Ah, non ce la faranno
a costringermi in sposa.
Posso fingere un malanno
inventare qualcosa
ma io non sono in vendita
e dovranno accettarlo.
Una ragazza non merita
davvero di sposarlo
solo perché è un cugino
con qualche soldo in tasca,
cattivo o cretino
purché della sua casta.
Sogno d’innamorarmi
(sarà grave peccato?)
e vorrei realizzarmi
con un lavoro adeguato.
E poi vorrei guidare
l’automobile da sola
magari rinunciare
a quella lunga stola
che mi mettono in testa
e scegliere i jeans.
Sarebbe una festa!
Io mi vedo così.
Non fosse per il prezzo
che è veramente esoso.
Non c’è una via di mezzo:
o mi uccide o lo sposo.
Forse non manterrà
davvero la parola
però mi caccerà
e io mi sento sola.
Mia madre addirittura
se scanso il matrimonio
vuol farmi una fattura.
Sostiene che ho un demonio.
Ormai non torno indietro
non lo posso più fare
e spero in un decreto
che mi possa aiutare.
I jeans cui non rinuncio
mi costano il rifiuto.
Io questo lo denuncio
e ti domando aiuto
anche se costa caro
e in fondo non è giusto.
Temo che questo amaro
cancelli ogni altro gusto.
Perciò, mia cara giudice
che mi ascolti sul serio
se vuoi farmi felice
intervieni d’imperio.
Spiega ai miei genitori
che devo star lontana.
Li amo ma sto fuori
più di una settimana
e cerco di capire
dove porta questa strada
vicina al mio sentire.
Ci andrò, dovunque vada.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche