C’è una distanza tra il vissuto e il desiderato, e per alcuni è uno iato insopportabile. Odioso, ma non incolmabile.
Le strategie si trovano. Anche al prezzo del proprio rispetto di sé.
Io non mi capisco
non mi riconosco
non lo concepisco
però poi colpisco.
Rubo un po' per vizio
sfida o forse sfizio.
Vedi là, quel tizio?
Gli farò un servizio.
Non ne faccio un vanto,
non pretendo tanto.
Un cappello, un guanto
se mi passa accanto.
Ho un papà normale,
sgobba, è manovale.
Mamma poi è gioviale
ma non sa parlare.
Lui non mi può seguire
lei non può capire
e se voglio uscire
non lo può impedire.
Esco per ballare,
amo esagerare,
feste a non finire
buone per stordire
e se lui mi abborda
io non lo allontano,
chiedo, sono ingorda
e nella mia mano
scivola un gioiello
rotola un assegno
svelo sul più bello
qual è il mio disegno.
Sono minorenne!
Ora sei sorpreso?
Lo dirò a tua moglie.
Mah… Ti vedo teso.
Vedi quel mio amico?
Eccolo, è il cassiere.
Dagli quel che dico
e proverò a tacere.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche