La notizia è del 2.03.17. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per non essere intervenuta in un caso di violenza familiare. La moglie lo aveva denunciato ma a questo non erano seguiti provvedimenti e, in un ennesimo litigio, quando il figlio è intervenuto a difendere la madre, il padre ha ucciso il ragazzo. La moglie, ferita, è riuscita a mettersi in salvo.
CEDUnque una corte
che ha emesso il verdetto.
La sua voce è forte
il verbo è perfetto.
Lo Stato italiano
è stato carente
non ha posto mano
a un dramma evidente
di lui, maltrattante
e già denunciato
che in un solo istante
il figlio ha ammazzato
perché ha protetto
la madre ferita.
Ferita, scommetto,
per tutta la vita.
La logica è chiara
la CEDU ha ragione
ma il tema richiama
un’altra questione:
se c’è l’intervento
- dirò, preventivo -
di allontanamento
il giudice è cattivo
ma dopo un delitto
ahimè, così atroce
nessuno sta zitto
non basta la voce
a condannare lo Stato
che non ha fatto niente
e ha rinunciato
ad essere invadente.
Siamo bravi, va ammesso,
a sputare sentenze
quando tutto è successo
e ci son le evidenze.
La vera scommessa
è arrivare prima
accettando l’incertezza
presente in ogni stima.
C’è un margine d’errore
che va messo in conto
se devi prevedere
come gira il mondo.
Fermare la violenza
richiede anche questo:
accettare l’invadenza
di un giudice onesto.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche