Vivi una gravidanza serena e al parto succede qualcosa – il tempo di un attimo – che sconvolge per sempre la vita del tuo bambino e la tua. Questo è accaduto e la prima reazione di una mamma può essere il rifiuto. Della realtà, di una disabilità pesante come una condanna a vita, e del bambino che porta tutto questo nella carne. Poi il bimbo sorride con la fiducia infinita di ogni neonato e tutto si confonde, colpa dolore rabbia tenerezza desiderio... Ma questo verrà poi.
Il mio bambino l’ho sognato tanto
però il giorno che è nato non ha pianto.
Ha avuto qualche istante di asfissia
e qui comincia la nostra agonia.
Come ogni mamma volevo dargli il seno.
L’incubatrice non è un luogo sereno.
Tutti quei tubi, la flebo, le sonde
su un corpicino è cosa che confonde.
Il suo aquilone non ha vento per volare
il mio bambino non potrà correre, parlare.
Mi riconosce e qualche volta sorride.
Ristagna il sogno, è un peso che mi uccide.
Lui vuole coccole e io non sono pronta
ad abbracciare un figlio di scorta
e poi mi pento, è dura la condanna
quando c’è un figlio ma non c’è una mamma.
Io non mi azzardo ad andargli vicino
troppo diverso dal sogno di un bambino.
È così fragile, mi potrebbe spezzare.
La mia corazza è il mio modo di guardare.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche