Adolescenti senza un contorno sono quei ragazzi in transito tra identità diverse, che commettono errori, troppo grosso il carico di integrare parti diverse di sé. Spesso sono ragazzi italiani di seconda generazione ma non loro soltanto. Gli parli e vedi i sogni interrotti – quelli dei genitori, i loro – vedi i tentativi non capiti, la gara a ostacoli della vita in Italia, le scorciatoie tentate e rinunciate. E ti sembra di intravedere qualcosa, per esempio che aprire gli occhi alle cose come sono e sciogliere la lingua all’italiano sarebbe, dai loro genitori, un viatico di miglior futuro. Ma serve a poco, e poi come puoi prescriverla una cosa così?
Tutti mi dicono
un perdigiorno.
È che io sono
senza contorno.
So quel che dico.
Sulle colline
ho qualche amico,
non un confine.
Mio padre è fuori
lavora duro.
Saran dolori
questo è sicuro
se verso sera,
a casa, sfiancato,
scopre che sono
stato cacciato
da quella scuola
che non mi piace.
Lui a squarciagola
urla, lei tace.
È lui il padrone
ma non punisce.
Mi ha dato il nome,
prega, intuisce
che nelle vene
ho sangue impuro.
Niente mi tiene
e io spergiuro
se per buon vivere
vengo a firmare
che voglio smettere
di bambanare.
Sì, adolescenza,
sì, immigrazione,
sì, la mancanza
di direzione.
Disintegrato,
forse ho tradito,
forse ho sbagliato
e ora ho capito.
Perciò divago.
Non voglio imparare
quello che pago
per ritornare.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche