Voi pensate che i bambini
stiano dove li metti.
In ludoteca e ai giardini
facciamo incontri protetti.
Io ci vado obbligata.
Pomeriggi in fumo
e mi sento ignorata
non mi ascolta nessuno.
Ma ho una sorellina
ci vado per lei
è ancora una bambina
non mi perdonerei
se le facesse male
perché la paura c’è ancora.
Lui ci sa spaventare
in molto meno di un’ora.
Psicologa e assistente
non lo volete capire
forse non conto niente
ma ve lo voglio dire
che io ricordo bene
cosa faceva mio padre
e rivivo le scene
in cui picchiava mia madre.
Io so che l’ho difesa
e avevo 9 anni.
Vi dico, senza offesa
che ancora porto i danni
e anche quando i lividi
son scomparsi dalle braccia
sono rimasti vividi
i ricordi. Volete che taccia?
Perciò non l’ho abbracciato
e non mi dovete stressare.
Lui non si è mai scusato.
Perché dovrei perdonare?
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche