E tu che cosa guardi?
Non sono mica un bambino.
Se mi va faccio tardi.
Non venirmi vicino.
Quattordici i miei anni
ma tutti di macerie.
Tengo il conto dei danni
e affronto le intemperie.
Se mi prendi io scappo.
Se mi blocchi ti affronto.
Il dolore avrà un tappo
nella rabbia e nel conto
che propino ai miei “cari”
se così vogliam dire.
Fanno gli autoritari?
Sono i primi a tradire.
Io sì, mi faccio sbattere
da dieci in una sera
ve ne dovete fottere
di me e della galera
(qualora mi toccasse)
per la roba che spaccio.
Ingarbugliate matasse
per scordare il fattaccio.
Mi viene mal di testa
se penso a cosa ho fatto.
Per questo faccio festa
e giro strafatto.
Più niente mi tormenta
io non prego nessuno
e niente mi spaventa
forse solo quel bruno
che per la cocaina
mi rincorre da giorni
ha un coltello vicino
e pretende i suoi soldi.
E all’uomo che mi chiede
il corpo flessuoso?
Io cedo. Lui non vede
che vado a ritroso.
E poi le tasche vuote
Si riempiono di sdegno.
Tocco le banconote
m’illudo sia un guadagno.
Non so se questa vita
più mi piace o mi uccide.
Mi gioco la partita.
La mia bocca sorride.
La mia bocca è già pronta
per il prossimo “amico”.
Si cancella l’impronta
di tutto ciò che non dico?
La filastrocca appartiene a un gruppo di "Filastrocche dello sgomento e dello spiraglio", riferite a una identica situazione. Nella prima parla la madre, nella seconda la nonna, Nella prossima, l'educatrice.
Questo il testo introduttivo:
Dei ragazzi di strada qualche cosa sappiamo. Le fogne di Bucarest, le periferie metropolitane. È diverso averne uno davanti, sentirlo raccontare - come fosse lui il più potente - i tratti ripetuti della sua sottomissione.
Il ragazzo ha 14 anni e viene dall’Europa dell’Est. La mamma e la nonna sono la lente d’ingrandimento della nostra impotenza, lui nasconde le lacrime sotto il cerone. Più che in tante altre vicende, non è stato facile ascoltare.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche