Io lavoro in un centro educativo
sono tanti i ragazzi che incontriamo
con ognuno ripeto il tentativo
di ascoltarli e dire che ci siamo.
Lui è entrato come un gatto selvatico:
annusava, sgusciava con prudenza.
Ci annusava, sveglio, simpatico
lentamente diventava una presenza.
Ascoltare non è sempre lo stesso
e con lui, lo ammetto, è stata dura.
Spero sempre che torni e, come adesso,
tengo d’occhio la porta con premura.
Oltre a me c’è l’assistente sociale,
fa di tutto per dargli una mano.
Di recente si è aggiunto il tribunale
che non è più un soggetto lontano.
È un pasticcio la vita che conduce.
Lui ne parla e ostenta indifferenza
ma pian piano tra noi si introduce
una specie di confidenza.
Questo ancora non lo ferma con la droga
né lo toglie dalla prostituzione.
Gli rimando con affetto e con foga
che la vita è una buona ragione.
Certo imporsi con lui non servirebbe
mille volte mi ha detto di già
che lui sicuramente scapperebbe
da qualsiasi comunità.
Così occorre tentare un accordo
benché sia poco più di un bambino
per strapparlo lentamente dal gorgo,
negoziare e stargli vicino.
Lui promette e chissà se mantiene.
Di sicuro si è aperto uno spiraglio.
Una rete sottile lo sostiene
e speriamo non sia tutto un abbaglio.
La filastrocca appartiene a un gruppo di "Filastrocche dello sgomento e dello spiraglio", riferite a una identica situazione. Nella prima parla la madre, nella seconda la nonna, nella terza il ragazzo.
Questo il testo introduttivo:
Dei ragazzi di strada qualche cosa sappiamo. Le fogne di Bucarest, le periferie metropolitane. È diverso averne uno davanti, sentirlo raccontare - come fosse lui il più potente - i tratti ripetuti della sua sottomissione.
Il ragazzo ha 14 anni e viene dall’Europa dell’Est. La mamma e la nonna sono la lente d’ingrandimento della nostra impotenza, lui nasconde le lacrime sotto il cerone. Più che in tante altre vicende, non è stato facile ascoltare.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche