.it/it/news/migranti-minori-rischio-sempre-meno-tutelati
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Contro il bullismo scegliamo i veri amici
https://www.corriere.it/sette/19_febbraio_15/contro-bullismo-scegliamo-veri-amici-c941a830-3119-11e9-a4dd-63e8165b4075.shtml
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"I problemi che alcuni minorenni manifestano con comportamenti violenti o devianti non possono essere trattati con il ricorso al carcere, ma piuttosto con politiche e interventi sociali ed educativi appropriati", dichiara Liviana Marelli, responsabile Infanzia e adolescenza del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA). "Il disegno di legge presentato alla Camera dei deputati che intende abbassare l'età imputabile da 14 a 12 anni, è inaccettabile per diversi motivi. In primo luogo, contrariamente a quanto dichiarato nella relazione di accompagnamento al ddl, non c'è alcuna emergenza criminale che riguardi i minorenni: il tasso di minorenni denunciati nel nostro paese è molto più basso di quanto riscontrato in parecchi altri paesi europei e il livello della recidiva minorile in Italia risulta essere fra i più bassi d'Europa. E' inopportuno e sbagliato affrontare casi specifici, e circoscritti, che hanno colpito l'opinione pubblica chiedendo un cambiamento di sistema che non trova alcuna giustificazione e che non tiene conto dell'esperienza condotta in questo ambito sia dalla magistratura minorile sia dagli operatori del settore."
"E' evidente, poi", continua Marelli, "che la gran parte delle situazioni che hanno rilievo sui media evidenziano le gravissime responsabilità dello stato circa l'assenza o l'insufficienza di investimenti per le politiche sociali a favore di minorenni, famiglie e contesti sociali determinati, in materia di prevenzione, inclusione, educazione. La colpevole assenza di sostegno alle comunità locali, agli ambienti di crescita, all'educazione (scuola in primis), alla formazione, e l'assenza di futuro e di prospettive credibili che si riscontrano in particolar modo in alcuni contesti non si può risolvere fomentando paure e ricorrendo a pseudo-risposte di ordine penale – punitive e detentive – per bambini di 12 e 13 anni."
"Infine," conclude Marelli, "va ricordato che già esistono oggi, nell'ordinamento, forme di intervento per i bambini di età inferiore ai 14 anni che manifestano difficoltà o atteggiamenti a rischio sociale, come l'inserimento in comunità educativa. Invece di prevedere misure punitive per i bambini, occorre piuttosto sostenere gli adulti nel loro ruolo educativo e ampliare il ricorso a forme alternative alla detenzione e di giustizia riparativa per tutti i minorenni inseriti nel circuito penale."
Roma, 21 febbraio 2018
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L’Associazione Italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia
Sul Disegno di legge n.1580 recentemente presentato alla Camera dei Deputati dall’onorevole Cantalamessa e da altri parlamentari con cui si propone la modifica del DPR 448/88 codice del processo penale minorile introducendo l’abbassamento dell’età imputabile da 14 a 12 anni nonché l’eccezione alla regola della diminuzione di pena nel caso del reato di associazione mafiosa commesso dai minorenni
rileva
che i presupposti su cui poggiano le considerazioni dei proponenti la modifica legislativa non trovano riscontro nei dati a disposizione del Ministero della Giustizia e in quelli risultanti dal confronto con gli altri Paesi europei, dall’esame dei quali emerge una situazione della giustizia penale minorile italiana stabile quanto ai numeri, se non in calo , e in ogni caso di gran lunga meno allarmante di quella relativa a sistemi giudiziari che hanno da tempo fissato un’età per la punibilità penale molto precoce come il Regno Unito, la Francia, gli USA, l’Olanda
evidenzia
come l’enfatizzazione mediatica di determinate situazioni riconducibili alla locuzione di “baby gang” abbia comportato una presunta percezione di insicurezza che non ha evidenze nei fatti, dal momento che le vicende riportate dai media sono da ricondurre a situazioni territorialmente circoscritte e molto particolari
ricorda
che in ordine a tali situazioni il CSM è intervenuto con un’analisi approfondita espressa nella delibera del 31 ottobre 2017 “per la tutela dei minori nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata “ da cui si evince il valore e la qualità del nostro processo penale minorile, ritenuto un modello sul piano europeo e internazionale , e dell’intero sistema di Giustizia Minorile modulato sulle Linee Guida del Consiglio d’Europa del 2010,
ribadisce
la presenza nel nostro sistema della possibilità di un intervento, anche assai afflittivo, da parte dell’Autorità Giudiziaria nei confronti del minore infra-quattordicenne deviante nell’ambito di procedure amministrative o civili con le quali possono essere adottate incisive misure di contenimento della condotta fino al collocamento in una comunità 2 sulla base, tuttavia, di ragionevoli e funzionali finalità di accompagnamento educativo e di percorsi di sostegno e di diversione da ambienti marginali e di criminalità
ritiene
che non sia per nulla produttivo di benessere sociale un ampliamento dell’azione penale nei confronti di soggetti fortemente immaturi e, di fatto, gravemente deprivati nel percorso di crescita
ribadisce
con forza la necessità che lo Stato garantisca a tutti i soggetti di età minore in condizioni di disagio, devianti o meno, non già punizioni bensì risorse ambientali, scolastiche, educative, tese al recupero psicologico, al sostegno pedagogico alle famiglie, al rinforzamento dei percorsi di inclusione e integrazione, al reperimento di alternative esistenziali per il minore privo di un valido contesto familiare e sociale, che siano omogenee su tutto il territorio nazionale, condizioni senza le quali nessuna sanzione potrà avere alcuna efficacia
propone
per il trattamento più specifico delle violazioni degli infra-quattordicenni e non solo, l’obbligatorietà di interventi di mediazione penale , scolastica, di comunità, nel corso dei quali siano coinvolte anche le famiglie, con un ritorno di “educazione al rispetto” per i minori ma anche per gli adulti di riferimento
esprime
quindi parere fermamente negativo in ordine al disegno di legge n.1580.
Roma 18.2.2019
Il Segretario generale Il Presidente
Susanna Galli Maria Francesca Pricoco
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Il difficile compito di dare delle regole agli adolescenti
https://it.aleteia.org/2019/02/06/difficile-compito-di-dare-regole-ad-adolescenti/
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Uno stato di completo ritiro sociale, così lo psichiatra giapponese Saitō (1998) caratterizzò la condizione degli hikikomori (in giapponese "stare in disparte"), quei ragazzi - per lo più adolescenti - che si isolano nella loro stanza, rinunciando a tutto e tutti. Negli anni 2000 questa manifestazione psico-sociale si è mostrata anche al di fuori della cultura giapponese. Anche in Italia il fenomeno era ancora poco conosciuto ma si è diffuso progressivamente: solo nella nostra regione l'Ufficio Scolastico Regionale dell'Emilia-Romagna con lo studio Adolescenti “eremiti sociali” (http://istruzioneer.gov.it/wp-content/uploads/2018/11/2018-nov-6-alunni-ritirati-in-casa-ALLEGATO.pdf) ha rilevato 346 segnalazioni (164 maschi e a 182 femmine) da parte degli istituti scolastici. L'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna analizza il tema, per chiarire alcuni fraintendimenti, aiutare a individuare i primi sintomi e suggerire possibili soluzioni.
Questo fenomeno, che non deriva da un disturbo mentale preesistente e non è assimilabile ad altre situazioni apparentemente simili, potrebbe avere cause diverse - caratteriali, sociali e familiari - o essere il risultato di una serie di concause. Il denominatore comune è dato sia dall’isolamento - dovuto soprattutto alla paura del confronto con l’altro - che può durare mesi o anni, sia dal fatto che è una manifestazione che non si risolve spontaneamente.
Nel nostro Paese, l'identikit dei ragazzi hikikomori è quello di un giovane tra i 13 e i 25 anni, di famiglia benestante, spesso figlio unico di genitori separati. In molti casi si tratta di ragazzi senza problemi di rendimento scolastico, eppure tendono a chiudersi, fino a farlo completamente. Si tratta di una modalità difensiva psicologica, messa in atto volontariamente e in modo consapevole per far fronte alle eccessive aspettative sociali tipiche della società odierna, sempre più caratterizzata da un’esasperata competizione, tesa a rincorrere e superare l’altro.
Quando il divario tra la percezione di sé e le sollecitazioni di genitori, insegnanti e coetanei, avvertite come pressioni psicologiche, diventa troppo grande, i ragazzi possono sperimentare sentimenti di impotenza, perdita di controllo e di fallimento. Questi sentimenti negativi possono portare a un atteggiamento di rifiuto verso tutte le situazioni relazionali avvertite come cause di malessere, portando i ragazzi a difendersi autoescludendosi nel tentativo di proteggersi dal mondo esterno, del quale temono il giudizio.
Si rifiutano di uscire, di vedere altre persone e di avere rapporti sociali, vivono interamente nella loro stanza. La camera diventa il rifugio dove leggere, disegnare, dormire, mangiare, giocare con i videogiochi, chattare e navigare su internet e dove salvaguardarsi dal sentimento della vergogna che nasce dal timore di non essere all’altezza delle aspettative. Un hikikomori, passando molto tempo nello stesso spazio, l’ambiente-stanza, ripetendo la stessa routine quotidiana e le stesse attività, si costruisce un mondo che gli può apparire come l'unico possibile per sé.
La sindrome di hikikomori non è riconosciuta come malattia, è un disagio che se non curato può portare a una situazione patologica. Spesso viene scambiata erroneamente con altre psicopatologie come la dipendenza da internet, la depressione e fobia sociale. Queste, dopo un lungo periodo di isolamento, possono manifestarsi, ma questi stati sono l’effetto non la causa.
L’inizio e la fine delle scuole superiori sono tra i momenti di maggiore rischio per l'insorgere del problema, perché i ragazzi si trovano a confrontarsi con contesti nuovi e, contemporaneamente, l’impegno per le scelte che indirizzeranno il loro futuro sociale e lavorativo richiede un’importante messa alla prova psicologica. Il primo allarme può essere rappresentato da frequenti assenze da scuola, altri segnali possono essere, oltre alla autoreclusione nella propria stanza, l’inversione del ritmo sonno-veglia e la preferenza per le attività solitarie.
Commenta Anna Ancona, Presidente dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna: "avere un figlio hikikomori è una sfida difficile per i genitori. Richiede un impegno quotidiano, soprattutto psicologico, che spesso necessita di un supporto mirato. Sono di fatto i genitori a chiedere l’intervento che avverrà nelle forme e nei modi che ciascuno psicologo riterrà opportuno, compresa la possibilità di recarsi a domicilio. Il ragazzo non vede il motivo per chiedere aiuto allo psicologo: a suo dire sta bene, avendo eliminato all'origine le fonti del proprio disagio. La presa in carico psicologica di una persona che decide di autoescludersi, di rinchiudersi nella propria stanza, è un lavoro complesso e delicato. Condurre il ragazzo fuori casa non deve essere l’obiettivo principale della relazione 'terapeutica'; inizialmente è fondamentale poter stare insieme a lui, entrare nel suo mondo per favorire, rispettandone i tempi e attivandone le risorse, un cambiamento sia al livello del pensiero che dell’azione. L’accompagnamento verso il mondo esterno può avvenire solo successivamente, quando il giovane sarà in grado di affrontare progressive esperienze relazionali che ne favoriscano lentamente il reintegro nella società".
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