Qual è la distanza giusta tra una ragazzina e il padre che per anni l’ha abusata coinvolgendola in giochi sessuali ripetuti? C’è chi pensa a “salvare la parte buona”del papà e predispone incontri vigilati, padre-bambina, con buona frequenza. Sotto gli occhi si svolge una dinamica che è ancora seduttiva e perciò abusante, e non se ne avvede.
Ancora mi accarezza
con dolcezza
nel tempo di un’ora.
Questa signora
che sta, si fa per dire, a vigilare
non sa captare
il tratto serio della nostalgia.
Che ironia.
Mio padre mi ritrae, e il suo disegno
è come un pegno.
Lo appendo nella mia cameretta?
E senza fretta
mi perdo a ricordare
a rievocare
i compiti, le altalene
e il suo pene
molliccio, carne rosa.
Ero curiosa.
Io so quel che è successo
eppure, spesso
mi affaccio al precipizio
ed è un supplizio.
E poi tante domande.
Tu che sei grande
mi annebbi la comprensione
la direzione.
È insieme, è mescolato.
Mi ha violentato
e un po’ mi vuole bene
Stavamo insieme.
Per anni è andata avanti.
Ora, distanti,
non so cos’ho vissuto
in quale imbuto
mi stringe e fa temere
schifo e piacere.
Ero bambina.
Chi è grande non lo indovina.
Io ragazzina
non so come contenere
schifo e piacere.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche