Qualche tempo fa una donna italiana in stato di delirio è stata fermata con due bambine nella stazione di una grande città. Lì vivevano da alcuni giorni allo sbando. Le bimbe, palesemente denutrite, sono state affidate ad una famiglia che le ha accolte mentre alla mamma è stato chiesto di riprendere le cure che aveva interrotto.
Mille treni sono lenti, uno va veloce.
Io batto i denti, non ho più voce.
Va forte il treno, lo guardo sfrecciare.
Solo il cielo è sereno. Sogno di scappare,
di sentirmi cercata e iniziare il viaggio
col tenente o la tata che troverà il coraggio.
Più coraggio di me, che ho un coraggio bambino.
Mi risveglio sul tre e vi faccio un inchino.
Vedo i treni partire, noi qui ferme in stazione.
Troppe cose da dire, tanta la distrazione.
Cinque anni soltanto, qui viviamo da poco
e mi resta il rimpianto del mio cane e del gioco
che è rimasto in paese mentre mamma ci guida,
ci riempie di offese, ci strattona e ci sgrida.
Beve forte mia madre e non cucina per niente
picchia forte mia madre, non mi vede, non sente.
Più nemmeno sa il volto di un signore che un giorno,
con lei poco coinvolto, ci ha portate nel mondo.
Qui si dorme all'aperto ma io sogno ugualmente:
era in corso un banchetto, c’era pieno di gente.
Era il mio compleanno - sono incerta sul giorno -
io non ero in affanno, cominciava il ritorno.
Mi aspettava un bel pranzo, un abbraccio, una doccia.
Si riscrive il romanzo, la mia vita che sboccia
nella nuova dimora dove ci hanno portate,
dove infine s’impara a esser bimbe, e amate.
Penso, a volte, alla mamma anche se non la vedo.
Mi vorrebbe, la mamma, anche se non le credo.
È la fine del mondo questo sogno incantato.
Dopo un bel girotondo ci mangiamo un gelato?
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche