Affido alle filastrocche tante voci, in una piena ho messo in scena la mia.
“E se hai qualcosa da dire tu dillo adesso, non aspettare che ci sia un momento più conveniente per parlare…” (Niccolò Fabi)
Mi offende
chi non comprende
chi tratta un bambino
come un cretino
chi nega l’abuso
ed è colluso
chi veste di decenza
ogni violenza
chi ammette le cinghiate
come sgridate
e uccide i desideri
quelli più veri.
Mi offende a non finire
il non sentire
e tutta questa ovatta
chiusa, compatta
che assorbe la tua voce
assurda, veloce
e nega il nutrimento.
È caos, è sgomento.
Ma come far fruttare
questo ascoltare
se accade anche domani
vuote le mani
accade senza tregua
e c’è chi nega
accade, non dà pace
e forse piace.
“Un chilo di allegria
bambina mia.
E mo’ non disturbare
tengo da fare”.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche