Ormai fa parte dell’estate, come la siccità e le zanzare. Bimbi dimenticati dai genitori, in automobile trovano la morte, o ci vanno molto vicino. Non è un fatto solo italiano, negli Stati Uniti ce l’hanno ben presente e lo spiegano – perché negli Stati Uniti spiegano tutto – con una particolare forma di amnesia dissociativa. Questa filastrocca è per loro, con una modesta proposta.
Arrostiti, bolliti
prosciugati, lessati.
Così sono finiti
i bimbi dimenticati.
Succede a luglio e agosto
in ogni paese
e sempre non capisco,
ma il dramma è palese.
Un bimbo non è un fiore.
Non cresce bene in serra.
Sotto vetro muore
il suo respiro si ferma.
Parlo senza giudizio
verso quel genitore,
ho appena un vago indizio
di tutto il suo dolore.
Una volta campeggiava
sul vetro posteriore
perché comunicava
con l’altro guidatore.
Mettiamola davanti
la scritta “bimbo a bordo”,
aiuterebbe tanti
a ravvivare il ricordo.
Hai chiuso il rubinetto
del gas prima di uscire?
Hai dato aria al bimbetto
per non farlo appassire?
La scritta azzurra o rosa
andrebbe in suo soccorso
perché non è una cosa.
Evitiamo il rimorso.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche