Il papà, sentito in carcere dove è rinchiuso per spaccio, lo ha detto con semplicità disarmante:
“Mi ha chiesto un consiglio per spacciare nella mia città e io gli ho dato un numero di telefono ma che c’entra, mica ci ho guadagnato. Ho solo aiutato un amico”.
Un pover'uomo che perde il suo lavoro
e deve mantenere una famiglia
arriva a fare a pezzi il suo decoro
e fa anche quello che non gli somiglia.
Questo è successo con la cocaina
e sia ben chiaro, in casa non entrava
né la sniffavo io, era in cantina
per qualche disgraziato che comprava.
In casa mia non l'ho voluta mai
e non perché io fossi stravagante:
sapevo che portava solo guai
e in fondo al cuore era ributtante
sapere di campare con lo spaccio,
io che volevo solo star sereno.
Sapere che in agguato c'è un fattaccio
anche se tasti il portafoglio pieno.
M'hanno arrestato, e poi in domiciliare
e una seconda volta qui in prigione
ma il giudice ha sbagliato a giudicare.
L'ultima è stata... un'indicazione.
L’amico mio m'ha chiesto un po' d'aiuto,
aveva qualche cosa da smerciare.
Gli ho dato un nome, ho sempre avuto fiuto,
“Di' che ti mando io, ti puoi fidare”.
Beh, m'hanno preso per complicità,
a me che sono solo un buon amico.
Ma qui si dubita della mia onestà.
È un pregiudizio, ecco che ti dico.
Come se io ti indico una strada
e poi tu vai a fare un incidente,
ci scappa il morto, ma comunque vada
io lì non c'ero, io non c'entro niente.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche