Alcune donne amano visceralmente i bambini, difatti ne mettono al mondo tanti, magari ognuno con un padre diverso, e gli uomini, uno peggio dell’altro. Difficile far sentire che espongono non soltanto se stesse, anche i loro figli, a vicende familiari durissime.
Il mio primo bambino
ha un papà assassino
e domani prima di sera
lo incontrerà in galera.
Il secondo che mi è nato
ha un babbo alcolizzato
che lo spaventava spesso
perché beveva in eccesso.
Il terzo bimbo che ho avuto
non è stato riconosciuto
e il padre putativo
è un esempio negativo.
Dell’ultimo, che posso dire?
Lo amo da morire
ma col padre ho perso i denti
a furia di maltrattamenti.
Non mi accusi, Vostro Onore,
se ho sfortuna nell’amore.
Io mi fido, sì, lo ammetto,
è il mio massimo difetto.
Ma se ho fatto una sciocchezza
è per troppa tenerezza.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche